Fotografare la materia. Intervista a Ljubodrag Andric

Aree industriali, frammenti murari, pareti e angoli urbani. Sono questi gli elementi che animano la fotografia di Ljubodrag Andric, protagonista di un poker di mostre tutte italiane, che ha trovato a Venezia il suo punto di arrivo. Un’infilata si scatti illumina gli spazi della Fondazione Querini Stampalia, schiudendo lo sguardo su un universo sospeso, in cui la materia e il colore assumono sostanza entrando in dialogo con la luce.

In attesa della tavola rotonda che domani 22 settembre lo vedrà confrontarsi con Tobia Scarpa, Enrico Baleri, Severino Salvemini e Demetrio Paparoni, negli spazi della Fondazione Querini Stampalia, Ljubodrag Andric (Belgrado, 1965) è protagonista, all’ultimo piano dell’istituzione veneziana, di una personale di ampio respiro. Consonanze raccoglie una serie di scatti realizzati dall’autore ai quattro angoli del globo, inseguendo la luce e la materia, amplificate dalla scelta del grande formato. Raggiunto al telefono, Andric è entrato nel merito della sua poetica, spalancando le porte su un immaginario fatto di concretezza e poesia.

Partiamo dalla mostra in corso alla Fondazione Querini Stampalia. Perché la scelta di questo spazio e quale tipo di legame si è instaurato con l’ambiente espositivo?
Ho sempre guardato alla Querini per vari motivi. Il mio lavoro si basa sulle relazioni – di spazio, colore, luce, materia – e ha molto a che fare con le linee guida di Scarpa, che ha innestato il nuovo e il vecchio con una massima attenzione alla materia. Io faccio fotografia per caso, durante la mia infanzia sono stato esposto soprattutto alla musica, al teatro, al cinema e alla pittura, con un occhio alla classicità. Ho sempre trovato congeniale la fotografia perché consente di partire da qualcosa e non da zero, una costruzione iniziale che viene sistemata in un momento successivo. Vale lo stesso per Scarpa, che ricostruiva. Io non ricostruisco le immagini, non faccio collage, anche se elaboro digitalmente i miei scatti da quasi vent’anni, con una cura maniacale al dettaglio – avendo lavorato in origine con la pellicola e il bianco e nero, che mi permetteva una certa manipolazione di luce e di rapporti. Sia a me che alla curatrice Francesca Valenti sembrava che con Scarpa ci fosse un dialogo naturale, non forzato, nonostante gli stili e i luoghi diversi, ma il fatto di trovare nelle cose esistenti dei valori da mettere in risalto era un punto di partenza.

Ljubodrag Andric, China, 2012

Ljubodrag Andric, China, 2012

Quali sono gli elementi cardine della sua fotografia?
La luce è un argomento su cui mi interrogo da anni. Cercando ovunque la luce, metto da parte il tempo e la prospettiva. Nelle stampe piccole prevale la struttura generale, mentre nelle immagini in grande formato la struttura è solo uno scheletro che sostenta un resto fatto di relazioni e di un colore destinato a diventare luce, a sua volta trasformata in qualcosa di sospeso. Proprio come nelle poesie haiku, dove le parole risultano sospese tra di loro, creando un vuoto nel quale il vero significato resta in sospeso.

Questo aspetto ricorre nei suoi scatti, dai quali la sospensione e la mancanza di un significato univoco emergono chiaramente.
Se uno ferma una cosa e la restringe, portandola in una direzione, questa si impoverisce. Molti fotografi sono certamente affascinati dal soggetto, ma ritengo sia una limitazione molto forte. Negli anni ho scoperto che le immagini in cui non c’è nulla di narrativo e prevale la sospensione aprono scenari incredibili, soprattutto se realizzate in grande formato.

Come compone le sue fotografie dal punto di vista tecnico?
Adotto un’esposizione multipla che consente di avvicinare l’immagine fotografica a quella percepita dall’occhio, che non deve correggerla come è abituato a fare nei confronti di ciò che si perde attraverso la macchina fotografica. Al contrario, quando si è di fronte a un’immagine iperrealistica, si vive questo senso di sospensione del tempo. A livello tecnico, come effetto collaterale del micro-contrasto, i colori si suddividono quasi all’infinito all’interno di una zona molto ristretta, percepibile al meglio quando l’immagine è grande. Le immagini in mostra, realizzate su carta opaca, cambiano al pari di un affresco, reagendo alla luce ambientale. Tutto ciò invoglia a passare del tempo di fronte all’immagine, in maniera spontanea, non imposta.

Ljubodrag Andric, China, 2012

Ljubodrag Andric, China, 2012

Quali sono i criteri in base a cui sceglie cosa fotografare?
Dal punto di vista pratico, incarico qualcuno sul posto, esperto di immagini, di trovare una zona compatibile con il mio lavoro. Poi vado con lui in questi luoghi e cammino. Camminare è uno strumento che consente un certo grado di intimità. Cerco soggetti molto semplici, che consentano all’occhio di muoversi liberamente, senza costringerlo in un unico punto, facendo sì che tutto diventi ugualmente importante. Gli spazi industriali o costruiti senza un intento estetico di solito sono brutti in senso assoluto, perché fatti per rispondere a una funzione precisa, ma malleabili. L’intuizione iniziale dello scatto è fondamentale, quello che scatto lo finisco, perché, dopo anni di lavoro, so che quello scatto funziona.

Il suo lavoro di post produzione è oneroso in termini di tempo?
Se si inizia a costruire, l’immagine non funziona mai. Bisogna partire dall’intuizione, come per la musica. Partendo dal preesistente, è tutto un reagire. Ogni immagine ha i suoi tempi, lavorare su una cosa è imprescindibile dalla materia. Quando lavoro in post produzione non delego; è necessario passare abbastanza tempo con l’immagine affinché le cose vengano da sole. La materia è il punto di partenza per l’intuizione. L’artigianalità è molto importante in epoca digitale, soprattutto per opporre all’alienazione della velocità del tempo l’idea di un tempo necessario [titolo della conversazione in programma oggi, N. d. R.], in cui stare con l’immagine.

Ljubodrag Andric, Pingyao, 2015

Ljubodrag Andric, Pingyao, 2015

L’idea di materia è evidente nei suoi scatti, che alludono a una dimensione quasi tattile. Penso alle porte e alle finestre murate che ricorrono nelle sue opere, una sorta di cicatrice tangibile sulla pelle della città.
Assolutamente sì. Io spesso fotografo quando la luce risalta questa materia, consentendo all’osservatore di capire che è lui stesso a creare la matericità dell’immagine, che è un prodotto della sua mente. Solo allora le immagini funzionano. Ci sono anche degli aneddoti divertenti a riguardo. L’anno scorso, ad Art Basel, sulle fotografie che avevano una componente fortemente materica ho trovato delle ditate di persone che le toccavano per verificare che l’immagine fosse davvero bidimensionale.

Un po’ come avviene in pittura…
Sì, ma in maniera naturale. La macchina fotografia regala il tempo per guardare immagini che a volte l’occhio non riuscirebbe a vedere, perché troppo luminose o scure. Un tempo intimo, che coincide con un lucidità mentale, una limpidezza di visione che rende ricettivi in maniera assoluta.

Come è stato concepito l’allestimento della mostra veneziana?
Tutto è nato dallo splendido incontro con Tobia Scarpa, cui i discorsi sulla materia e sul tempo premono da molto. È stato lui a mettere a punto, a titolo di gentilezza, l’allestimento, puntando su uno sfondo nero che ha aiutato le immagini a reagire alla luce proveniente dalla finestre e da Venezia. Innescando un dialogo che mette in contatto gli spazi interni, ospiti della mostra, e quelli esterni, fatti dalla città e dalla sua luce.

Arianna Testino

Venezia // fino al 2 ottobre 2016
Ljubodrag Andric – Consonanze
a cura di Francesca Valente
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA
Castello 5252
041 2711411
[email protected]
www.querinistampalia.org

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/55246/ljubodrag-andric-consonanze/

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Arianna Testino

Arianna Testino

Nata a Genova nel 1983, Arianna Testino si è formata tra Bologna e Venezia, laureandosi al DAMS in Storia dell’arte medievale-moderna e specializzandosi allo IUAV in Progettazione e produzione delle arti visive. Dal 2015 a giugno 2023 ha lavorato nella…

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