Diamo a Cesare… Sulle ottime scelte della Fondazione Prada
La Fondazione Prada di Milano sta facendo mostre intelligenti e indigeste. E la risposta del pubblico non si è fatta attendere. È solo una questione di risorse economiche, investimenti e promozione? No. Questo è il nostro parere.
UN’AFROAMERICANA CHEZ PRADA
Vedere la fila alla biglietteria di uno spazio espositivo italiano è rassicurante. Una fila composta di un pubblico eterogeneo: mamma con bambino al seguito, coppie sorridenti di adolescenti, signore attempate vestite a festa, fashionisti vari… Lo è ancor di più se la mostra in questione è la retrospettiva di Betye Saar alla Fondazione Prada di Milano, con opere che ripercorrono cinquant’anni di carriera dell’artista novantenne afroamericana. Una mostra difficile, densa, intensa, che “puzza” di morte, peccato e dolore. Una mostra di memorabilia personali e immagini per lo più dispregiative che rappresentano una critica sociale feroce che mette in discussione gli stereotipi razziali e sessisti radicati nella cultura americana.
LE MOSTRE IN CORSO
Contemporaneamente sono ancora in corso, sempre alla Fondazione Prada, una mostra dedicata a Edward & Nancy Kienholz che ha il suo apice in Five Car Stud, opera creata tra la fine degli Anni Sessanta e l’inizio dei Settanta e che riproduce, in un’oscurità raggelante, una scena di violenza razziale; True Value di Theaster Gates, che riflette sulla cultura black e sull’attivismo sociale; T.T.T. – Template Temples of Tenacity dell’artista angolano Nástio Mosquito che, attraverso le sue performance, ruota intorno al tema dell’identità culturale, dello sviluppo urbano e del coinvolgimento delle comunità locali.Mostre complesse, lievemente indigeste, che rischiano vertiginosamente di allontanarsi da progetti più popolari e con molta probabilità più largamente condivisi e forse visitati. Eppure i visitatori sono numerosi. Questo ci porta a fare una riflessione e a porci alcune domande fondamentali.
DENARI BEN SPESI
La Fondazione Prada ha la forza economica e promozionale per divulgare al meglio le sue iniziative culturali, ed eventi ricorrenti come le settimane della moda fanno da amplificatore. Ma è solo una questione di risorse economiche, investimenti e promozione? No. Semplicemente non sottovalutano l’interesse sempre più crescente del pubblico verso l’arte contemporanea e soprattutto verso artisti che indagano temi politici, sociali, sempre tragicamente attuali.
La seconda questione è legata al contenitore. Mi domando come sia possibile che molti spazi espositivi pubblici, piuttosto che continuare a fare mostre blockbuster – spesso meri specchietti per le allodole –, non sentano l’esigenza di presentare progetti che evidenzino, attraverso l’arte, questioni rilevanti per tutti come il razzismo, la discriminazione sociale, gli stereotipi, i cambiamenti della società, i nuovi linguaggi… Un po’ come dovrebbe fare il servizio pubblico televisivo, che invece ricorre e rincorre le strategie della tv privata perché a fine giornata a parlare sono i numeri, l’audience e quindi i relativi e proporzionali introiti pubblicitari.
QUANDO LA MODA DETTAVA LE TENDENZE
La Fondazione Prada dimostra coraggio perché corre un grande rischio: creare un cortocircuito tra il suo brand e i suoi consumatori e le indipendenti iniziative culturali ardite. Saremmo felici se gli spazi pubblici cominciassero a correre gli stessi rischi… Purtroppo la profetica tendenza del critico francese Jean Clair per cui “la deriva mercantile trasforma l’arte in spettacolo e i musei in luna-park” al momento sembra irreversibile. E a pensare che un tempo era la moda a dettare le tendenze!
Daniele Perra
Milano // fino all’8 gennaio 2017
Betye Saar – Uneasy Dancer
a cura di Elvira Dyangani Ose
FONDAZIONE PRADA
Largo Isarco 2
0256662611
[email protected]
www.fondazioneprada.org
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/55695/betye-saar-uneasy-dancer/
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