Adrian Paci e l’arte giovane. Alla Fondazione Pini
È terminato sabato 2 luglio il ciclo di otto appuntamenti “Incontro #2”, a cura dall’artista albanese all’interno della Fondazione milanese. Un’iniziativa prodotta dalla Fondazione Pini stessa, in collaborazione con NABA Nuova Accademia di Belle Arti di Milano e Accademia di Belle Arti di Brera, e grazie al coordinamento di Gianni Caravaggio.
La rassegna Incontro #2 ha visto protagonisti gli studenti dell’Accademia di Brera e NABA, riuniti negli eleganti spazi della Fondazione Adolfo Pini, per otto momenti di incontro e di confronto con il pubblico. Anche grazie al coordinamento dall’artista Gianni Caravaggio, è stato sviluppato un percorso laboratoriale sull’arte contemporanea, scaturito dal recente ingresso di Adrian Paci nel comitato scientifico. Questo programma di lezioni, di dialogo e di avvio di diverse progettualità contraddistingue la Fondazione Adolfo Pini come luogo di incontro e valorizzazione della scena dell’arte giovanile a Milano.
Il carattere laboratoriale del progetto si è sviluppato tra ricerca scientifica e didattica, attraverso momenti di condivisione di esperienze, così come di analisi dei percorsi artistici dei singoli partecipanti. Uno dei principali intenti del laboratorio è stato quello di offrire agli studenti, prossimi alla conclusione del proprio percorso scolastico, un punto di riferimento per esplorare una dimensione di confronto e di scambio in questo importante momento di passaggio. Decine di artisti hanno esposto i loro lavori nella galleria all’interno del cortile della Fondazione, aprendosi al confronto con uno spazio esterno all’ambito accademico e al dibattito sia con colleghi e docenti, sia con il pubblico dei visitatori. Adrian Paci racconta l’excursus di un’iniziativa conclusasi pochi giorni fa.
Come e quando sei venuto in contatto con la Fondazione Pini? Perché ritieni che la Fondazione Pini possa rappresentare un nuovo polo di riferimento per giovani che intendono lavorare nel mondo dell’arte?
Diverse settimane fa, sono stato chiamato a far parte del Comitato Scientifico. Dapprima mi sono premurato di visitare gli spazi, poi mi sono informato sullo Statuto e ho scoperto che è nel DNA dell’istituzione supportare i giovani artisti. Così ho pensato che poteva essere e potrà rappresentare una nuova, ulteriore opportunità per i giovani artisti. È da tanti anni che insegno in Italia e ritengo che ci siano tantissimi bravi studenti che poi scompaiono dalla scena, un po’ per loro pigrizia, ma anche perché non vengono spinti a cogliere nuove possibilità. E la Fondazione Pini mi è sembrata fin da subito un nuovo spazio di crescita, di incontro non solo per loro, ma anche per me, che mi sono sentito fin da subito in grado di poter offrire un nuovo piccolo contributo. Nel pensare a quale programma proporre, ho formulato una proposta di un ciclo di otto incontri, durante i quali, però abbiamo partecipato anche a Studi Festival con studenti NABA che hanno preparato una mostra e che hanno incontrato gli studenti di Brera. Entrambi i gruppi hanno sfruttato gli spazi della Fondazione al piano terra, un ambiente più neutro, perché il resto degli appartamenti è maggiormente decorato e articolato dal punto di vista visivo.
Se fosse possibile, quali consigli daresti ai giovani artisti di oggi in Italia, per lavorare al meglio?
Ogni consiglio, secondo me, si dà al singolo, non si offre mai a una categoria di giovani artisti, anche se appartenenti al medesimo anno. All’interno di uno stesso gruppo, apparentemente omogeneo, ci può essere un ragazzo che è molto coraggioso, spinto e ambizioso, allora, in quel caso, io gli darei il consiglio di fermarsi e di guardare al mondo, ai dettagli, alle cose con una cura migliore o con maggiore modestia. Si trovano anche spesso ragazzi o ragazze molto sensibili o timidi, allora li spingerei ad avere coraggio. L’idea di proporre un consiglio mi fa sempre venire in mente anche una sorta di indicazione verso il successo, ma io, per quanto mi riguarda, non saprei mai spiegare come raggiungerlo. Non mi sento nella posizione giusta per formulare ipotesi o previsioni, anche perché il mondo dell’arte di oggi, francamente, non lo capisco molto bene. Sebbene io ne faccia parte da diversi anni, con le mie mostre e i miei lavori, e io possa sembrare complice di come si presenta, comunque non saprei quale chiave di accesso fornire a un luogo che non comprendo pienamente. Fare l’artista, malgrado tutto, è anche una sfida che nasce da un rapporto molto profondo che una data persona ha con sé stessa e con il mondo che la circonda. Questa profondità spesso manca nelle relazioni fra gli artisti, i quali, invece, puntano molto a una lotta per la sopravvivenza o a tentare di raggiungere il successo. Io comunque continuo a credere che occuparsi di arte significhi occuparsi di uno spazio in cui ciascuno esplora le capacità espressive della propria voce interiore. Non esistono formule. E nel momento in cui una verità diventa tale perde la propria vivacità, la propria forza.
Quale caratteristica, attitudine, atteggiamento, sembra condizionare, o guidare, le ricerche dei giovani artisti di oggi?
Rievocando quel progetto meraviglioso di Szeemann, dal titolo When Attitudes Become Form, direi che ogni attitudine, nel tempo, lascia inevitabilmente la propria traccia. Allo stesso modo in cui il tempo a nostra disposizione incide nei confronti delle attitudini che sviluppiamo. Se un ragazzo passa giornate intere a compilare moduli per application, questa sua attitudine diventerà una forma che in qualche modo troverà espressione nel proprio lavoro. Se qualcun altro passerà giornate intere a convincere i curatori che il proprio lavoro è migliore di altri, anche questo influenzerà le tracce di un dato percorso. Se invece si spende il proprio tempo a indagare il mondo e a capire dove si renda necessaria una certa azione, in un dato luogo e in un dato momento, allora il rapporto con l’esterno sarà più intimo e darà i frutti di una ricerca profonda dell’arte, come patrimonio che esiste ben prima di qualsiasi individualità. Per arrivare a questo atteggiamento bisogna problematizzare i cliché e non tentare mai vie dominanti.
Potresti esprimere un pensiero, un augurio che accompagni chiunque senta la spinta, la chiamata all’arte fin da giovanissimo?
Mi verrebbe da rispondere, semplicemente, con un Buona fortuna! Ma l’arte non è una strada facile. Bisogna resistere e allo stesso tempo giocare, bisogna sapersi divertire e saper cogliere le gioie di questa avventura. Non bisogna vedere tutto come una specie di battaglia. All’opposto, però, il successo non si insegna mai e non si deve vivere l’arte solo come dimensione sognante.
Ginevra Bria
Milano
Fondazione Adolfo Pini
Corso Garibaldi 2
02 874502
www.fondazionepini.net
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