Philip, do you know what the real subject is? It’s freedom
Willem de Kooning a Philip Guston
Il realismo è lo squarcio nel sistema di convenzioni stilistiche e linguistiche che in un determinato periodo servono a veicolare la realtà. Filtri su filtri; schermi su schermi; scansioni su scansioni: a un certo punto, irrompe la vita.
E te ne accorgi perché quel qualcuno (artista visivo, mettiamo, o scrittore, o regista) è riuscito – non si sa come, con quale fatica e a prezzo di quali sacrifici, di quante rinunce – a imporre una torsione pazzesca, potentissima a un tessuto informe fatti di abitudini e schemi rappresentativi.
E non per il puro gusto di dare scandalo, o con l’intento di stupire e basta: con il preciso scopo di far sentire agli altri, agli altri di ogni tempo e di ogni luogo, nella maniera più fedele e precisa possibile, quel sentimento della realtà, di essere-nella-realtà, quel punto di vista sul mondo – e non un altro – immodificabile in quel punto, che ti modifica.
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Accettazione della fragilità. Viverla.
Una forma oscura di realismo: si sprofonda a poco a poco, in questa rete: nessun caos – piuttosto, ordine talmente disposto e articolato da sconfinare, esondare, esorbitare, tracimare… (Sporgersi, oltre l’orlo.) La rete di un ragno? Qualcosa di simile.
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Bologna, 6 giugno 2016. Il lampo sugli occhiali da sole a goccia del poliziotto – seduto intento a fumare, nella camionetta blu parcheggiata davanti alla stazione – è questa, una visione dal futuro – quella faccia non si accorda granché con quella divisa, crea con essa un netto contrasto, mi ha visto (anche se io non posso vedere i suoi occhi), ha incrociato il mio sguardo – il divertimento & la minaccia, fusi insieme – forse vorrebbe chiedermi spiegazioni, o che io gli dessi motivo di fermarmi, ma sono vestito troppo bene in questo momento (trasmetto benessere, evidentemente). Non è il momento: per ora soprassiede.
Roma, 9 giugno 2016. Tutti i negozi cinesi di Piazza Vittorio hanno le pareti interne ricoperte da questi “moduli” – listelli bianchi di legno, a cui sono agganciati appendiabiti, mensole, scaffali ecc. (oppure, in molti casi, queste pareti sono vuote e desolate, e i listelli fanno un ambiente). Anche in questo sistema semplice, economico e a quanto pare universalmente accettato (è un sistema di organizzazione dello spazio chiaramente pianificato per tutte queste attività commerciali) si intravede il futuro. Questi negozi appaiono infatti spogli e al tempo stesso estremamente funzionali: è un’idea di efficienza e di essenzialità che li rende incomparabilmente diversi dai negozi “italiani”, sia del presente che del passato. L’essenzialità di questo presente-futuro non è la stessa, certamente, che caratterizza infatti la nostra tradizione, e che sopravvive ancora oggi in qualche bottega nei paesi e nelle città della Penisola. Questa nuova essenzialità parla decisamente un altro linguaggio, in gran parte sconosciuto, affascinante e inquietante. Viene letteralmente da un altro mondo. (Se poi vi infilate in uno di questi bugigattoli modulari – quello che vende orologi e bigiotteria, per esempio – e chiedete gentilmente lumi su questo sistema organizzativo dei listelli, la risposta un po’ infastidita è: “non so”; prima non vi capiscono, non capiscono proprio quello che gli state chiedendo; e quando vi capiscono non vogliono neanche sapere perché glielo state chiedendo, che andate trovando insomma: e anche in questo rifiuto c’è la bellezza alinea di una mente e di una percezione separate da voi da abissi di incomunicabilità e di differenza: quei listelli, quei moduli fanno parte, forse da sempre, di un’abitudine, di un modo di pensare, di una forma-di-vita, e l’altro modo – il vostro, l’occidentale – è semplicemente inconcepibile, antieconomico, disfunzionale – uno spreco, in altre parole. Quindi, che gli state chiedendo, che andate cercando?)
Christian Caliandro
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