Milano e la cultura. Parla l’assessore Filippo Del Corno
Era da oltre dieci anni che un assessore alla Cultura di Milano non veniva confermato consecutivamente. Prima della presentazione del programma davanti alla prima giunta del neosindaco Sala, abbiamo intervistato l’assessore Filippo Del Corno. Tra conferme, nuove visioni e cambiamenti necessari.
Attualmente alla direzione del Museo del Novecento di Milano si trova Marina Lampugnani. Dal 1° giugno l’architetto, proveniente dal settore manutenzione scuole del Comune di Milano, è dirigente di uno dei musei più importanti per il Polo del Moderno e del Contemporaneo della città. Carica che le è stata assegnata fino al primo giorno di ottobre, per quattro mesi.
A un anno dal trasferimento di Marina Pugliese, sebbene non sia stato pubblicato alcun bando, Claudio Salsi (Direttore Settore Soprintendenza Castello Sforzesco, Musei Archeologici e Musei Storici) non è più direttore ad interim del museo di piazza Duomo. Ma che cosa è successo?
Lo abbiamo chiesto a Filippo del Corno, eletto per il secondo mandato consecutivo assessore alla Cultura del capoluogo lombardo, nella prima giunta del neosindaco Beppe Sala.
Come si sta procedendo con la nomina del nuovo direttore del Museo del Novecento?
Marina Pugliese è andata in aspettativa, così come può prevedere la norma per un dirigente pubblico; questo atto non è una pratica revocatoria come lo sono le dimissioni, ma si tratta di un periodo di aspettativa che può valutare poi un possibile reintegro del dirigente, anche eventualmente su altra funzione, alla fine del periodo di allontanamento dalla carica.
Dopodiché è evidente che non si sia presa alcuna misura per pubblicare il bando di un nuovo concorso: perché l’amministrazione Pisapia era in scadenza e nessuno avrebbe potuto partecipare, sapendo che l’eventuale nuova assegnazione, essendo un incarico fiduciario del sindaco, sarebbe scaduto da lì a breve. Quindi si è atteso, come è naturale che agisca una pubblica amministrazione, l’elezione del nuovo sindaco. Il che rende ora possibile bandire un nuovo concorso per far partecipare candidati aventi di fronte a loro una prospettiva di cinque anni; più gratificante, rispetto allo scorcio di un mandato in chiusura come quello di Marina Pugliese.
E il bando?
Se avessimo bandito un concorso al momento del suo trasferimento, sarebbe stato indetto per un incarico che sarebbe durato, al massimo, un anno. Oggi, qualora l’ex direttrice volesse rientrare, potrebbe farlo, ma su altra funzione. Il direttore del Museo del Novecento è stato, fino a poche settimane dalle elezioni, il dottor Salsi, che ha assunto l’incarico ad interim di direttore responsabile del museo nell’ambito delle sue funzioni.
Poche settimane fa il Direttore Generale del Comune di Milano ha reintegrato una dirigente che proveniva da altra funzione espletata presso una partecipata, ed è stata momentaneamente collocata in funzione dirigenziale al Museo del Novecento. Si tratta di una nomina tecnica destinata a coprire una sorta di periodo di interregno.
Dopo l’elezione del nuovo sindaco ci sarà l’elezione di un nuovo Direttore Generale e la ridistribuzione di funzioni all’interno di tutta la dirigenza comunale. È molto probabile che all’interno di questo processo venga bandito un concorso per la direzione del Polo del Moderno e del Contemporaneo che prevede la direzione del Museo del Novecento e del Museo delle Culture.
Quali sono i festival e i programmi culturali ai quali verrà data continuità e quali invece gli eventi che permetteranno nuove svolte?
La continuità, più che sui singoli progetti, vale sul piano strategico. Quando mi sono insediato come assessore ho dato avvio a un piano che si basava e che si basa tuttora su tre elementi essenziali: il primo è la crescita complessiva dell’offerta culturale della città, quindi l’innalzamento della qualità e della quantità dei programmi culturali. Questo vuol dire non soltanto la sistematizzazione di quel che il Comune riesce a offrire in forma diretta, ma anche un lavoro di cabina di regia che mette insieme tutte le altre istituzioni culturali, per tornare a essere al livello delle altre città europee. E questo sarà ancora uno degli obiettivi del piano strategico.
Il secondo elemento prevede lo sviluppo di politiche inclusive, facendo in modo che l’offerta culturale riesca a essere sostenibile a livello economico-finanziario complessivo, ma accessibile; cioè garantita al maggior numero di cittadini e a visitatori.
Il terzo elemento è il proseguimento della creazione di strutture di rete tra le varie istituzioni culturali. Il Comune deve continuare a essere, sempre di più, facilitatore della creazione di relazioni, di rapporti stabili e strategici tra i vari soggetti di produzione culturale.
Queste sono dunque le tre linee direttrici che proseguiremo anche nel futuro. Singolarmente verrà data continuità a iniziative come PianoCity e BookCity, alla quale verrà aggiunta una terza iniziativa, MuseoCity, dedicata annualmente alla possibilità di rappresentare in maniera completa l’offerta museale complessiva di Milano e aprire tutti i musei a tutti i cittadini una volta l’anno.
In questi anni di assessorato, è riuscito a comprendere se possano esistere strategie per restituire la cultura di Milano a una scena internazionale?
Da questo punto di vista non è necessaria una strategia, le istituzioni culturali milanesi già godono di un grande prestigio e respiro internazionali: bisogna fare in modo che siano più conosciute e rappresentate, dunque è necessario sviluppare moltissimo la diplomazia culturale della città. Al di là degli accordi di programma che si possono portare avanti, si sono già sviluppate collaborazioni tra le varie istituzioni pubbliche della città con corrispettivi analoghi delle principali del mondo, come quelle avvenute con il Musée d’Orsay di Parigi o quelle che stiamo sviluppando con l’Ermitage di San Pietroburgo e tanti altri accordi che stiamo siglando.
Bisogna comunque lavorare tantissimo sull’identità e la funzione di luoghi e istituzioni che non devono più essere considerati solo come dei contenitori. Noi abbiamo sviluppato un principio e continueremo a farlo, per rendere i nostri musei veri e propri centri di ricerca, in grado di rielaborare progetti di approfondimento del nostro stesso patrimonio culturale; progetti che siano proponibili anche all’estero. Come succede per la mostra su Boccioni che attualmente è allestita a Palazzo Reale e che poi girerà il mondo.
Molti dicono che a Milano la cultura in realtà la fanno essenzialmente i privati. Cosa rispondere a questa affermazione e come pensare di poter svolgere a pieno il proprio ruolo di coordinamento e visione pubblica per una città che va a mille all’ora ma che talvolta sembra smarrire la sua identità?
Il New York Times ha scritto che la crescita e il prestigio di Milano come capitale dell’arte contemporanea sono determinati da un equilibrio di fattori tra impresa pubblica e impresa privata. Dove al settore pubblico spetta la regia e al privato l’assunzione del rischio d’impresa. Questo è stato uno dei casi in cui testate internazionali hanno parlato in maniera attenta e documentata della scena dell’arte milanese.
È vero che in città esistono, come in altre parti del mondo, soggetti privati che hanno assunto l’arte come missione fondante della loro cultura d’impresa, ma sempre all’interno di una rete consapevole di relazione con l’amministrazione pubblica. Come dimostra l’Art Week durante miart, per la quale tutte le istituzioni che si occupano di arte moderna e contemporanea – enti pubblici o privati – coordinano le loro attività di approfondimento, i loro programmi, grazie alla regia del Comune.
La sfida dell’arte pubblica si limiterà al progetto di CityLife o ci sarà altro in città (oltre a BookCity, PianoCity e MuseoCity)?
Per quanto riguarda l’arte pubblica, a Milano è successo un fatto che non si verificava da moltissimi anni. E cioè: grazie a una relazione positiva tra pubblico e privato si è sviluppata una nuova forma di committenza – non diretta ma mediata attraverso speciali accordi programmatici con soggetti privati – per opere d’arte che abitano lo spazio urbano testimoniando la grande qualità degli artisti coinvolti.
Come Pistoletto per la Stazione Centrale, Isgrò per il Parco Sempione e gli artisti di CityLife che sono stati coinvolti per un primo, vero parco urbano di arte contemporanea che si chiamerà ArtLine. Questa operazione è possibile grazie all’investimento di oneri di urbanizzazione, quindi a CityLife si chiede un impegno degli oneri che vada in direzione della creazione di un parco che espleterà una funzione pubblica, come se quelle tassazioni fossero state utilizzate per costruire una scuola o un teatro.
È scattato dunque un meccanismo dormiente a Milano: un principio di committenza che fa sì che gli artisti del nostro tempo vengano chiamati ad abitare, con il loro pensiero creativo, i luoghi della città. Questo è potuto succedere perché la condivisione degli spazi pubblici e l’assegnazione di funzioni pubbliche a questi ultimi ha prevalso rispetto alla privatizzazione di luoghi di proprietà dei cittadini. Fino a cinque anni fa la più grande preoccupazione dell’amministrazione era quella di aumentare le superfici dei parcheggi, espropriando le piazze.
È soddisfatto del ruolo e del compito che oggi svolge in città il PAC? Quali sono qui le linee guida?
Il PAC ha avuto un periodo di grande trasformazione con la costituzione di un comitato scientifico e ne ha retto la programmazione per tre anni, nei quali sono stati costituiti elementi centrali. Prima di tutto è emersa la capacità di quel luogo di esprimere la funzione dell’incrocio tra i tanti linguaggi della contemporaneità, aprendo ulteriori dialoghi tra arte e architettura, arte e fotografia e arte e design. Inoltre ha sviluppato una duplice capacità d’indagine: sulla creatività contemporanea del mondo e dei mondi nuovi rispetto alla nostra sensibilità, così come il percorso su Cuba ci ricorda; e dall’altra quello di promuovere un percorso di ricerca sugli artisti italiani in dialogo con il mondo.
Attualmente il lavoro del comitato scientifico è esaurito, in quanto risulta tale anche il loro mandato, mentre per il futuro bisogna pensare a un’evoluzione di questo ruolo, da discutere, a livello strategico, con il conservatore incaricato.
Il Mudec deve ancora migliorare? In quale direzione?
Il Mudec dovrebbe migliorare soltanto dal punto di vista del racconto di quel che accade in quel museo. Oggi il Mudec è un esperimento unico al mondo, una testimonianza di quel che accade dentro un grande laboratorio di idee sui temi della multiculturalità che vede protagoniste le comunità migranti e i cittadini dei Paesi che oggi vivono lo spazio della città di Milano come città-mondo.
Il Mudec rappresenta un incubatore nel quale tutto questo sta avvenendo, senza dimenticare le molteplici identità che lo compongono: come le grandi mostre di divulgazione sui temi legati al rapporto tra arte moderna, contemporanea e le matrici antropologiche – ne è stato un esempio la mostra su Miró. Inoltre la sua collezione extra-europea permanente sta entrando nel cuore dei cittadini che ne riconoscono un tratto distintivo della storia della città. Un punto di miglioramento deve prevedere anche una maggiore sintonia della programmazione tra la parte espositiva temporanea e quella permanente, anche se in parte quest’operazione di ricerca è già stata portata avanti. Inoltre si deve puntare a un maggiore coinvolgimento delle comunità migranti di cui il Mudec si deve sempre più fare portavoce, creando un nuovo senso di cittadinanza che deve trovare maggiori forme di relazione con la città stessa.
Quali saranno, e perché, le tre parole-chiave dei nuovi cinque anni di mandato?
Plurale: Milano deve riuscire fino in fondo a diventare culturalmente una pluralità espressiva. Consapevole: Milano sta riacquisendo una consapevolezza del proprio patrimonio, della propria duratura fertilità e di riflesso del proprio futuro di nuova capitale del pensiero creativo.
E infine attrattiva: Milano deve continuare a catturare gli interessi.
Ginevra Bria
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