Walking. Arte ad alta quota
L’estate è tempo di novità, e questo agosto ce n’è una davvero speciale in Carnia. È la prima edizione del festival “Walking”, la rassegna che porta l’arte fra i sentieri montani del Friuli Venezia Giulia. Ecco la storia del progetto.
Mancano solo poche settimane al debutto di una inedita iniziativa tra le montagne friulane. Giuseppe Favi e Michela Lupieri, ideatori e curatori del progetto Walking, raccontano storia e dettagli di un festival che unisce arte contemporanea e natura.
Walking. Arte in cammino si presenta come un festival a cadenza annuale che intende “esplorare le intersezioni possibili tra l’atto del camminare e le differenti forme di espressione artistica”. Da dove è nata l’idea e come l’avete sviluppata in rapporto ai vostri percorsi professionali?
Walking è nato camminando in montagna, sugli stessi sentieri su cui si vuole realizzare il progetto. Benché i nostri percorsi professionali siano diversi [Michela ha studiato arte e Giuseppe letteratura, N d. R.], il camminare è qualcosa che ci ha sempre interessato. Con Walking passeggiare sui sentieri di montagna diventa quindi il trait d’union che unisce l’arte contemporanea all’esperienza fisica di attraversamento dei luoghi, legandosi ai nostri personali percorsi di ricerca di questi anni. La fusione tra diverse discipline si attuerà, inoltre, invitando alcuni autori a partecipare a incontri di approfondimento teorico e lavorando con artisti che operano nello spazio pubblico, a contatto con le piccole comunità e con una dimensione naturale.
Al termine di questo processo di elaborazione, quale forma ha assunto il progetto Walking? Quali sono i suoi obiettivi principali e come intendete realizzarli?
Walking è un progetto culturale e di ricerca che ha assunto la forma di una doppia mostra dislocata in due luoghi diversi. È un progetto curatoriale partecipativo, decentrato e realizzato dal basso. Gli obiettivi che si pone sono vari: incrinare la prassi della separazione tra mondo dell’arte e comunità locale; spostare l’attenzione su un luogo geografico periferico dove la problematica del confine nazionale è tanto centrale quanto attuale; fuoriuscire dalle logiche del sistema dell’arte unendo la fruizione artistica al mondo delle alte quote. Per realizzare tutto questo è necessario lavorare su più fronti: relazionarsi con gli abitanti, con le istituzioni del territorio, con gli Enti che si occupano della gestione del patrimonio storico e naturale e, soprattutto, mettere gli artisti nella condizione di conoscere ed esplorare il luogo nella maniera più completa possibile.
Quest’estate, a partire dal 5 agosto, si aprirà la prima edizione del festival, nella cornice del Pal Piccolo e sul tema della Grande Guerra. Quali motivi vi hanno portato a sceglierlo e come verrà trattato?
Abbiamo scelto questo tema perché nel 2014 cadeva il centenario della Prima Guerra Mondiale e, essendo il nostro un territorio di confine, sono molti i luoghi che presentano ancora le tracce dei combattimenti passati. Tra tutti, però, il Pal Piccolo è quello più suggestivo e geograficamente interessante perché, proprio sulla cima della montagna, si trova, valicabile attraverso un passo, il confine naturale che divide l’Italia dall’Austria. Agli artisti invitati non è stato chiesto tanto di rievocare l’esperienza della Grande Guerra, quanto di creare delle opere che, partendo dalla specificità del luogo, creino un ponte tra il passato e le problematiche della contemporaneità.
Come avete organizzato il programma delle residenze che ha coinvolto gli artisti Andreco, Leone Contini, Michele Spanghero, Michele Tajariol, Filippo Minelli, Caterina Rossato e Pablo Chiereghin? E quali riscontri avete avuto da loro?
Premesso che ogni artista è stato messo nella condizione di condurre una ricerca in loco a 360 gradi, abbiamo cercato di studiare una residenza ad hoc per ognuno di loro a seconda degli interessi, della ricerca artistica personale e del tipo di lavoro di ciascuno. Si è passati quindi dalle camminate giornaliere sul sentiero del Pal Piccolo (spesso accompagnati dalle guide del CAI) alle visite ai bunker della zona; dalle visite al Museo della Grande Guerra di Timau e di Muthen, al Geoparco di Timau fino agli incontri con gli abitanti della zona. I riscontri sono stati molto positivi e ogni artista, a seconda della propria ricerca personale, ha trovato una suggestione da cui partire per lo sviluppo del lavoro.
Come sarà strutturato, invece, il festival ad agosto? Quali i luoghi espositivi e le modalità di accesso? Saranno previste visite guidate, eventi collaterali?
La mostra è dislocata in due Comuni della Carnia – Tolmezzo e Paluzza – perché ci interessa mettere in connessione luoghi geograficamente distanti. Il 5 agosto inaugureremo la mostra a Tolmezzo nella Torre Reytembergher, uno spazio peculiare per l’architettura, per i materiali con cui la Torre è realizzata e per la marginalità del luogo rispetto al centro del paese, che richiama l’analoga caratteristica del sentiero del Pal Piccolo: entrambi i luoghi sono infatti raggiungibili arrivandovi solamente a piedi. Il 6 agosto, invece, ci sarà l’inaugurazione sul sentiero del Pal Piccolo e, per l’occasione, sarà realizzata una visita guidata della mostra con approfondimenti storici e naturalistici condotti da alcune guide del CAI. Durante tutto il mese, inoltre, realizzeremo visite guidate, incontri e presentazioni. Le mostre saranno entrambe gratuite e, quella sul sentiero, visitabile in qualsiasi ora del giorno.
Che tipo di rapporto intendete instaurare con il pubblico e, soprattutto, a quale pubblico vi rivolgete?
Ci rivolgiamo principalmente a un pubblico locale (sia italiano sia austriaco), che vive la montagna e che ama camminare. Allo stesso tempo, però, vorremmo riuscire a coinvolgere anche un pubblico più allargato, interessato alle pratiche artistiche contemporanee e a un tipo di mostra che fuoriesce dal circuito canonico convenzionale per legarsi al mondo delle alte quote.
Quale, invece, il rapporto con le istituzioni pubbliche e con gli altri soggetti nel mondo dell’arte contemporanea? Pensate a voi stessi come alternativi o “integrati” al sistema?
Non ci reputiamo né alternativi né totalmente integrati rispetto al sistema. Potremmo definirci parzialmente indipendenti (se si può far passare questa espressione). Il rapporto con le istituzioni è costante e giornaliero anche perché se nell’idea iniziale il progetto voleva essere indipendente, di fatto è impensabile poterlo realizzare senza dei finanziamenti esterni. Il rapporto quindi esiste e, negli anni futuri, speriamo si possa consolidare attraverso delle collaborazioni più strutturate che coinvolgano anche il sistema dell’arte contemporanea.
L’installazione di opere d’arte lungo sentieri montani apre diverse problematiche, che vanno dal rapporto più puramente teorico con interventi affini (come la Land art o i parchi di sculture all’aperto), fino alle questioni pratiche, legate alla conservazione e protezione delle opere. Come avete fatto fronte a tutto ciò?
Walking non aspira a creare tanti parchi di sculture all’aperto sui sentieri della Carnia (ogni anno, infatti, si vuole cambiare sia il sentiero che il tema della mostra) perché le opere saranno temporanee. Inoltre, il progetto non potrà essere ricondotto a un festival di sola Land art, sia perché le opere non saranno realizzate esclusivamente con materiali naturali o deperibili sia perché gli artisti con cui ci interessa lavorare fuoriescono dai confini di questa pratica. Tutte le opere saranno nuove produzioni e saranno pensate e progettate per stare all’esterno, a contatto con sole, pioggia e vento.
Per concludere, come avete finanziato il progetto quest’anno e come pensate di svilupparlo negli anni a venire?
Quest’anno il progetto è stato finanziato grazie a un contributo della regione Friuli Venezia Giulia per le attività culturali legate al Centenario della Grande Guerra. Per questo motivo Walking rientra all’interno di un progetto più vasto coordinato dalla Comunità Montana della Carnia, ente capofila, dal titolo Grande Guerra in Carnia. Focus sull’anno 1915. Per gli anni futuri beh… è una bella domanda! Le soluzioni che possiamo considerare sono varie: crowdfunding, ricerca di sponsor privati, di bandi ad hoc, di finanziamenti pubblici… Le opportunità non sembrano mancare e l’ideale sarebbe, forse, unire tanti e piccoli finanziamenti di diversa natura. A meno che le istituzioni del territorio non decidano di finanziarci e scommettere su di noi, per arricchire l’offerta culturale della zona!
Simone Rebora
https://www.facebook.com/walkingartproject2016/
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati