Terremoto e ricostruzione. Parola a Luigi Prestinenza Puglisi
Dopo l’intervento di Massimiliano Tonelli e dell’urbanista Raffaele Giannitelli, tocca a Luigi Prestinenza Puglisi dire la sua in merito al delicato processo di ricostruzione che deve far seguito al sisma. Ma come intervenire in un Paese che sceglie da sempre il nostalgico ripristino di ciò che non esiste più, errori compresi, invece di guardare al futuro e al cambiamento?
ITALIA FUORI TEMPO
Il nostro è il Belpaese della nostalgia. Costruiamo automobili che fanno il verso alle Fiat degli anni del boom economico, vestiamo hostess e steward dell’Alitalia come se vivessero negli Anni Cinquanta, chiamiamo i nostri alberghi non più “Moderno” ma, senza provare alcun imbarazzo, “Antica locanda” o “Vecchia taverna”. Siamo i più bravi nel restauro e sappiamo antichizzare qualsiasi superficie; imbattibili nella cucina tradizionale; e nessuno può competere con i nostri progettisti nel recupero di centri antichi, vecchi casolari, ruderi di ogni tipo. Più acquisiamo abilità in queste pratiche, più ne perdiamo in quelle che rendono moderne le nazioni: e difatti la Fiat si è trasferita in America e l’Alitalia negli Emirati. Per fare una metropolitana impieghiamo tempi biblici, per un’opera pubblica non bastano quindici anni e per un centro congressi, in realtà assai bello come la Nuvola di Roma, siamo capaci di spendere oltre 400 milioni di euro completandolo dopo 20 anni, quando è oramai fuori tempo massimo. Inoltre, siamo capaci di costruire quartieri bruttissimi, se non repellenti, che fanno acqua, letteralmente, da tutte le parti. Non abbiamo una legge per l’architettura per promuovere, attraverso concorsi, i progettisti più bravi. Anzi della qualità estetica del progetto pare non interessare niente a nessuno.
L’INCUBO DELLA PERIFERIA ALL’ITALIANA
Scusate la lunga premessa, ma serviva per dare una risposta a questa domanda: quale ricostruzione dopo il terremoto? La risposta non può che essere: quella dove siamo più bravi, e cioè seguendo la nostra inclinazione per il falso, il vintage, il presepe. Lo sappiamo fare meravigliosamente e lo vogliono gli abitanti dei luoghi che preferiscono uno scenario somigliante a quello al quale sono abituati invece che uno a loro estraneo. Del resto, le esperienze del passato, in occasione di altre ricostruzioni post sisma, sono state devastanti: da quell’orrore fuori misura che è Gibellina nel Belìce al famigerato piano C. A. S. E. in Abruzzo. Con quale coraggio si può proporre a un abitante di Amatrice, o di uno dei comuni distrutti dal sisma, il pericolo anche lontano di patire sulla propria pelle una simile esperienza, solo per sperimentare una modernità che purtroppo ci è sempre più estranea?
Ricostruiamo allora dov’era e com’era, non perdiamo tempo a ipotizzare scenari alternativi. Ha ragione Renzo Piano, che però, lo ricordiamo, deve la sua fama a Paesi che hanno accettato il rischio di farlo costruire proprio nei loro non meno preziosi centri storici. Meglio il ridicolo di un presepe che l’incubo di una periferia all’italiana, per umanizzare la quale occorreranno duecento anni. Tanto sono pochi quelli che riescono a distinguere il vero dal falso, l’originale dalla copia.
RICOSTRUIRE GLI ERRORI
Vi è però un problema che dovrebbe farci riflettere: nella ricostruzione bisogna conservare gli errori? Pensare che un capolavoro, o anche un’opera riuscita, debba essere fotocopiata dov’era e com’era è relativamente semplice, basta utilizzare le tecniche più idonee a far sembrare vero il falso, ma pensare a ricostruire un errore fa tremare i polsi.
Prendiamo per esempio un bagno su un terrazzino, come ce ne sono tanti nei centri storici. È una superfetazione: la lasciamo? Un ambiente male illuminato non ha diritto a una finestra più larga? Un isolato con volumetrie mal distribuite e poco salubri non richiede una diversa illuminazione e distribuzione? O lasciamo tutto come era? Direi di no. E allora come comportarsi? Disegnando ancora il falso e facendo il verso all’esistente o muovendoci con bravura e coraggio come ci hanno insegnato i nostri progettisti migliori, i maestri Ponti, Scarpa, Moretti, Albini, BBPR, Mollino, Gardella, Canali? Una tradizione di confronto con la storia, questa sì, che tutto il mondo ci invidia.
LE SOLUZIONI: INTELLIGENZA E NUOVE FORME
Vi sono poi alcuni edifici che non hanno neanche valore ambientale, che non solo non riescono a fare colore ma che già da prima del sisma stonavano con il presepe. Cosa fare? Rifacciamo tali e quali anche questi? Conserviamo le loro tozze volumetrie e le loro insignificanti sagome?
In tutti i paesi civili – penso alla Francia, alla Spagna, alla Svizzera, all’Olanda, alla Gran Bretagna – la storia non è un tabù come in Italia. E la loro risposta è stata: correggiamo gli errori, innalziamo la qualità, introduciamo con intelligenza tecniche e forme nuove che sappiano dialogare e migliorare.
Ecco perché propongo quattro o cinque interventi pilota (con “quattro o cinque” intendo un numero limitato e ragionevole da gestire) di qualità, e quindi affidati ai migliori progettisti attraverso una agevole ma seria procedura concorsuale. Teniamoci, allora, il presepe, se è quanto di meglio questa povera Italia sa produrre, ma almeno senza quel feticismo che contribuisce, giorno dopo giorno, a trasformarci nel Paese della nostalgia senza ritorno.
Luigi Prestinenza Puglisi
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