Palermo riparte dalla cultura. Intervista all’assessore Andrea Cusumano
Dagli interventi su ZAC, alla prossima Manifesta fino alla riorganizzazione amministrativa del sistema culturale palermitano. Cusumano racconta il suo biennio di assessorato e la propria visione umanistica della politica.
Artista, cosmopolita, mitteleuropeo e mediterraneo. Adesso Andrea Cusumano è assessore alla Cultura del Comune di Palermo. Due anni fa la proposta del sindaco Leoluca Orlando, con un obiettivo preciso: il rilancio del capoluogo siciliano, puntando tutto sulla cultura e sui diritti umani. E così, da Londra, l’intellettuale prestato alla politica torna sul suolo natio. Con i piedi per terra, le idee chiare e un evidente entusiasmo: “Palermo è una città che amo, ha molte cose che non vanno, che però possono essere modificate. Il clima sta cambiando, i palermitani hanno voglia di fare. È il momento di rimboccarsi le maniche. Serve che la città abbia uno scatto di orgoglio e riesca a offrirsi per quello che è: una città straordinaria, bellissima e piena di risorse”.
Ci racconti in breve di Andrea Cusumano artista e della sua esperienza in Inghilterra.
Nella mia “vita precedente” sono stato pittore e scultore. Molto giovane mi sono trasferito in Austria e alla Sommerakademie di Salisburgo ho seguito i corsi di Georg Eisler e di Hermann Nitsch. Con quest’ultimo è nata una grande amicizia e in seguito una collaborazione: mi chiese di aiutarlo nella realizzazione del Teatro dei Sei Giorni e, per un anno, sono stato nel suo castello di Prinzendorf per lavorare alla parte scenografica, teatrale e musicale della performance. Negli anni seguenti ho insegnato a Salisburgo nelle classi di pittura di Nitsch, Jacobo Borges e Geoffrey Hendricks. In quel periodo molti artisti palermitani vennero a studiare a Salisburgo; durante i miei anni all’estero ho sempre cercato di coinvolgere Palermo nelle mie attività.
E Londra quando è arrivata?
Dopo quattro anni mi sono trasferito a Londra per studiare al Central Saint Martin, esperienza che mi ha portato a traslare il mio lavoro artistico da bidimensionale a diacronico, drammaturgico. Al termine degli studi, ho iniziato a insegnare al Saint Martin e al Rose Bruford College, occupandomi di scenografia e teatro. Infine sono approdato al Goldsmiths College, dove avevo vinto la cattedra in Performance e drammaturgia dello spazio. Pittura, scultura, installazione e teatro: sono state queste le mie attività prima di diventare assessore.
Tre anni fa ha chiesto e ottenuto la cittadinanza britannica. Cosa pensa di Brexit?
Sono cresciuto nel momento in cui l’Europa si è formata culturalmente. Ero in Austria quando Schengen diventò attiva, per lavoro giravo in macchina per tutto il continente. Brexit è stato un colpo pesante, un errore strategico del Primo Ministro Cameron, che ha messo in luce come il Paese sia spaccato al suo interno. Le tematiche xenofobe emerse in occasione di Brexit sono il segnale evidente di come il progetto di Comunità Europea stia vacillando. Invece è proprio nella diversità delle culture che si denotano l’identità europea, l’unità e il dialogo.
Da artista ad assessore alla cultura. Come si è rivelato il rapporto diretto con la politica?
Non avevo mai avuto esperienza diretta di vita politica, né da protagonista né da partecipante. È un ruolo che non avrei accettato da nessun’altra parte al mondo se non a Palermo, perché è il posto in cui sono nato e che avrei sempre voluto diverso rispetto a come l’ho esperito. Quando mi è stata offerta questa opportunità, mi trovavo a Palermo per la prima de Il Principe al Teatro Garibaldi, uno spettacolo a cui avevo lavorato per più di un anno in Inghilterra. Avrei dovuto iniziare una tournée, ma in quell’occasione incontrai il sindaco Orlando che mi propose l’assessorato. Ho accettato perché volevo dare il mio contributo per cambiare determinate politiche culturali: a Palermo si lavora sempre sulle emergenze, ma adesso bisogna avere una prospettiva più ampia, lavorando sulla programmazione a lungo termine e provando a cambiare l’immagine della città.
Palermo è uscita sconfitta dalle candidature a Capitale dello Sport 2016 e Capitale europea della Cultura 2019. Adesso si sta puntando su Manifesta nel 2018. Come si sta preparando la città a questo appuntamento e cosa può anticiparci sul curatore della manifestazione?
Non si tratta di sconfitte. Il lavoro fatto per la candidatura a Capitale europea della Cultura 2019 ha consentito di intraprendere più velocemente il lavoro per Manifesta e quello per Capitale italiana della Cultura 2018. Peraltro è uscita una legge di stato che prevede una progettualità da 2 milioni di euro destinati alle città candidate a Capitale della Cultura 2019 per realizzare, qualora queste città dovessero partecipare, eventi in concomitanza con il cartellone di Matera. Manifesta è un’opportunità importante che può portare a Palermo sviluppo e potenzialità, anche dopo la manifestazione. Il nome del curatore sarà una grande sorpresa, e darà la cifra dell’impegno che l’Amministrazione e la Fondazione Manifesta stanno mettendo per Palermo. Sarà un nome che implicitamente esprime una riflessione sul territorio e sullo sviluppo della città come sistema. Manifesta non sarà declinata come una mostra, ma come un grande contenitore: non saranno coinvolti soltanto gli spazi museali, ma si è pensato alla città come polo museale diffuso.
Diritti umani e migrazione saranno i temi di Manifesta, come anticipato a Zurigo da Leoluca Orlando, che ha parlato della volontà di “tradurre in lingua mediterranea e siciliana questa iniziativa mitteleuropea”.
Manifesta nasce con lo scopo di costruire attraverso l’arte contemporanea un percorso verso l’identità comune europea, indagando, come dice la fondatrice della manifestazione Hedwig Fijen, “il DNA europeo”. Questo tipo di indagine, oggi, non può che passare attraverso la dimensione mediterranea: i temi con cui l’umanità deve fare i conti sono la migrazione e la sostenibilità ambientale, e Palermo è stata scelta anche grazie al lavoro che è stato fatto in tal senso. La proposta per l’abolizione del permesso di soggiorno potrebbe essere vista come un pericolo, ma la situazione palermitana dimostra che proprio un approccio di questo tipo può portare sicurezza: le comunità multietniche in città sono rappresentate dalla Consulta delle culture e hanno un dialogo continuo con l’Amministrazione. Noi non proponiamo un modello di integrazione, ma un modello di sincretismo culturale, in cui la valorizzazione delle singole culture e la loro convivenza è possibile e si traduce in accoglienza, apertura e dialogo.
Arte ed etica: questo filone di ricerca può rivelarsi la cifra stilistica che farebbe di Palermo un centro di sperimentazione artistica di livello internazionale?
L’arte è il luogo in cui etica ed estetica collimano. La bellezza non è un dato fine a se stesso, ma per quanto mi riguarda è un compito, e si confronta sempre con la dimensione umana e con la storia. Questa idea di bellezza oggi deve essere interpretata in maniera etica. La situazione emergenziale in cui ci troviamo offre l’opportunità di riflettere su queste tematiche fondamentali dell’umanità a cui l’arte ha sempre cercato di dare risposte. Riuscire a innescare un progetto culturale di questo tipo è per Palermo una grande opportunità e dimostra che la città è entrata in un dibattito internazionale e può dare il suo contributo interloquendo su temi globali.
Dopo anni di turbolenze gestionali, lo ZAC sta finalmente vedendo la luce con una buona programmazione di mostre. Che tipo di interventi sono stati necessari per risollevare le sorti di questo spazio? È possibile farne un punto di riferimento per il contemporaneo?
Quando sono arrivato, il progetto ZAC sui giovani artisti non funzionava più. Ho trovato uno spazio chiuso e abbandonato. Ho dovuto fare delle scelte, ho deciso di dare una dimensione internazionale allo spazio, creando una programmazione coerente con gli orizzonti dell’amministrazione in tema di accoglienza e diversità. Questa linea ha portato alle mostre di Regina Jose Galindo, Mauro D’Agati, Hermann Nitsch, Letizia Battaglia, Mustafa Sabbagh, Ernesto Bazan, a ottobre sarà la volta di Cuba. Tatuare la storia (attualmente in corso al PAC di Milano), e a breve annunceremo la programmazione della prossima stagione. Questo ha dato la possibilità di fare entrare ZAC e i nostri artisti in un circuito internazionale e i legami che si stanno costruendo con il PAC e il MAXXI rientrano in questo nuovo indirizzo. Il progetto iniziale di ZAC invece è stato spostato a Palazzo Ziino dove, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti, da settembre partirà la programmazione sull’arte giovane palermitana.
Quanto è determinante la sinergia tra pubblico e privato nella promozione culturale? Quali sono le collaborazioni attualmente attive in città?
Negli ultimi anni si assiste a una progressiva riduzione delle risorse pubbliche che comporta anche una riduzione dell’investimento in ambito culturale. Il pubblico non funziona più come una volta, di conseguenza bisogna lavorare in maniera diversa: abbiamo intensificato la sinergia con tutte le principali istituzioni culturali della città, come il Teatro Massimo, l’Accademia di Belle Arti, il Teatro Biondo (la situazione del teatro nel frattempo è in divenire, n.d.r.), il Conservatorio e l’Università, aprendoci anche alle iniziative private che hanno carattere pubblico. Ne è un esempio il progetto di Francesca e Massimo Valsecchi, che hanno deciso di trasferire la loro straordinaria collezione di arte antica e contemporanea a Palazzo Butera, splendido edificio del centro storico da loro acquistato e in ristrutturazione, che sarà anche uno dei poli di Manifesta. È un progetto pensato per Palermo, che sposa appieno la visione dell’Amministrazione in tema di sviluppo culturale.
Sono passati due anni da quando le è stato affidato l’assessorato. Bilancio positivo?
Gli obiettivi più importanti raggiunti sono di carattere amministrativo, come la riorganizzazione del sistema cultura e degli uffici, la maggiore efficienza nella programmazione e le sinergie con le istituzioni culturali per il rilancio internazionale della città. Il lavoro da fare ancora è tanto, ma la strada è quella giusta.
Desirée Maida
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