Ars ancilla theologiae? Il sacro nel XXI secolo
Qual è il rapporto, oggi, fra arte contemporanea e teologia? Come si pone la religione di fronte alla creatività attuale? Un piccolo percorso in tre libri. Dove scopriamo ad esempio una prospettiva molto conservatrice anche in Papa Francesco…
È soltanto dal 2013 che la Santa Sede partecipa con un padiglione nazionale alla Biennale di Venezia. Due edizioni in tutto, la prima con Studio Azzurro, Josef Koudelka e Lawrence Carroll, la seconda con Monika Bravo, Elpida Hadzi-Vasileva e Mário Macilau. Ma – inutile ricordarlo – il rapporto fra Chiesa cattolica e arti risale nei secoli in maniera lampante e complessa. Quel che cambia per l’ennesima volta, con l’avvento della modernità, è la qualità di questo rapporto. Lo testimoniano esempi come quello della Chiesa Rossa di Milano o la sacralità nell’opera di artisti come Luigi Presicce e Jan Fabre.
E ovviamente ci sono innumerevoli mostre che ragionano su questo intreccio, magari concentrandosi su una specifica tematica. Per fare un paio di esempi recenti: l’Ultima Cena, quella di Cristo, quella di Leonardo e quella della contemporaneità, nella rassegna a Villa Burba di Rho (curata da Antonio d’Avossa); Sulla Croce, con un allestimento specifico della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati allo Spazio –1 di Lugano (con la curatela di Danna Olgiati).
Qui però parliamo di libri, e allora le novità da segnalare sono principalmente tre. Si comincia dall’alto, con Papa Francesco, che si è espresso sul tema ne La mia idea di arte (Edizioni Musei Vaticani-Mondadori, pagg. 104, € 16). Quel che un poco stupisce è quell’aggettivo possessivo: in realtà, il libro sembra più che altro scritto dalla curatrice Tiziana Lupi, in specie per quanto riguarda la seconda parte. La prima contiene invece le dichiarazioni di taglio più teologico, con un approccio che ricalca la Lettera agli artisti (1999) di Giovanni Paolo II. La tesi è presto detta: l’arte è “testimone credibile del creato” e perciò è uno “strumento” volto all’“evangelizzazione”. Questo ruolo funzionale si estende al Musei Vaticani, “strumento di dialogo tra le culture e le religioni”. Una concezione inclusiva e non passatista, che tuttavia resta marchiata a fuoco da una considerazione dell’arte come ancillare.
Queste sette pagine sono seguite dalla seconda parte del libro, con Undici esempi tratti dallo stesso museo, analizzati in maniera storico-critica e soprattutto catechetica. Dal Torso del Belvedere alla Cappella Sistina, vengono ribaditi i concetti di cui sopra, ma sottolineando che l’arte “non scarta mai”. Un modo gentile per raccontare come la storia dell’arte (paleo)cristiana sia anche una storia di appropriazioni più o meno indebite: “I monumenti delle civiltà che hanno preceduto la venuta di Cristo sono stati tutti santificati dalla sua Rivelazione”, e così un obelisco in San Pietro trova la sua giustificazione. A chiudere il volumetto, un endorsement ad Alejandro Marmo sul quale è meglio sorvolare.
Ben differente l’indagine condotta da Demetrio Paparoni in Cristo e l’impronta dell’arte. Il divino e la sua rappresentazione nell’arte di ieri e di oggi (Skira, pagg. 184, € 28). A chiarirlo, le parole dell’autore in un’intervista condotta da Stefano Castelli per Artribune: “Chi si occupa di arte cattolica, cristiana, non ha l’idea di selezionare quali opere funzionano e di distinguerle da quelle che non funzionano. In mostre di quel tipo chiunque si occupi di Cristianesimo o di Cattolicesimo viene buttato dentro indipendentemente da quello che fa, perché diventa una lettura ideologica”.
Questo non significa che il viaggio nel quale ci si avventura grazie a questo libro sia blasfemo o provocatorio. Al contrario, laicamente Paparoni attraversa la storia dell’arte per individuare temi e motivi che mantengono un legame più o meno lasco con la dottrina, ma che sono selezionati, studiati e presentati innanzitutto per il loro valore estetico – quest’ultimo termine inteso in senso filosofico. Ciò permette di attraversare i secoli e gli ambienti con cognizione di causa e letture profonde, da Grünewald a Kapoor, da Holbein il Giovane a Bouguereau, da Dürer a Rothko, fino ad artisti come Wang Guangyi e Yue Minjun, apparentemente distantissimi da queste tematiche cultural-religiose. E quanto radicalmente diversa sia la prospettiva è sintetizzato in questa frase: “È la storia dell’arte a farci identificare Cristo nell’uomo della Sindone, e non viceversa”.
Infine, almeno un cenno a un libro che media in maniera eccellente queste due esigenze, confessionali e storico-critiche. È La Rivelazione dell’Apocalisse. Il destino dell’uomo nell’arte tra passato e presente (Silvana Editoriale, pagg. 80, € 18), e in particolare il saggio conclusivo di Andrea Dall’Asta SJ, intitolato Quale Apocalisse nella contemporaneità?. Dove, a partire da una mostra tenutasi alla Royal Academy di Londra nel 2000, si analizzano con intelligenza e competenza – seppur da un punto di vista esplicitamente “schierato” – opere come Hell dei Chapman Brothers o La Nona Ora di Cattelan.
E proprio mentre scrivevamo questo articolo usciva un altro volume sul tema: Sacro contemporaneo (Àncora, pagg. 184, € 18), firmato da Michela Beatrice Ferri, propone una serie di lunghe interviste per comprendere le ragioni per le quali nella più corporale delle religioni monoteiste, il Cristianesimo – col Figlio di Dio che s’incarna e scende fra gli uomini –, sia prevalso lo spirito e soprattutto si sia allontanata dall’arte, dopo secoli di magnificenti committenze.
Marco Enrico Giacomelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #30
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