Milano sta diventando la capitale d’Europa?
Questa è l’Italia: fuga di talenti, fuga di investimenti, difficoltà delle aziende e perdita di speranza da parte dei giovani. Elementi che impattano duramente sul comparto culturale. Ma una speranza c’è: che Milano diventi la capitale d’Europa, grazie a una incredibile serie di fattori concomitanti.
Il nostro Paese è in condizioni atroci. Vacilla il sistema bancario, i dati economici sono peggiori rispetto agli anni di grande emergenza, l’esito del referendum sulla riforma della Costituzione rischia di gettare il Paese in una lunga fase di instabilità politica e la crescita del prodotto interno lordo è ormai un ricordo degli Anni Novanta. Non vi sarà mai alcuna crescita economica senza riforme radicali della burocrazia e della giustizia. Ma non ci saranno mai riforme radicali della burocrazia e della giustizia senza enormi costi in termini di consenso. Ecco perché nessun parlamento e nessun governo provvede seriamente. Fuga di talenti, fuga di investimenti, difficoltà delle aziende e perdita di speranza da parte dei giovani sono elementi che impattano duramente anche sul comparto culturale. Ecco perché chi si occupa di cultura non dovrebbe mai dimenticarsi di tenere d’occhio il quadro generale: se tutto va declinando, anche la cultura va declinando.
Un’eccezione tuttavia c’è in questa diffusa sensazione di mestizia. Un’eccezione che risponde al nome di Milano. La città lombarda (al centro di un agglomerato metropolitano che getta fino al Veneto, alla Liguria, all’Emilia, al Piemonte e al Ticino, non a caso protagonista del nostro numero speciale questo mese) si trova a vivere anni entusiasmanti. Non è solo la banalità di Expo e del suo vero o presunto successo. Le motivazioni sono tante e a queste si sono aggiunti alcuni elementi geopolitici internazionali che la rendono una terra di opportunità come forse non è mai stata. Vediamo in quattro punti perché la metropoli meneghina oggi è favorita.
1. Roma. La capitale è in condizioni inenarrabili, il forsennato “no” alla corsa per i Giochi del 2024 certifica l’incapacità ormai cronicizzata di risollevarsi, ne consegue che Milano diventa sempre più l’unica grande città credibile del Paese. Lo dimostra il boom turistico che la città sta vantando. Per un certo tipo di viaggiatori (e di tour operator) il passaggio-tipo in Italia non è più Roma-Firenze-Venezia bensì Milano-Venezia-Firenze.
2. Londra. La Brexit è ancora solo nei titoli dei giornali, tuttavia prima o poi qualcosa a Londra cambierà. Se cambierà in bene, bene per Londra. Se cambierà in male e la capitale britannica perderà qualche punto, Milano è la prima città europea a poterne beneficiare, rinforzando la sua vocazione direzionale e finanziaria.
3. Parigi. La città è in costante stato di shock. Il turismo, questa estate, ha mostrato dati spaventosi. Una condizione di guerra costante favorisce forse la creatività ma non certo gli investimenti, gli affari, il benessere, il turismo. Parigi poteva essere la prima vera alternativa nell’Unione Europea a Londra, ma in questo momento Milano è percepita meglio pur essendo in Italia. Anche perché la situazione-Paese della Francia non è poi così migliore rispetto alla nostra.
4. Istanbul. Poteva e doveva essere la grande megalopoli creativa (e di business) del Mediterraneo, ma la Turchia si sta facendo del male da sola. Tutto quello che si stava in qualche maniera “spostando” a Istanbul potrebbe magicamente fermarsi a Milano, se Milano sarà capace di intercettarlo.
Milano non ha alcun merito rispetto a questa situazione favorevolissima. Ma si trova nella condizione di poter moltiplicare la sua crescita organica, che pure c’è stata, alimentandosi di un contesto internazionale irripetibile. Si farà superare da Vienna? Da Francoforte? Perfino da Lisbona? Sono questi i mesi decisivi per capirlo. I mesi in cui la città (il grande impegno del Governo e il “Patto per Milano” non sono un caso, anche se hanno fini di consenso elettorale più che di visione globale) delinea i prossimi decenni e costruisce la propria identità culturale. È questa la chiave: disegnare un’identità che non c’è e che – al di là della retorica della frenesia, dell’operosità, dell’efficienza e degli affari – deve poggiare su basi culturali condivise. Inutile ripetere le ricette: fare in modo che le classi creative (design e moda, ad esempio) si intersechino e si parlino; strutturare la città in modo che gli affitti non caccino via chi lavora di cultura; farsi luogo di pro-du-zio-ne (un bell’esempio in questo senso è l’hub di Sky Arte, che da Milano produce format per Londra e per la Germania). Tutte cose dette mille volte. Ora è il momento di porle in essere operativamente, perché un quadro simile non si ripeterà mai più.
Massimiliano Tonelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #33
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