Estate in Svizzera. Focus Zurigo

Il 2016 è un anno speciale per la Zurigo dell’arte: c’è il centenario della nascita di Dada e l’edizione numero 11 di Manifesta, la biennale europea itinerante. E poi sta prendendo forma l’ampliamento della Kunsthaus, mentre nella zona ovest la gentrificazione mostra un volto umano.

D’estate, il sole attraversa Zurigo in trasparenza. La città si stende attorno al limite settentrionale dell’omonimo lago, nel punto in cui il fiume Limmat lo abbandona. Mentre poco più a nord, nel più grande parco zurighese, il Platzspitz, il fiume Sihl, proveniente da sud-ovest, sfocia nella Limmat. Ai piedi della valle del Glatt, affluenti, emissari e immissari circondano la città, creando uno specchio acqueo ramificato e diffuso che rifrange la luce da miriadi di punti diversi. Così ogni superficie verticale, antica o avveniristica, che si incontra diventa area esposta, un tutto visibile senza distinzione, in mostra fin dalle prime fondamenta.
La colonizzazione celtica della zona, infatti, risale almeno al 500 a.C. e secondo alcuni studi a un periodo molto precedente. Ufficialmente si ritiene che il toponimo romano della città, Turicum, risalga proprio alla denominazione celtica, dato che questo termine sicuramente non ha etimo latino.
Oggi Zurigo, con i suoi 396.027 abitanti, è la maggiore città della Svizzera, nonché il capoluogo del cantone omonimo, ed è divisa in dodici quartieri. L’agglomerato urbano complessivo raggiunge 1,3 milioni di abitanti e la sua regione metropolitana 1,83 milioni, per una superficie comunale di 91,9 kmq.

Francis Picabia, Udnie, 1913 - Centre Pompidou, Parigi - © 2016 ProLitteris, Zurich

Francis Picabia, Udnie, 1913 – Centre Pompidou, Parigi – © 2016 ProLitteris, Zurich

QUANTO È DADA ZURIGO
Le più prestigiose sedi centrali bancarie della Svizzera rendono Zurigo una fra le città con la più alta qualità della vita al mondo, mentre accademie e musei proseguono la sua tradizione culturale e creativa di matrice non istituzionale, costantemente anticonvenzionale. Il capoluogo è stato residenza di scrittori come James Joyce; ha dato i natali al gruppo Allianz, al Pavilion Sculpture e alla Haus Konstruktiv, che quest’anno celebra i trent’anni delle influenze concreto-costruttiviste; ha cresciuto grafici e designer come il visionario Miedinger; è diventata terra dell’ultimo edificio che Le Corbusier ha disegnato prima di morire; e, naturalmente, è stata fervida culla del Dadismo.
A partire dal 5 febbraio, Zurigo è entrata nel ciclo annuale di celebrazioni del Centenario Dada, figlio meticcio di Hugo Ball, Tristan Tzara, Jean Arp e di una corte sovversiva di artisti e intellettuali che hanno trasformato “le esplosioni di elettiva imbecillità” in celebri interventi, performance non-sense e letture al Cabaret Voltaire. Caffè e circolo cavernoso, dai muri grezzi, che per commemorare il 100esimo compleanno sta ospitando 165 eventi e mostre sul tema Dada.
Di rimando la Kunsthaus Zürich – i cui lavori di ampliamento, su progetto di David Chipperfield, sono iniziati esattamente un anno fa, per un cantiere che dovrebbe chiudere nel 2020 – presenta una retrospettiva di Francis Picabia: un percorso di oltre 200 lavori, di cui fanno parte 150 dipinti, che esplorano l’ambito storico dell’artista francese e della sua carriera provocatoria, dai primi successi come pittore impressionista al contributo essenziale al movimento Dada, attraverso le sue pin-up e i lavori più astratti creati dopo la Seconda Guerra Mondiale. Senza dimenticare le sale permanenti dedicate ad Alberto Giacometti.

Manifesta 11 - Pavillon of Reflections, Zurigo 2016

Manifesta 11 – Pavillon of Reflections, Zurigo 2016

TUTTA L’ARTE DEL LÖWENBRÄUKUNST
A livello istituzionale e soprattutto urbanistico è proprio l’arte, quest’anno, a proclamarsi primo cittadino di Zurigo, grazie all’11esima edizione della biennale più nomade d’Europa: Manifesta. Con 130 artisti, 250 lavori, 30 nuove produzioni, 30 film documentali sulle nuove produzioni, corporazioni di artisti, un nuovo padiglione galleggiante (il Pavilion of Reflections) e 38 eventi paralleli, What people do for money: Some Joint Ventures riunisce un carosello endemico di sedi e attività
Il cuore di Manifesta 11, incentrata sul valore delle attività dell’uomo, è proprio nella parte Ovest di Zurigo, nella rinnovata area dell’ex metropoli economica denominata Löwenbräukunst. Un intricato labirinto di edifici post industriali, dai mattoni a vista, che hanno riassorbito la de-capitalizzazione della città attraverso una congiunta riapertura di enormi spazi espositivi – gallerie d’arte e di design, come Eva Presenhuber, Hauser & Wirth e Bob van Orsouw, ma anche Nicola von Senger sulla stessa Limmatstrasse – architettonicamente curati da Annette Gigon / Mike Guyer e Atelier ww. Al suo interno, le fabbriche deserte si sono trasformate in gallerie perfette, invadendo gli spazi di Luma Westbau / Pool, della Kunsthalle Zürich e del Migros Museum für Gegenwartskunst.
In un display realizzato con impalcature da cantiere, i lavori esposti sono in parte il risultato di un esperimento collettivo, durante il quale trenta artisti internazionali sono stati invitati a confrontarsi con altrettanti esponenti di diverse categorie professionali, scegliendo ciascuno un artista con cui dialogare per elaborare un’installazione site specific. E così il video di Marco Schmitt propone un remake de El ángel exterminador di Buñuel ambientato nella centrale di polizia, mentre il mockumentary di Carles Congost è recitato dai pompieri del Fire Department, implicando anche la testimonianza di Teresa Margolles, che denuncia le violenze subite dalle prostitute transgender di Ciudad Juárez. O ancora, le surreali immagini fotografiche di Rødland Torbjørn caricano di valenze oniriche gli impianti dentali realizzati dal suo ospite. In alcuni casi l’apporto dell’artista al Löwenbräukunst si trasforma in una divisa geometrico-funzionalista disegnata da Franz Erhard Walther indossata per tutta la durata di Manifesta dai dipendenti di uno dei Park Hyatt Hotel; in altri i menu concepiti dalla collaborazione tra John Arnold e un giovane chef coniugano le ricette di pranzi ufficiali storici con il cibo da asporto di alcuni ristoranti etnici. Manifesta 11 vive all’unisono con la città che la circonda (liquami inclusi, come testimoniano le zolle essiccate di Mike Bouchet e dello Zürich Load) allestendo una parte della mostra principale, The Historical Exhibition: Site Under Construction, alla Helmhaus

Maurizio Cattelan, Manifesta 11, Zurigo

Maurizio Cattelan, Manifesta 11, Zurigo

HELMHAUS, IL CUORE STORICO DELLA CITTÀ
La Helmhaus si trova sulla riva destra della Limmat, nel centro storico di Zurigo. Attraverso mostre temporanee e viene presentato il vivace panorama artistico svizzero. Lo spazio aperto della Helmhaus – e la cappella annessa, con tanto di cripta – veniva un tempo utilizzato come tribunale e mercato; oggi è adibito a spazio espositivo per l’arte contemporanea e propone soprattutto artisti elvetici o che risiedono in Svizzera.
All’esterno, Santiago Sierra ha protetto le arcate esteriori con strutture difensive, come se la città fosse in assetto di guerra, mentre Evgeny Antufiev, negli spazi della cappella protestante, ha installato una grande falena nell’abside centrale, per poi passare, all’interno del museo, all’auditorium lunare di Ceal Floyer, che accoglie la sovrapposizione sonora di un testo tradotto simultaneamente in due diverse lingue. Senza dimenticare la figurazione dai tratti concettuali dei ritratti di hostess dipinti da Yin Xunzhi secondo gli stereotipi stilistici della pittura occidentale.
Manifesta 11, a pochi centinaia di metri di distanza dalla Helmhaus, non solo formula nuovi spazi espositivi in città, come nel caso del fluttuante e balneabile Pavilion of Reflections, per poi estendersi anche sulla superficie del lago – come nel caso dell’intervento di Maurizio Cattelan e dell’atleta paralimpica –, ma si spinge in edifici cittadini di pubblica utilità, ad esempio attraverso le riflessioni letterarie sul significato dell’esistenza stampate sulle finestre della sala d’attesa dell’ospedale universitario da Jiří Thýn.

Zurigo e l'arte - (c) Artribune Magazine

Zurigo e l’arte – (c) Artribune Magazine

FREITAG IN WEST ZÜRICH
Zurigo, però, è una città abituata alla riqualificazione innovativa e alla colonizzazione di volumi creativi. Com’è successo nel 1993, quando i fratelli Freitag inventano una borsa con tracolla fatta di vecchi teloni di camion, camere d’aria di bicicletta e cinture di sicurezza usate. Pratiche, robuste e tutte diverse fra loro, le Individual Recycled Freeway Bags riscuotono un immediato successo fra i giovani zurighesi, per poi diventare oggetti di culto. Nel novembre 2005 Annette Spillmann e Harald Echsle propongono di sfruttare tutta l’altezza consentita dal regolamento edilizio di un lotto in Geroldstrasse: 26 metri. E impilano l’uno sull’altro nove container. Gli arredi sono ridotti al minimo: espositori bianchi disegnati appositamente da Spillmann ed Echsle nello spazio di accoglienza; le confezioni in cartone delle 1.600 Individual Recycled Bags in vendita, ciascuna con la foto del contenuto sul davanti, semplicemente impilate a rivestire la parete di fondo del negozio; parallelepipedi ricoperti di teloni di camion bianchi utilizzati come panche. E dire che, rispetto alle previsioni iniziali, il flagship zurighese di Freitag registra ogni giorno più del doppio delle vendite.
A pochi passi dallo store Freitag, intorno alla Prime Tower – l’edificio più alto della Svizzera – si sviluppa la MAAG Areal: ci sono gli uffici infiniti di Ernst & Young, ma anche una sede della galleria di Eva Presenhuber e la Galerie Peter Kilchmann.
In ultimo, qualora si fosse tentati di indugiare fra le vetrine di Bahnhofstrasse o di indulgere nelle code del bianchissimo Xenix Bar e dell’annessa programmazione del Kino Xenix in Helvetiaplatz, non dimenticate che l’espressione “finire sotto un ponte” a Zurigo può diventare sinonimo di ricercatezza. Sempre in tema di innesti architettonici tra edifici esistenti e volumi innovativi, il capoluogo sfoggia con eleganza Im Viadukt: sotto le volte del viadotto ferroviario costruito nel 1894 a Zürich West è tornata infatti la vita. Qui è stato costruito un ritrovo urbano lungo 500 metri. Un invito protetto a passeggiare, fare shopping, divertirsi, mangiare e bere. All’ombra di trentasei volte sorge infatti un paradiso degli acquisti: un variopinto miscuglio di negozi di specialità gastronomiche, atelier, gallerie, griffe dello sport e della moda. Un cuore metallico la cui struttura pulsante si dirama a partire da un mercato coperto, dove venti contadini e commercianti alimentari dei dintorni offrono i prodotti del cantone. E alle spalle del viadotto, un curatissimo parco.

Lo Smaragd del Museo Rietberg di Zurigo

Lo Smaragd del Museo Rietberg di Zurigo

EPILOGO. UNO SCRIGNO PER IL MUSEO DELLE CULTURE
Il nuovo ingresso, all’esterno, emerge come un cubo verde smeraldo, ma nei piani interrati 2.600 mq di superfici espositive attendono chiunque conosca il sentiero. Con questa veste, il cosiddetto Smaragd, il chiostro di vetro progettato nel 2007 da Alfred Grazioli e Adolf Krischanitz, si presenta il complesso del Museo Rietberg di Zurigo: un parco di 6.900 mq comprensivo di diversi edifici storici come Villa Wesendonck, la Remise (o Depot), la Rieter Park-Villa e Villa Schönberg. A partire dal 2007, il museo è stato notevolmente ampliato, a causa del crescente interesse da parte del pubblico – valutabile mediamente in 150mila presenze annue –, diventando l’unica istituzione pubblica dedicata all’arte delle culture extraeuropee in Svizzera. Unico luogo della Confederazione a esporre una collezione di fama internazionale, con opere da Asia, Africa, America e Oceania.
Situato in una posizione idilliaca, con vista sul lago di Zurigo, un insieme di ville in mezzo a un parco costituiscono dunque il museo d’arte delle culture extraeuropee Rietberg, unico nel suo genere in Svizzera. Il museo è nato nel 1952 a partire dalla collezione che Eduard von der Heydt ha donato alla città di Zurigo.
Se dunque dall’esterno è visibile solamente il cubo del nuovo ingresso, nel sottosuolo si estendono due piani espositivi che offrono una cornice ottimale sia alla collezione che alla presentazione di esposizioni itineranti di grande qualità. Attualmente, fino agli inizi d’autunno, Gardens of the World e Dada Afrika sono le due mostre che mettono in luce la cornice circostante. La prima si sviluppa attorno al concetto di esplorazione e composizione dell’hortus conclusus, una ricerca incredibile che comprende i lavori di Kitagawa Utamaro, Claude Monet, Max Liebermann, ma anche artisti contemporanei come Ai Weiwei e Wolfgang Laib. Di culto, invece, Dada Afrika indaga le temperature del movimento, attraverso lavori che trascendono i confini europei, grazie anche alle maschere di Marcel Janco, ai costumi di Sophie Taeuber e ai collage di Hannah Höch.
L’illuminazione delle sale espositive, essendo queste interrate, è esclusivamente artificiale. Il soffitto luminoso e la struttura senza colonne danno però la sensazione di un ambiente ampio e luminoso. Le diverse altezze del soffitto distinguono il piano della collezione dal piano delle esposizioni temporanee. La mostra permanente si articola inoltre in diverse aree espositive contraddistinte da pareti divisorie di diversa tonalità cromatica.
Il Depot, o magazzino espositivo, è una particolarità del museo: nell’ambito dei lavori di rinnovo, il museo ha aperto il suo deposito ai visitatori. In gran parte senza commenti e concentrati in spazi strettissimi, i tesori della collezione si offrono agli sguardi dei visitatori stupefatti dagli armadi di vetro nei quali sono racchiusi.

Ginevra Bria

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #32 – Speciale Svizzera

Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua 
inserzione sul prossimo Artribune

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

Scopri di più