Terremoto e ricostruzione. Parola a Cherubino Gambardella
Architetto e ordinario di progettazione architettonica presso la Facoltà di Architettura “Luigi Vanvitelli” della Seconda Università degli studi di Napoli, Cherubino Gambardella delinea un’alternativa a quei modelli di architettura flessibile nei quali l’utilitas giustifica il brutto.
CATASTROFI PERFETTE E RIMEDI IMPERFETTI
La terra riporta all’ineluttabilità della catastrofe. Il dramma del terremoto racconta storie di fragilità. Non riusciamo ad ammettere il fallimento, il destino, il dolore. Siamo abituati a non accettare la morte più che a combatterla con un umanissimo slancio per rinviarne il gorgo. E prendersi cura del paesaggio agendo con sensibilità e senza mimesi su di esso aiuta sicuramente a rinviarne la dissoluzione. Purtroppo è difficile farlo ovunque e spesso ci troviamo sgomenti, nonostante i buoni propositi, al cospetto del dramma. La friabilità delle più sofisticate conquiste tecnologiche si scontra con la massa delle tracce solide di case e città. Sono rifugi o dannazioni dalle quali scappiamo quando diventano minacciose e inospitali a causa di una natura sadicamente perfetta. La vita e l’emozione degli affetti sono perdite strazianti, incommentabili. Avvengono entro scenari stabili dai nomi remoti come mari, borghi, città, regioni, paesaggi, memorie, tradizioni e contemporaneità. Tutto questo vale ben poco rispetto alla furia distruttrice che abbatte, cancella e sottrae senza una regola. A volte si accanisce persino contro i più aggiornati e sicuri manufatti. Altre volte risparmia semplici catapecchie.
Subito dopo vorremmo far risorgere per magia tutto quanto tal quale era prima, persino migliorandone invisibilmente le qualità, come se ci trovassimo al cospetto di un computer da formattare e aggiornare.
L’architettura ha corpo e, per migliorare e agire ha bisogno di azioni formali. Non sempre questo è accaduto, specialmente di recente.
USARE LE ARMI DEL PRESENTE
Tipo, insediamento, città, vitalità dei centri abitati e dei paesaggi mutano.
Bisogna, allora, avere il coraggio di costruire un quadro imperfetto e di decifrare quello che è accaduto a partire dalla necessità di considerare tutto senza alcuna prospettiva temporale. Viviamo un tempo presente in cui ci interroghiamo costantemente su come o cosa fare tenendo conto degli antichi e del futuro. L’Italia media e i suoi bellissimi borghi remoti, come Amatrice e Accumoli, non sono posti spopolati. Sono calati in un presente che li rende comunità imperfette e possenti, luoghi amati dagli abitanti, dai turisti, dai lavoratori, siti dove si può aggiungere qualcosa. Senza la dittatura dell’autenticità, credo si debba provare a ripristinare una immagine verosimile e non impossibilmente vera. Sarebbe utile scappare da alcune prospettive di prudente sostituzione edilizia che oggi sembrerebbero leccate e inutilmente vezzose. Albini e Gardella non ci sono più e non dimenticheremo la finezza dei loro allineamenti e del loro astratto ambientismo, però dobbiamo usare le armi del presente, quel tempo che, con le sue crisi e arretratezze, ci impone una onesta e a tratti visionaria ricomposizione della forma insita nel rifare a somiglianza, dove possibile. Proprio nel rimaneggiare a similitudine c’è uno spazio immenso di invenzione per restituire il piacere di una visione armonica come diritto del presente.
SULLA RICOSTRUZIONE
A una lettura densa di preconcetti questa posizione potrà sembrare eccessiva, ma bisognerà fare attenzione a rispettare i vivi e i morti. Il pittoresco, infatti, un nuovo pittoresco con architravi balconi, finestre, tetti, sporti sbalzi e colori serve a una scena contemporanea che è veramente una necessità democratica solo se restituisce uno spazio di educata e comprensibile forza figurativa. Non cerco una Disneyland di cartapesta o un enclave svenuto. Tutte le tecniche per la sicurezza, la stabilità, il risparmio energetico possono essere usate in questo sterminato presente, a patto che siano a servizio di una forma che risarcisca e consoli chi ha perduto tutto. Perché in quei luoghi si viveva bene e si dovrà continuare a vivere bene. Quando scompare ogni cosa resta la bellezza, l’accoglienza a consolarci.
Non immagino Viollet le Duc che falsificava le cattedrali facendole ancor più belle e perfette del gotico. Non c’è uno stile di Amatrice o di Accumoli da rendere ancora più perfetto. C’è il dovere di ricomporlo sulla scorta delle immagini che conserviamo e, nella ricomposizione, mani e segni dovranno avere cura di restituire una immagine verosimile e potente, nuovamente pittoresca. Perché, come prima accennavo, il pittoresco non è caricatura, non è sberleffo, è abbraccio. Per fare questo ci vuole tempo.
ARCHITETTURE FLESSIBILI
Sono un architetto e non so immaginare senza figure: allora corro volentieri il rischio di sembrare assertivo. Oltre gli inevitabili giorni dell’emergenza e della tendopoli il periodo per la ricomposizione si potrà dividere in due fasi che potrebbero andare di pari passo. Non amo il temporaneo, a meno che non sia dichiaratamente temporaneo. Potremmo pensare, allora, a dei prismi generici in pietra, intonaco, cemento con i tetti e gli sporti, oltre che pochi e puntuali sabotaggi formali per impedirne la percezione autoritaria, come se si trattasse di lager fintamente soccorrevoli. Oggi si costruiscono in 50 giorni e resteranno stabilmente per accogliere, solo all’inizio, residenze e servizi.
Poi, una volta completata la ricostruzione, l’accomodamento, il ripristino della forma con il restauro, il riuso, la ricostruzione, l’innesto e tutto ciò che è lecito per raggiungere una gradevole verosimiglianza, con poche modifiche interne, questi blocchi diverranno dotazioni pubbliche o private di spazi per la città. Sono forme che dialogheranno con il centro storico, la periferia, il paesaggio e costituiranno una quota di architettura flessibile senza quell’aria triste del soccorso dove l’utilitas giustifica il brutto.
Solo così questi meravigliosi paesi ristabiliranno un contatto con il presente e torneranno a essere simili a quegli indomiti corpi ambientali che sono stati fino a poco fa. Solo allora gli abitanti avranno persino il diritto di abbandonarli se vorranno. Resteranno forme potenti e inanimate che il paesaggio italiano avrà comunque il diritto di possedere.
Cherubino Gambardella
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