La passione per l’arte nutrita da David Totah non conosce limiti. Nato in una famiglia di collezionisti e dealer, Totah sembra sentirsi a proprio agio anche nei panni del gallerista. Risale allo scorso febbraio, infatti, l’inaugurazione della galleria nel Lower East Side che porta il suo nome e che ha aperto i battenti con il dialogo espositivo tra Alighiero Boetti e Mel Bochner. Ci ha raccontato tutti i dettagli in questa intervista.
Hai aperto la tua galleria d’arte a New York con la mostra Verba Volant, Scripta Manent, che mette a confronto l’artista italiano Alighiero Boetti e l’americano Mel Bochner. Cosa ti ha spinto ad aprire una galleria d’arte e come hai scelto questi due maestri?
Una delle motivazioni principali che mi ha portato ad aprire una galleria è stata la volontà, da un lato, di offrire al pubblico un luogo per esplorare l’arte e, dall’altro, di facilitare le connessioni creative, che possono materializzarsi attraverso progetti differenti.
Quando incontrai Mel Bochner per la prima volta, gli dissi che lui era il mio Boetti americano. Quella definizione lo divertì molto. Fu allora che mi disse che aveva conosciuto Boetti all’inizio degli Anni Settanta in Italia e che si erano scambiati anche delle opere. La mia intenzione era di far emergere le similitudini tra i due artisti, e allo stesso tempo sottolineare le pur significative differenze di stile e contenuto di ognuno.
Quali sono le similitudini tra i due?
Sia Bochner che Boetti hanno ricoperto un ruolo di primaria importanza all’interno del movimento dell’arte concettuale nei rispettivi paesi d’origine, ed entrambi si sono dedicati all’approfondimento del linguaggio come modalità di espressione artistica. Entrambi hanno scelti di lavorare con media non convenzionali: Boetti con il ricamo di cotone, e Bochner con il velluto. Entrambi gli artisti hanno un modo particolare di creare opere visivamente molto accattivanti, che permettono all’arte concettuale di allontanarsi dall’estetica ascetica che si è autoimposta. Sono riusciti a renderla più attraente e interessante anche a chi non è sensibile al “concetto”. Le opere di Mel, di un sarcasmo irriverente, realizzate con colori e contrasti forti, sono più che mai contemporanee, e quindi accessibili a tutte le generazioni. Le frasi mistiche di Boetti, ricamate su tela, rendono le opere senza tempo.
Che valore ha avuto per te questa mostra?
Verba Volant, Scripta Manent è stato anche un modo per creare un ponte tra la mia infanzia passata accanto a Boetti – un caro amico di famiglia e quindi spesso a casa nostra in Italia, anche mostrato nella galleria londinese di mio zio – e la mia vita adulta come gallerista a New York e amico di Mel Bochner.
Consideri la tua prima mostra un successo?
Per essere una galleria nuova, il livello di interesse suscitato è stato una bella sorpresa. All’inaugurazione sono venute quasi 400 persone, e Artforum e Artnet hanno menzionato la mostra nella sezione “Da non perdere”. Molti curatori e veterani dell’arte sono rimasti sorpresi che i due artisti non fossero mai stati messi a confronto. Fatto ancora più importante, Mel Bochner è stato molto contento di tutta l’esperienza: una grande conferma per me, visto che sono molto grato per la sua decisione istintiva di partecipare a questo mio primo progetto.
Verba Volant, Scripta Manent è il titolo di una delle tele ricamate di Boetti. Entrambi gli artisti usano lettere e parole, e il significato va oltre il contenuto visivo. L’opera La persona e il personaggio (Boetti, 1985), per esempio, mi fa pensare alle tematiche riguardanti il nostro “essere o non essere” sui social media. Se guardo Complain (2009) o Bla Bla Bla (2015) di Mel Bochner, penso subito al disagio che molti provano in diversi contesti sociali, obbligatori ma inutili. Cosa ne pensi? Hai un’opera preferita che parla di queste o altre tematiche che consideri particolarmente rilevanti per la società contemporanea?
Il titolo Verba Volant, Scripta Manent è un tributo alle mie intenzioni di curare una mostra solamente con opere costruite sulle parole dei due artisti. Vuole essere un riferimento alle opere della serie Bla Bla Bla di Mel Bochner, ma anche un’affermazione in linea con il mio modo di pensare e che definisce la mission della mia galleria: focalizzarsi sulle azioni e non sulle chiacchiere inutili. La persona e il personaggio si riferisce alla decisione di Boetti di dividersi in due: Alighiero (la persona riservata, nota solo a una cerchia intima) e Boetti (l’artista, la figura pubblica). Forse Boetti l’aveva concepito per proteggere se stesso dalla mondanità e per mantenere una sorta di distanza dal mondo esterno. Tanti di noi sentono il bisogno di costruirsi un personaggio per ricevere approvazione, per avere un posto nella società, per essere accettati e non marginalizzati. Che la sicurezza di sé dipenda da un’approvazione esterna è un fatto sempre esistito nella storia dell’umanità. I social media stanno solo amplificando questo fattore. Il comportamento umano è lo stesso, ma gli strumenti per comunicare sono diventati più sofisticati.
Oggi, grazie alla tecnologia, abbiamo la fortuna contraddittoria di poter essere visibili contemporaneamente e ovunque; allo stesso tempo, ci stiamo perdendo sempre di più in un oceano di informazioni e immagini senza veri contenuti. La concezione che abbiamo di noi stessi è influenzata dall’approvazione di terzi, o meglio dai like o feedback. La comunicazione di oggi cerca soprattutto di attirare l’attenzione, e meno di comunicare contenuti. La conseguenza è una perdita di identità e, nel peggiore dei casi, una mancata identificazione con il vero sé. Come si posiziona TOTAH in questo contesto?
Nella mia galleria diamo valore alla tecnologia e al progresso. La tecnologia ha permesso alle persone di connettersi e ha abbassato le barriere geografiche, sociali e culturali. D’altro canto, io personalmente non sono mai stato a mio agio con l’invasione della privacy che comporta. Essendo una persona molto riservata, non ho mai avuto un profilo Facebook o altro, ma ho iniziato con Instagram l’anno scorso prima dell’apertura della galleria per offrire al pubblico un’idea della mia identità e delle mie intuizioni artistiche. Metto a disposizione una selezione silenziosa di immagini, creando una galleria virtuale, con la speranza di far mettere in contatto amici e persone con interessi simili, e di diffondere i miei messaggi. Comprendiamo però i limiti di questi scambi virtuali. Se l’intenzione diventa quella di impressionare o sedurre un pubblico, piuttosto che di comunicare il vero sé, allora c’è il rischio di perdere la propria identità. Quello che conta davvero, alla lunga, è mantenere un’integrità nel messaggio, che significa non soccombere a una corsa verso la popolarità, la gabbia dorata del liker/ follower.
Poter essere dovunque in ogni momento comporta la consapevolezza che le nostre esperienze sono considerate ovvie. Io ritengo che queste opere d’arte mettano tale ovvietà fortemente in discussione. Cosa ne pensi?
TOTAH crede nell’alchimia che si crea grazie alle interazioni umane. Concepiamo il nostro spazio come un punto di incontro per l’arte, gli artisti e il pubblico.
La tecnologia ci ha abituati all’idea di poter essere ovunque in ogni momento: ci offre una piccola fetta di qualcosa da qualche parte nel mondo, soddisfacendo la nostra curiosità senza costringerci a farne reale esperienza di persona. Guardare immagini di paesaggi incredibili è un’attività piacevole, ma non ci offrirà mai la vera emozione dell’esserci realmente stati. La stessa cosa vale per l’arte. Guardare immagini su uno schermo può soddisfare la nostra curiosità, ma non ci permetterà di provare una reale connessione con l’opera d’arte. Guardare l’arte dovrebbe essere un’esperienza. E dobbiamo essere circondati dall’arte fisicamente per provare e determinare se si tratta di un’esperienza stimolante oppure no. Le opere della mostra Boetti-Bochner ne sono un buon esempio. Negli arazzi di Boetti, il misticismo delle sue parole e l’assenza del tempo nell’opera finale possono essere percepiti soltanto standovi di fronte. Lo stesso avviene per Bochner. L’impatto totale delle sue opere può essere percepito soltanto di persona: il modo in cui il velluto assorbe la luce, mentre gli spessi strati di pittura a olio la riflettono, permette alle sue parole irritanti di saltare fuori e provocare in noi, inevitabilmente, una forte reazione.
Osservando gli artisti sotto questo aspetto, le loro opere acquistano un nuovo carattere, e possiamo dire che le affermazioni di Boetti abbiano una qualità quasi futuristica e universale. Ammazzare il tempo (1982), Le infinite possibilità di esistere (1990 ca.) o Da figura a veritas (1982), per menzionarne alcune, mi fanno pensare alle possibilità offerte dall’utilizzo dei social media per comunicare in una varietà di modi e per definire noi stessi.
Ritengo che Boetti fosse in cerca di verità mistiche, e questo è un aspetto senza tempo. Chi è “in cerca” si destreggia tra esperienze personali, rinforzate da scoperte predeterminate, e il bisogno di comunicare una visione. I social media permettono a ognuno di noi di creare e pubblicare il nostro personale messaggio. Ognuno può diventare un messaggero per un grande pubblico. Si tratta di un punto di svolta per gli artisti, visto che di questi tempi l’oggettività e l’indipendenza dei media tradizionali vengono messi sempre più in discussione.
La tua mostra attuale è una personale dell’architetto e artista italiana Lauretta Vinciarelli. Vinciarelli è un personaggio molto noto nel mondo dell’arte e allo stesso tempo ancora una scoperta per i non addetti ai lavori. Ora è anche una dei tre artisti della tua scuderia. Quali sono le ragioni di tale scelta?
Lauretta Vinciarelli è l’unica artista della nostra scuderia che non è più in vita. In effetti non era molto conosciuta (nonostante la sua importanza), eccetto che in una cerchia ristretta di amici intimi e colleghi di lavoro, spesso legati al suo ruolo di professore di architettura o alla sua lunga relazione con Donald Judd. Ci riteniamo molto fortunati di aver contribuito a farla scoprire a un pubblico più ampio. Per me era molto importante offrire un’immagine di Vinciarelli slegata da queste associazioni precedenti, per mostrarla sotto l’aspetto del suo talento artistico. Vinciarelli aveva un’abilità particolare nell’emulare la luce, e nel rendere un senso di vuoto, molto presente nei suoi lavori più tardivi, ma che aveva in qualche modo trascurato durante la sua vita. Ora il MoMA ha acquisito la maggior parte delle sue opere con l’intenzione di curare una retrospettiva.
Hai in mente di aggiungere altri artisti alla tua scuderia? In che modo li selezioni?
Consideriamo la nostra scuderia di artisti la nostra famiglia, e intendiamo prenderci il nostro tempo, far crescere il programma in modo graduale e organico e costruire relazioni solide basate sull’alchimia tra le parti. Questo processo è in linea con la mia attività di collezionista degli anni passati: un’attrazione istantanea verso l’opera d’arte che porta inevitabilmente a una connessione con l’artista. Annunceremo presto un’altra aggiunta alla scuderia, un artista di Los Angeles.
Da critica d’arte e curatrice, osservo una tendenza a riscoprire artisti più anziani e accoppiarli con giovani talenti, o mostrarli in contesti contemporanei. Sei d’accordo? Anche il tuo concetto espositivo ne tiene conto?
È diventata una tendenza, specialmente alla luce dei prezzi astronomici ottenuti per certi artisti giovani la cui longevità è effimera. Alcuni dealer ritornano agli artisti della generazione precedente che sono meno conosciuti e che, nel lungo periodo, possano costituire un punto di vista più interessante. Sin dalla mia giovinezza sono stato circondato da artisti del periodo che va dai Cubisti al presente, e come collezionista e dealer privato ho sempre (e volentieri) allestito insieme periodi differenti. Durante i miei anni nel mondo della finanza usavo i miei uffici come piccola galleria, mettendo assieme istintivamente giovani talenti e artisti storicamente affermati. Uno degli obiettivi di TOTAH è di esplorare le connessioni tra questi artisti e creare un ponte tra i diversi periodi in un unico contesto. La nostra prossima mostra, Cosmic Connections, sarà una mostra collettiva con artisti dal 1800 a oggi.
TOTAH ha organizzato mostre di lunga durata (tre mesi sia per la mostra di apertura sia per quella attuale), un approccio più simile alla programmazione di un museo che di una galleria d’arte tradizionale. In aggiunta, alcune delle opere che hai esposto non sono in vendita e vengono mostrate esclusivamente per il loro valore storico e culturale.
Per ora questo è il ritmo di lavoro con cui mi sento a mio agio. Il tempo per la programmazione delle mostre del prossimo anno sarà dettato solamente dal numero di idee promettenti che mi verranno durante questo lasso di tempo. Per la mostra di Boetti e Bochner ci è voluto un sacco di tempo e di energie. Oltretutto è stata la prima volta che questi due artisti sono stati esposti insieme, e io volevo essere sicuro di dare al pubblico il tempo per conoscerci e scoprire la nostra galleria.
Mi sembra che oggi qualsiasi cosa si faccia sia dettata dal tempo e altre contingenze, e penso che quando si tratta di avere un’esperienza con l’arte, il tempo dovrebbe fermarsi – almeno per un po’. Siamo tutti bombardati da inaugurazioni, nuove mostre, nuove gallerie, tantissime fiere… il pubblico è saturo di eventi a cui partecipare, e quindi noi vorremmo offrire un’opzione diversa, dare più tempo e togliere un po’ di pressione.
Potresti dirci di più sul modo in cui, secondo te, il modello di galleria e quello di museo competono, contrastano e si completano? Il tuo modello è un ibrido tra i due?
La mia intenzione è quella di costruire un hub culturale, non solo una galleria, e opere storiche (in prestito) saranno spesso parte di quello che faremo. Di frequente i musei hanno risorse illimitate, il loro programma è determinato con anni di anticipo e possono esserci un sacco di politiche da rispettare durante quei processi. Il piccolo vantaggio dell’essere una galleria sta nella scioltezza delle decisioni, visto che sono centralizzate.
Hai detto che hai scelto consapevolmente il Lower East Side per TOTAH. I giornalisti riportano che quest’area di New York stia vivendo un vero e proprio gallery boom, con 224 gallerie già al settembre 2015. Sei stato influenzato da questo fattore nella scelta della location?
La scelta del Lower East Side per TOTAH è venuta molto naturale. Il quartiere offre due aspetti fondamentali, in linea con il nostro spazio e la mission della galleria: il senso di libertà e di autenticità. Quando ho cominciato a cercare la location giusta, la storia del Lower East Side era molto tangibile e le sue dimensioni lo rendono molto più umano e accogliente di altre parti di Manhattan. Inoltre, combaciava con le nostre intenzioni di sfidare le definizioni e trascendere i limiti.
Che ruolo vorresti avere nell’interazione faccia a faccia con la comunità locale, il quartiere stesso?
Durante i lavori di ristrutturazione abbiamo deciso di preservare alcuni elementi storici dell’edificio. Ma la gentrificazione avviene rapidamente; e noi siamo fortunati, perché siamo molto a est, circondati da giardini pubblici e scuole, quindi meno esposti al cambiamento. Abbiamo invitato Kenny Scharf a dipingere le serrande di TOTAH per restituire alla zona il suo tocco magico, rievocando il suo passato nella storia della Street Art dell’East Village degli Anni Ottanta. Abbiamo anche lanciato un programma di film e proiezioni due volte alla settimana, gratuito e aperto al pubblico, visto che proprio qui è nata la scena del cinema d’avanguardia degli Anni Sessanta e Settanta.
Vediamo TOTAH come un luogo di convergenze per menti creative, più un hub culturale che una galleria tradizionale, e speriamo di contribuire a migliorare l’area e allo stesso tempo conservare la sua anima.
Intuizione, sincronicità, metafisica: sono tutti temi di cui ti interessi molto personalmente. Si rifletterà nelle future scelte di artisti e mostre?
Io seguo la mia intuizione per ogni decisione che devo prendere, anche se in quel momento sembra non avere senso. I miei istinti mi hanno guidato fino a qui, e ogni volta verso le opere, le persone e i posti giusti.
Poco prima dei 30 anni ho cominciato a interessarmi alle teorie di Jung e alle filosofie orientali. Queste mi hanno permesso di comprendere meglio alcuni aspetti della mia vita che in quel momento sembravano surreali. Sono diventato più ricettivo verso certi segnali e in grado di interpretarli nei diversi contesti.
Non credo nelle coincidenze, niente accade per caso. Credo invece nelle sincronicità che accadono per aiutarti a seguire la tua vocazione. Sono affascinato dagli artisti che trasmettono un mistero nel proprio lavoro. Può essere astratto o figurativo, e non è un’immagine ma un’energia ad attirarmi, o no, verso un’opera d’arte. Solo dopo anni di collezionismo mi sono reso conto di essere capace di leggere nell’opera l’anima di un artista. Se sento una connessione, divento un cacciatore, non soddisfatto fino a quando non comprendo cosa mi fa sentire in quel modo. Mistero, misticismo, metafisica saranno sempre un punto centrale nel mio operare per la galleria.
Recentemente hai ottenuto la cittadinanza negli Stati Uniti. Gli artisti che rappresenti in questo momento sono invece tutti europei. Potresti rivelare qualcosa del tuo desiderio di unificare distanze apparenti? Quali differenze noti tra artisti europei e americani? Avendo radici in Europa, come pensi che queste influenzino le tue scelte e i modi di collaborare?
Sì, dopo 22 anni negli Stati Uniti ho finalmente deciso di diventare cittadino americano. Sono cresciuto in Europa, ma gli Stati Uniti sono diventati la mia casa e ora sento che appartengo a questo luogo più che a qualsiasi altra parte del mondo. È interessante come due degli artisti della mia scuderia siano anche loro europei che hanno scelto di vivere negli Stati Uniti in giovane età: Lauretta Vinciarelli (italiana) e Aleksandar Duravcevic, originario del Montenegro, ma qui da più di 20 anni. Probabilmente ho qualche tratto europeo, ma non faccio distinzioni tra paesi o culture, e infatti sono sempre stato aperto, curioso e attratto dal rompere confini di ogni tipo. Gli artisti di TOTAH sono scelti in base al riconoscimento di un talento che non ha bisogno di traduzioni interculturali. Vorrei dare rilevanza a tutti quegli artisti in grado di trasmettere un messaggio che possa toccare chiunque, indipendentemente dalle origini.
Sara Corona
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