Quando la medicina incontra l’arte. Parla Antonio Martino
Medico e collezionista di lunga data in entrambi i comparti, Antonio Martino ha innescato un’affascinante dialettica tra medicina e creatività, mettendo in relazione l’approccio e il linguaggio scientifico con quelli che caratterizzano l’arte. Ecco come.
ARTE E SCIENZA MEDICA
Avevo 18 anni quando, aprendo i primi libri di medicina all’università, ho capito che per diventare un bravo medico avrei dovuto innanzitutto studiare, analizzare, scegliere e prendere decisioni. Poi una laurea, due specializzazioni, ufficiale medico e, a oggi, ventisette anni di ospedale. Nella definizione di diagnosi leggevo: la diagnosi è l’interpretazione del “quadro” clinico, la semeiotica è la scienza che studia i sintomi e i segni clinici; avere “occhio clinico” vuol dire avere acutezza di giudizio ed essere perspicace nel formulare una diagnosi rapida ed esatta e pure questo è un dono vocazionale, talentuoso-artistico.
In medicina, l’anamnesi familiare patologica remota e prossima , insieme alla semeiotica e quindi all’esame obiettivo, concorrono con la diagnostica strumentale a formulare una diagnosi , una prognosi e una terapia.
Nozioni basilari e importanti non solo per me che sono un medico.
Infatti, anche la critica d’arte non è altro che l’interpretazione del quadro e, riflettendoci, la semeiotica studia proprio il linguaggio dell’opera d’arte, mentre l’esame obiettivo è lo studio iconografico dell’opera stessa.
A tale proposito, in un recente studio dell’Università di Torino sulla Camera degli Sposi del Mantegna, è stato messo in evidenza il fatto che il grande pittore padovano avesse raffigurato, in uno dei suoi personaggi, una rara malattia, ottant’anni prima della sua ufficiale scoperta medica.
L’INTERDISCIPLINARIETÀ
Oggi, come sappiamo e come io stesso con il progetto Partorire con l’Arte ho dimostrato, l’interdisciplinarietà rappresenta il futuro e l’arte riveste un ruolo fondamentale nella scienza medica, al punto tale che gli attuali studenti in medicina vengono addirittura sollecitati ad allenare il loro “occhio clinico” e le loro capacità osservative e interpretative, fondamentali per la loro professione futura, al cospetto di un’opera d’arte.
Fa riflettere il paragone che Giulio Carlo Argan fece in una conferenza al cospetto di giovani critici e curatori: “Noi non dobbiamo innamorarci”, disse, “delle opere d’arte che studiamo, come il medico non s’innamora delle sue malattie”.
La diagnosi di una malattia è quindi un processo interpretativo strutturalmente del tutto simile all’esegesi di un’opera d’arte.
Ed è proprio così che io, collezionista e appassionato da 27 anni di arte contemporanea, “ex adiuvantibus” mi sono reso conto di quanto il mio approccio all’arte contemporanea sia stato dall’inizio (alla fine degli Anni Ottanta) assolutamente “medico” come forma mentis sia nel giudicare un’opera – e quindi nel fare una diagnosi con tutti gli strumenti medici già descritti che fanno parte fisiologicamente delle mie competenze professionali – sia nel valutare un artista e il suo futuro, che poi nella mia testa è l’equivalente della prognosi di una malattia o dell’evoluzione di una gravidanza.
IL CLINICO D’ARTE
Qualche tempo fa, a questo proposito, confrontandomi con il mio amico Domenico Nardone, anche lui laureato in medicina e teorico del Gruppo di Piombino abbiamo per la prima volta “coniato”, per definire un sostantivo che racchiuda il mio modo personale di ragionare sull’arte contemporanea – per dirla alla ABO – l’inedito termine di “Clinico d’Arte”, cioè un nuovo indirizzo di pensiero scientifico in cui si aggiunge pure l’utilizzo dell’arte come “preludio al parto” e quindi, come sostegno terapeutico per le donne incinte.
Perciò il mio diverso approccio all’arte è proprio rigorosamente medico-scientifico e selettivo; quando mi confronto con un’opera d’arte, questo rappresenta un plusvalore da aggiungere alla mia personale esperienza, sensibilità, rispetto e gusto verso la bellezza.
Inoltre, l’etimologia della parola clinico racchiude il chinarsi e curare a letto il malato.
L’arte contemporanea è attualmente malata? Il letto di Tracey Emin e le pillole di Damien Hirst ne sono l’icona? Io penso di sì!
Antonio Martino
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati