Michel Butor, il lato umano del Nouveau Roman
Michel Butor è scomparso il 24 agosto, all’età di 89 anni. Alla fine degli Anni Cinquanta era stato un protagonista del Nouveau Roman. Qui lo ricorda Renato Barilli, che dall’altra parte delle Alpi, negli stessi anni, militava nel Gruppo 63.
Per me Michel Butor, appena scomparso, è sempre stato il numero due nell’ampio fronte del Nouveau Roman, a cui andava tutto il mio impegno da fiero militante del Gruppo 63, ovvero della neoavanguardia italiana, che a dire il vero, fortissima in poesia, era alquanto carente a livello narrativo, e appunto per questo mi ero rivolto agli scrittori francesi come a un Eldorado colmo di promesse.
Il numero uno era Alain Robbe-Grillet, che però si presentava accompagnato da un alone di disumanità, dato che nei suoi romanzi il soggetto umano pareva rimanere schiacciato dalla presenza degli oggetti (“les choses sont là”), mentre il deuteragonista Butor seguiva passo passo l’anonima maggioranza silenziosa in indagini minuziose, a tappeto.
Per cui, in uno degli incontri cui negli Anni Sessanta venivo chiamato come maggiore specialista del Nouveau Roman, alla sua presenza osai profetizzargli la vincita del Premio Nobel. Così invece non è stato, si è preferito il pur valido, ma inferiore a entrambi, Claude Simon. Non è neppure valso che gli reiterassi l’augurio quando nel 1998 ebbi l’onore di essere al suo fianco, a lui vincitore del Premio Ferronia come grande autore straniero, io stesso per la mia attività di critico militante.
Fu l’ultima volta che lo vidi, col coraggio di presentarsi in salopette, in tuta da lavoro, da operaio delle lettere, il ruolo in cui volle sempre riconoscersi, fin dall’apparizione della Moification del ’57. Oggi la si direbbe opera di docu-fiction, per quella diligente cronaca di un amante che va su e giù, da Parigi a Roma, per coltivare i suoi due ménage sentimentali. E appunto fin da quel primo momento l’uomo comune era là, seguito da vicino, nel suo Emploi du temps, il capolavoro del ’56, ma soprattutto nelle infinite peregrinazioni che, pervenuta la società affluente, un turismo di massa rivolgeva, come oggi, a Venezia, alla Basilica di San Marco.
E già allora Butor aveva compreso tutti i limiti di una narrativa cartacea, legata alla solitudine delle singole pagine che si succedono monotone. Aveva compreso che, proprio per afferrare una invasiva realtà magari banale, ma multipla, esondante da ogni parte, bisognava apprestare come una scrittura a banda larga, anzi, distribuita su varie bande chiamate a scorrere in parallelo, a sfida dell’idolo nascente proprio negli Anni Sessanta, in piena concomitanza con la cultura Pop, cioè la poesia visiva. Questa voracità volta ad appropriarsi delle reazioni della folla si accompagnava a una uguale fame topografica, per esempio, da insaziabile pellegrino negli USA, egli andava a mettere in parallelo le reazioni, come sempre, della gente comune che in simultanea venivano avvertite, nelle diverse ore della giornata provocate dal variare dei fusi orari, e nelle innumerevoli località chiamate con lo stesso nome, le infinite Rome o Venice distribuite negli States.
Michel Butor et ses livres-objets
In sostanza, Butor ha fiancheggiato il massimo evento da cui sono state colpite le arti visive a seguito della sindrome del ’68, quando si è parlato di una “morte dell’arte”. Lui ha avuto il coraggio di avventurarsi in una ancor più audace “morte della letteratura”, se appunto questa pretende di rimanere un rito cartaceo, distinto dagli apporti visivi. Per cui un suo saggio come Les mots dans la peinture ha davvero un valore capitale, funziona come una stele di Rosetta che permette la conversione da un sistema all’altro, superando barriere. Anche in questo campo, è l’ora di erigere ponti, e non steccati.
In sostanza, i due capofila del Nouveau Roman si sono divisi i compiti: Robbe-Grillet si è dato a saggiare tutte le possibilità di un romanzesco rinascente nel nome del postmoderno e di una sfida al kitsch, lasciando al suo amico-rivale la missione di sondare l’alternativa di una ibridazione tra i diversi settori della creatività. A nessuno dei due è andato il Nobel, ma chi se ne intende veramente glielo ha decretato con piena convinzione e commozione.
Renato Barilli
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