Tatuare la storia. Cuba al PAC di Milano

“CUBA. Tatuare la storia” è il titolo della nuova mostra al PAC di Milano. Attraverso ideologie, contraddizioni, splendori e difficoltà, 31 artisti lavorano sui tempi di trasformazione dell’isola. Da Lázaro Saavedra ad Ana Mendieta, da Tania Bruguera a Félix González-Torres, da Eduardo Ponjuán a Wilfredo Prieto. Abbiamo intervistato uno dei curatori, mentre la mostra apre al pubblico.

Una fra le perlustrazioni più estese degli ultimi quindici anni sugli artisti cubani [approfonditi anche nel corso del reportage su Cuba, N.d.R.], entra al PAC, a partire dal primo cortile, invaso da un’installazione di Humberto Díaz. Poco oltre, l’intervento site specific Un sueño sifi di Luis Gómez Armenteros echeggia la performance, accusando l’Occidente di mercificare gli uomini e le loro culture. Mentre altre quattro installazioni completano l’allestimento della sala, a partire da Dialectic IV di Tony Labat, lavoro nato sotto il primo murale americano di Diego Rivera per l’Istituto d’Arte di San Francisco.
Attraverso questi gruppi di opere prende avvio Cuba. Tatuare la storia, ricognizione che parte dalla metà degli Anni Ottanta – con un richiamo agli Anni Settanta di Ana Mendieta – e si estende alla contemporaneità. Snodi cruciali curati da Diego Sileo e Giacomo Zaza, che racconta la mostra nella sua totalità.

Come si è modificata nel tempo la tua visione di Cuba e quando è nato il tuo primo élan nei confronti della tradizione visiva e culturale cubana?
Quando qui in Europa si parla di Cuba, della sua storia e delle sue dinamiche culturali, spesso si predilige una lettura superficiale fatta di “stereotipi” tematici legati alla censura e alla “cubanità” di alcune esperienze artistiche. Il contatto diretto con Cuba e la perlustrazione degli spazi della vita artistica mi ha aperto la visione di un “mondo” inedito, ricco di accadimenti. Uno scenario dell’arte che ruota intorno alla varietà degli stili creoli influenzati da rituali e credenze africane, al “choteo” (una sorta di attitudine burlesca cubana) e alla satira, alla letteratura di Lezama Lima o Virgilio Piñera, al cinema di Tomás Gutiérrez Alea.
Per le arti visive in particolare sono venuto a conoscenza, oltre degli artisti osannati nei circuiti celebrativi internazionali, come Ana Mendieta e Tania Bruguera, Los Carpinteros e Carlos Garaicoa, Kcho e Wilfredo Prieto, di artisti centrali nel percorso dell’arte contemporanea cubana, quali Raul Martinez, Chago, Elso Padilla, Flavio Garciandía, Tonel, Lázaro Saavedra, Eduardo Ponjuán, Juan Carlos Alom, Marta María Pérez Bravo.

Nei tuoi diversi sopralluoghi, avvenuti anche in occasione della Biennale all’Havana, quale intento assume l’atto di tatuare il senso, l’avvicendamento di una storia apparentemente immobile, a Cuba?
I soggiorni a Cuba, non soltanto per la Biennale de La Habana, ma anche per i due Padiglioni di Cuba alla Biennale di Venezia, sono sempre una rivelazione, soprattutto all’interno di una prospettiva fuori dai ranghi di ciò che conosciamo e dalle logiche dell’inquadramento nella rete delle categorie sociali.
Il senso di “tatuare” la storia cubana sulla propria pelle viene innanzitutto dalla “contaminazione” con la gente che trascorre l’intera giornata per le strade e le aree urbane, agli angoli o nei cortili dei palazzi. Sul proprio corpo possiamo tatuare non soltanto gli slanci utopici e post-utopici del mito rivoluzionario, ma anche il sincretismo e la varietà di una “danza” popolare inarrestabile che escogita soluzioni per vivere, passando dalle forme incredibili di ruralizzazione della città, attraverso le coltivazioni ecologiche (“organoponicos”), ai venditori ambulanti e ai “carretilleros”, e al vastissimo mondo dell’underground.

Quale significato assume la Storia per gli artisti cubani? E quale idea hai riscontrato, attraverso alcuni di loro, rispetto a un prossimo futuro?
La Storia per gli artisti contemporanei è una trama sociale e politica in movimento, intrisa di vernacolare e di popolare, di fughe e spostamenti. Una trama che nasconde fallimenti politici e disillusioni stridenti. Un flusso di esperienze da destrutturare e riflettere, da discutere e guardare dal basso, senza vergogna e pregiudizio, e senza investiture retoriche. L’idea di una storia che attraverso l’arte approda a un orizzonte immaginifico di sapore caraibico, vivace e carico di energia, contro la scarsità delle materie, la limitatezza delle infrastrutture, la censura dichiarata e non dichiarata.

Quali macro-tematiche avete condiviso assieme a Jorge Fernández Torres sulla storia dell’immaginario cubano?
L’arte cubana è caratterizzata da una pluralità di temi, tendenze e generi. Diventa sempre testimone del suo tempo, della sua storia e delle identità, che si intersecano in essa. Talvolta si sofferma sul versante sociologico e antropologico. Ma resta evidente il leitmotiv della satira e della parodia, dalla denuncia severa e del giudizio mascherato, “ambiguamente” critico. La realtà spesso si unisce alle vicissitudini del contesto sociale da strada, alla microstoria, che però fa appello a miti universali, indici dell’umanità.

Da Celia-Yunior a Tonel, da Mendieta a Los Carpinteros a Garaicoa, a tuo modo di vedere, come gli artisti ricompongono e proiettano una sorta di storia contemporanea nei lavori che verranno presentati? Potresti proporre alcuni esempi? 
A partire dagli Anni Novanta, molti artisti, di cui presentiamo al PAC di Milano opere significative, ricostruiscono una “storia” in bilico tra impegno sociale/antropologico/politico e disincanto o coscienza delle illusioni, una storia che si rivolge ai problemi del razzismo e delle disuguaglianze, alle identità plurali e alla diaspora delle comunità afro-discendenti, all’analisi del concetto di razza nera, “mestiza” e anche “india” o “gallega”, e al viaggio nelle religioni afrocubane.

Per quanto riguarda le performance, quale linea curatoriale è stata adottata e come il corpo degli artisti di Cuba si trasformerà in superficie di denuncia?
Nelle performance presentate in esclusiva al PAC di Milano, il corpo, inteso nella sua vastità fisica e mentale, viene espresso come un campo di energia e di analisi che permette di parlare della fragilità dell’essere umano nei momenti di crisi, dell’identità e delle “ferite” della Storia. Inoltre questo corpo “da tatuare” si pone come dispositivo per discutere i problemi più gravi della società cubana contemporanea, spesso celati e trascurati.

Potresti esprimere un augurio, un pensiero che accompagni Cuba. Tatuare la storia?
Mi auguro che l’arte cubana continui a esprimere un pensiero libero da censure e restrizioni, un pensiero che smuova la coscienza del singolo e della collettività. E che questa spinta possa mantenere la sua radicalità e la sua euforia, unendo le facoltà dell’intelletto e della materia sensibile, senza mai trascurare il mondo molteplice dei segni/simboli comuni. Mi auguro che possa sempre andare contro la retorica di qualsiasi patriottismo, contro l’incertezza e il vuoto.

Ginevra Bria

Milano // fino al 12 settembre 2016
Cuba. Tatuare la storia
a cura di Diego Sileo e Giacomo Zaza
Catalogo Silvana Editoriale
PAC
Via Palestro 14
02 88446359
www.pacmilano.it

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/55011/cuba-tatuare-la-storia/

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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