L’armonia corre sul filo. Intervista a Emilio Cavallini

Incontrastato “signore delle calze” della moda internazionale, ha affiancato l'ininterrotta produzione industriale alla realizzazione di un cospicuo numero di opere innovative, dove la cifra stilistica mutuava elementi e suggestioni dal mondo della moda, della matematica, dell'architettura. Lui è Emilio Cavallini e noi l’abbiamo intervistato.

L’accessorio che Emilio Cavallini (San Miniato, 1945) ha innalzato a indumento da quando la minigonna “rivelò” le gambe delle donne, affiancando una caleidoscopica Mary Quant nella Londra degli Anni Settanta, e in seguito dando vita a prestigiose collaborazioni con le maggiori griffe di moda (Dior, Celine, Balenciaga, Alexander McQueen e Gucci) è diventato quasi da subito il supporto e il medium attraverso il quale Cavallini ha portato avanti un’instancabile ricerca artistica.
Harmony Runs On A Thread è il titolo della nuova personale dell’artista, ospitata a New York, a partire dall’8 settembre, presso la GR Gallery: un cospicuo nucleo di opere realizzate tra gli Anni Ottanta e i primi Duemila, attraversando stili e linguaggi differenti, affrontati dall’artista in un importante arco temporale.
Lo spazio espositivo newyorkese, fondato dal critico Giovanni Granzotto, curatore dell’esposizione insieme ad Alberto Pasini, è dedicato all’Arte Cinetica, Op e Programmata, e in questo contesto storico, nel cuore dell’East Village, la personale di Cavallini si colloca perfettamente.
Emilio Cavallini risponde alla mia chiamata Skype seduto sul divano bianco della sua casa di New York, un sorriso luminoso che appare tra una perfetta e folta barba bianca, e un paio di occhiali che incorniciano uno sguardo allegro.

La fashion week newyorchese ha inizio proprio oggi 8 settembre. Quali sono i suoi programmi per questo periodo?
Sono qui a New York ora, ho in programma una personale alla GR Gallery, a Bowery, con un’esposizione intitolata Harmony Runs On A Thread, l’armonia corre sul filo (e non “appesa a un filo” eh!), e un palazzo a Times Square avrà in prestito per un anno un bel po’ di mie opere.
In questo momento sto lavorando esattamente a questo, preparando i lavori, che sono per la maggior parte lavori storici, che sto risistemando, dando loro una connotazione meno installativa, ma più da opera conclusa.

Emilio Cavallini, Blue. Abstract Diagram, 1980

Emilio Cavallini, Blue. Abstract Diagram, 1980

Che ricordo ha della rivoluzione culturale degli Anni Sessanta e Settanta, della Swinging London da cui tutto il suo percorso è cominciato?
Ero stagista di Mary Quant, appassionato di moda, al primo anno della facoltà di Economia e Commercio (al tempo non esisteva ancora un corso di studi dedicato alla moda, e quello che poteva, secondo i miei genitori, avere più riscontro poi, in ambito lavorativo, era certamente una scuola come quella). Entrai quasi per caso nel suo studio di Londra. La signora Quant chiese a noi stagisti che cosa volevamo fare. Lei disse: “Mi servono calze!”. Aveva inventato la minigonna, e serviva rinnovare quell’accessorio, per valorizzare il nuovo capo. E io dissi che potevo farle, le calze! Venivo da San Miniato, una piccola città toscana famosa per l’industria della calzetteria. Fin da piccolo vedevo le donne in grembiule blu fuori dalle fabbriche in cui lavoravano. Negli Anni Settanta cominciarono a prodursi macchine per la lavorazione circolare dei filati, per fare elementi tubolari. Io conoscevo questa tecnologia, e dissi alla signora Quant che le avrei potute fare io, le calze che le servivano, che in realtà non erano calze, erano collant!

Come si sviluppò la sua idea iniziale?
Partii subito con il primo progetto, disegnando una calza a righe orizzontali (e poi verticali) bianche e nere inizialmente, e poi nelle varianti bianche e rosse, e bianche e blu.
I collant erano stati inventati nel 1959 negli Stati Uniti, venivano fatti di nylon, ma io volevo provare a fare qualcosa di innovativo. Proposi a una azienda di San Miniato di produrre il modello che avevo disegnato, quello a righe bianche e nere, ma l’azienda non se la sentì dimetterle in produzione. Credeva di non venderle!
Così decisi di aprire la mia prima società, la Stilnovo, nel 1969 (al tempo firmai cinque milioni di cambiali, per diventare socio!), dopo solo un anno che studiavo all’università.
Erano la fine degli Anni Sessanta, non era un buon periodo per la scuola, la rivoluzione culturale aveva portato diversi sconvolgimenti, le proteste e le occupazioni… Così abbandonai gli studi e da quel momento in poi mi dedicai soltanto al lavoro.
La Stilnovo cominciò a lavorare per un’azienda che distribuiva il marchio Mary Quant, e fu così per venticinque anni, producendo tutte le calze di cui il marchio aveva bisogno.

Emilio Cavallini, Red. Linear Fractal, 2001

Emilio Cavallini, Red. Linear Fractal, 2001

E poi cosa successe?
Nel 1977-78 decisi che volevo realizzare una mia linea di calze. Ero un appassionato di reti.
Da noi a San Miniato si producevano le calze con la cucitura dietro, tipo quelle che indossava Marylin Monroe, prodotte con i telai. Ma io volevo produrne un paio senza le cuciture, e così presi a collaborare con un’azienda che produceva le reti per i salami [ride, N.d.R.], e da quella tecnologia riuscimmo a fabbricare delle calze a rete a struttura tubolare continua. Fu un enorme successo! Nel frattempo, dopo le calze a righe, che ebbero un riscontro sorprendente, passai a produrre le calze con i “pois”, prima quattro puntini, sulla calza velata di Dior. Divenne un “must”, a San Miniato facevano la fila per averle, venivano dalla Francia, dalla Germania, da tutta Italia per acquistarle! All’inizio eravamo gli unici a produrle.
Cominciai a venire interpellato dai maggiori produttori di moda, e negli Anni Ottanta feci collezioni di prêt-à-porter, per Parigi, Milano… Ma vedemmo che la “licenza moda” non andava, per cui alla fine decisi di dedicarmi “solamente” a fare arte e calze!

Che tipo di rapporto si era instaurato tra la sua moda e l’arte?
Facevo moda, ma con il materiale che utilizzavo per la produzione di quell’accessorio, che era nel frattempo diventato un abito vero e proprio, cominciai a fare arte. In realtà fu una doppia relazione, quella tra arte e moda. Dall’arte attingevo gli spunti necessari per produrre i pattern e le decorazioni per le calze e i collant. Forme, colori, trame, intarsi erano ispirati dall’arte del passato (fino al presente di allora) e mi servivano come punto di partenza per le mie creazioni. Ritrasmettevo tutto quello che avevo immesso nei tessuti, nei filati, nelle composizioni d’arte, attraverso anche reinterpretazioni di opere d’arte conosciutissime.

Emilio Cavallini

Emilio Cavallini

Qual era il procedimento che utilizzava?
Per realizzare queste mie opere usavo i materiali che provenivano dagli stessi laboratori di produzione delle calze, come il filo di nylon, le bobine per i filati, i tessuti stampati, fino alle calze stesse. Nelle mie Accumulazioni rileggevo i dripping di Pollock; nei Diagrammi ricercavo l’equilibrio perfetto tra materia e spazio, esaltando il vuoto tra una calza stesa e l’altra. Una sintesi tra Dadamaino e Scarpitta. Realizzavo le Scacchiere con stampe optical tese su dei tubi, muovendomi tra le strutture espansive dei motivi del quadrato, del rombo, del triangolo, del rettangolo e del cerchio: sfruttandone le geometrie e i colori giocavo sulle composizioni.

Quali furono le sue fonti di ispirazione?
Cominciai a realizzare opere d’arte fin dagli Anni Ottanta: chiaramente mi facevo ispirare dall’arte ma ho sempre avuto una passione enorme per la matematica e la geometria, e la sua massima espressione, l’architettura. Dalle teorie sul caos, dalle leggi combinatorie, dagli algoritmi di accrescimento presi spunto per realizzare le mie strutture spaziali: i Frattali, le Strutture Catastrofiche, i Diagrammi, gli Attrattori, le Biforcazioni. Tutte si relazionano con il pieno e il vuoto, con un rigido procedimento di ripetizioni, sviluppando simmetrie interne, giocando su scale differenti, elaborando perfette strutture architettoniche concluse.

Emilio Cavallini, Optical. Checkerboard, 1985

Emilio Cavallini, Optical. Checkerboard, 1985

Quando ha cominciato a mostrare i suoi lavori?
Le opere che producevo (dagli Anni Ottanta a oggi) le tenevo per me, mi davano grande soddisfazione. Ma non sono mai state esposte o pubblicate. Non mi sentivo ancora pronto, anche se ormai avevo accumulato la produzione di una trentina d’anni di lavoro! E non mi sono sentito pronto fino al 2011, anno in cui ho deciso di mostrare questi lavori, e la casa editrice Skira ha deciso di raccogliere in una pubblicazione, una monografia, tutti i lavori prodotti fino al 2000. È intitolata La magnifica ossessione, e la copertina del libro è rivestita da una porzione di calza a rete!
Ho cominciato a dedicarmi esclusivamente all’arte solo due anni fa. In precedenza c’era stata una mia personale alla triennale a Milano (Trasfigurazione, 2011), grazie alla quale i collezionisti cominciarono a prestare attenzione al mio lavoro. Hanno fatto seguito altre personali, qui a New York e a Parigi, alla Opera Gallery. Erano esposte circa ottanta mie opere.

A quale arte si sente più debitore?
Certamente guardo e ho guardato sempre con entusiasmo all’arte del secolo scorso. Penso all’approccio strutturale del Costruttivismo, ad artisti come Pevsner e Gabo, o all’Astrattismo geometrico di Malevič. I grandi quadrati bianchi e neri, i monocromi mi colpirono molto. Furono sempre fonte di grande ispirazione. Chi vedeva le mie calze vedeva solo due righe, due colori, il bianco e il nero. Ma dietro c’era un discorso piuttosto complesso, che partiva proprio dalla ripresa di quella riflessione sull’arte intesa come pratica, compiuta dai movimenti artistici del primo Novecento. L’arte precedente al quel periodo venne completamente azzerata, sostituita gradatamente da un’arte nuova, una rivoluzione che coinvolse tutti i settori di applicazione, anche l’arredamento, il design tessile, l’architettura…
Guardavo a Vasarely, e alle sue sperimentazioni ottiche nella grafica, alle composizioni geometriche nelle quali cercava la terza dimensione sfruttandone due. Furono le sue strutture complesse che ispirarono poi i miei Frattali, dove il colore in qualche modo “esplodeva” nell’intricata trama di fili di nylon con la quale li realizzavo.

Emilio Cavallini, Black. Catastrophic Bifurcation 2, 2000

Emilio Cavallini, Black. Catastrophic Bifurcation 2, 2000

Qual è il suo rapporto, oggi, con l’arte contemporanea? È anch’essa fonte di ispirazione per la moda o per il suo modo di fare arte?
Certamente mi tengo aggiornato, vado a vedere le mostre, sono curioso e mi piace sapere quali sono i nuovi artisti. Ma oggi non si può più trarre ispirazione dall’arte contemporanea, nemmeno per fare moda. Piuttosto ora è l’artista stesso, che diventa “opera d’arte”, ben più dell’arte che produce. L’arte si è fermata al 2000.
Anche nella moda, ci sono state grandi innovazioni fino agli Anni Ottanta e Novanta, forse fino al 2000. Ma da quel momento in poi ci si è solo guardati indietro, si fa costantemente riferimento a un’arte del passato, non del presente. Ci sono bravissimi personaggi, ma fanno “costume” più che moda. Così come per l’arte, le sfilate di oggi sono lo specchio del nostro tempo.

Qual è il suo rapporto con i giovani? Crede esista qualcuno che possa in qualche modo proseguire la sua strada?
Collaboro da diverso tempo con la Central St. Martin’s di Londra, una delle più prestigiose università per l’arte, la moda e il design a livello internazionale. Vedo che ci sono molti giovani bravi, ma ritengo siano bloccati dal mercato. La moda la fanno esclusivamente il mercato e l’industria, non lascia più molto spazio alla ricerca artistica, e questo limita inevitabilmente lo sviluppo degli artisti, i quali – a meno che non abbiano la fortuna di imbattersi in sponsorizzazioni miliardarie – difficilmente potranno far vivere le proprie creazioni al di fuori dell’ambito, se non scolastico, quantomeno locale.

Petra Cason

New York // fino al 9 ottobre 2016
Emilio Cavallini – Harmony Runs On A Thread
a cura di Giovanni Granzotto e Alberto Pasini
GR GALLERY 
255 Bowery
+1 (0)212 4732900
[email protected]
www.gr-gallery.com

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Petra Cason

Petra Cason

Laureata in Conservazione dei Beni Culturali e in Storia delle Arti – indirizzo contemporaneo, con una tesi sul design per l’arte interattiva – presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha conseguito un master in Conservazione, Gestione e Valorizzazione del Patrimonio…

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