Terremoto e ricostruzione. Parola a TAMassociati
Curatore del Padiglione Italia alla 15. Mostra Internazionale di Architettura, lo studio interviene nel dibattito sulle strategie da adottare in seguito al sisma del 24 agosto scorso con una posizione che ribadisce la centralità delle persone e la necessità di impiegare professionisti capaci di mettersi “a servizio” delle loro esigenze.
UNA MEDICINA PER IL DOMANI
L’emergenza impone risposte immediate ad esigenze primarie: ricovero, acqua, elettricità, beni di prima necessità, fognature; ma troppo spesso, in questa efficienza, viene dimenticato il fattore umano; chi abiterà questi spazi, chi ne farà uso. Vanificando spesso la reale efficacia di questi interventi in favore dell’efficienza. È quella che definiamo come “ingegnerizzazione del dolore”, un processo di pura risposta pratica a esigenze che sono anche di natura psicologica e umana. Nasce qui la necessità di porre al centro del progetto le persone che dovranno essere messe nella condizione di riprendere la propria quotidianità e sopravvivere a una così grande tragedia. È necessario dunque prevedere modalità articolate di intervento che favoriscano la ripresa della vita attiva, non solo l’efficienza sul piano strettamente pratico. Portiamo un esempio concreto.
Circa due anni fa, siamo intervenuti in un campo profughi nel Kurdistan iracheno, un campo ben progettato, tanto razionale quanto disumano nel suo ottuso rigore: tutto sembrava previsto, salvo la vita. La cosa sorprendente che abbiamo riscontrato nel tempo è stato invece vedere come lentamente si siano generati spazi informali di socialità. A colpirci fu la spontaneità con cui si sviluppò il suq, seguendo modalità non previste nel progetto del campo stesso. Ma era proprio da quel suq informale che ripartiva la vita. Perché, quindi, non prevederlo in fase di progetto?
ARCHITETTURA TERAPEUTICA
Parlando ora del terremoto; pur trovandoci in un contesto totalmente diverso, crediamo che le problematiche siano molto simili: a causa della guerra o del sisma si parla sempre di persone che soffrono e che hanno perso tutto. Affrontare l’emergenza provocata da un terremoto significa, anche nell’intervento provvisorio, ricostruire l’identità di un luogo generando spazi belli, accoglienti, vitali non solo utili. Significa facilitare la ripresa della socialità e, con essa, della vita.
In questa ottica, è essenziale il ruolo svolto da un’architettura di pubblica utilità che si metta “a servizio”, capace di operare all’interno di un più ampio processo di cura. Capace di rendere “belli” anche gli spazi dell’emergenza, attraverso gesti frugali e semplici. Non è una questione di costi ma di cultura. Progettare nell’emergenza ha a che fare con il futuro, ha il respiro ampio dell’utopia. Sono utopie molto concrete: tre alberi in una tendopoli, una parete colorata nel grigio di una prefabbricato, un edificio pulito nel degrado aiuteranno le persone a uscire dalla disperazione. Si tratta di usare elementi minimi, di creare luoghi di aggregazioni come piazze, strade, giardini. È necessario attivare questi processi, soprattutto nella fase immediatamente successiva all’emergenza. È proprio qui che dobbiamo lavorare a stretto contatto con le comunità che hanno vissuto la tragedia, proseguendo anche quando i riflettori dei media si saranno spenti.
CURARE IL DOLORE
La buona architettura può curare il dolore, sa dare forza e desiderio al domani. È vittima nel sisma quanto protagonista nel dopo. Nella sua pratica semplicità sa essere terapeutica, aiuta a dimenticare. Dare un nuovo tetto che protegga, come un liscio intonaco che profuma di nuovo parla di futuro, della voglia di vivere, della semplice banalità del costruire. L’architettura sa essere medicina per il domani.
TAMassociati
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