Le assenti di lusso del turismo italiano
L’Italia, si sa, è una delle mete turistiche più gettonate al mondo. Eppure non tutte le città italiane rientrano fra le mete scelte dalla maggioranza dei visitatori. Stefano Monti riflette sulle ragioni che determinano l’assenza di alcuni importanti centri italiani dalla scacchiera del turismo.
L’ITALIA, PRESENTE ASSENTE
Ci sono tanti modi per poter comprendere quali siano i reali asset del turismo di un Paese. Si possono guardare statistiche (cosa che tutti noi normalmente facciamo), così come si possono conoscere i luoghi, valutare in base alla propria esperienza se una città, o più in generale una località, possano ambire a diventare destinazioni turistiche. L’Italia è uno dei Paesi a più elevata attrattività turistica in Europa, se non nel mondo, ma c’è tutta una serie di zone che non rientrano nei radar né del turismo internazionale (che si sviluppa, come tutti sanno, soprattutto sull’asse delle cosiddette città d’arte) né del turismo domestico. Quali sono queste aree?
Per capirlo proviamo a fare un giochino: possiamo guardare quali siano i “vuoti” del catalogo di una delle più apprezzate case editrici tematiche legate al comparto guide turistiche.
Questo giochino permette, da un lato, di raggiungere l’ovvia, e però ogni volta confermata, conclusione che città come Roma, Firenze e Venezia rappresentino i brand più rilevanti dal punto di vista internazionale, ma anche di scoprire quante delle nostre destinazioni non elicitino una domanda di mercato tale da giustificare una produzione specifica.
L’Italia rappresenta, intuitivamente, uno dei Paesi nei quali la Lonely Planet si è maggiormente concentrata, con un’offerta editoriale complessiva di 34 guide, seguita dalla Spagna con 29 guide e dalla Francia con 27.
Eppure, a fronte di tale interesse (il quale risponde quindi a una specifica logica di mercato), le destinazioni potenzialmente turistiche che non vengono promosse dalla casa editrice sono molteplici. In definitiva, le zone coperte sono riconducibili alle principali città d’arte (Venezia, Firenze, Roma, Napoli e Palermo) e ad alcune regioni a particolare attrattività turistica (Toscana, Sardegna, Sicilia, Puglia e Veneto) con qualche new entry come Matera e la Basilicata, Marche e Umbria.
Mancano all’appello città importanti come Mantova, Torino, Bologna, Caserta, Siena; città che hanno contribuito notevolmente alla storia e alla cultura del nostro Paese ma che, evidentemente, non rientrano all’interno di quegli itinerari consolidati che le grandi folle di turisti seguono e perseguono lungo lo Stivale.
I MOTIVI
Per quale motivo dunque le “assenti di lusso” sono, appunto, assenti? È solo questione di interesse da parte dei visitatori potenziali, oppure la valorizzazione di questi territori non è sufficientemente ampia? O magari è il set d’offerta cittadino a non permettere di riempire le pagine di una intera guida?
Questo punto è di particolare interesse. Perché per quanto le nostre città abbiano tutte (o quasi) un grande patrimonio storico-artistico, questo aspetto di certo non estingue tutte le necessità di un turista o di un “viaggiatore”. Sul versante culturale, spesso, i nostri borghi e le città minori non hanno nulla da invidiare alle grandi città macina-turisti, ma ciò che determina l’offerta di una destinazione turistica è una molteplicità di fattori che sicuramente tengono in considerazione il livello di Heritage, ma che includono senza dubbio anche la produzione culturale contemporanea, il livello di vivibilità, le infrastrutture, la mobilità, la cosiddetta night life. E su questo punto siamo visibilmente indietro. Lo dimostrano ad esempio i dati legati alla capacità regionale di attrazione della spesa turistica, divulgati da Istat: se l’assegnazione del fanalino di coda al Molise non stupisce molto, risulta molto più interessante il fatto che a precederlo siano Sicilia, Piemonte e Campania (rispettivamente 19°, 18° e 17° in classifica). Questi dati indicano il rapporto tra le presenze negli esercizi ricettivi e gli abitanti, ed è quindi naturale che regioni meno popolose tendano a essere privilegiate; ciononostante, la capacità informativa di questo indicatore è palese, come emerge dal grafico.
LE SOLUZIONI
Allora appare chiaro, per chi si fosse sintonizzato soltanto adesso sui problemi legati ai flussi turistici in incoming, che c’è molto da fare. E c’è da fare proprio in quei settori che più di altri potrebbero portare benefici al territorio. Adottare misure che favoriscano concretamente l’iniziativa privata, avviare percorsi di integrazione dell’offerta in chiave strategica, creare nuove domande piuttosto che correre tutti dietro a cinesi, tedeschi e americani.
Si potrebbe iniziare con l’avvio di strategie di posizionamento per favorire il turismo domestico, e non con il solito meccanismo dell’evento (in cui la città spesso rimane semplicemente uno sfondo); avviare iniziative che mirino a vivere da turisti la propria città (magari abbattendo i costi del pernottamento in caso di persone residenti); avviare scambi interregionali formalizzati, attraverso i quali agire con strategie aggressive di pricing. Si potrebbero fare tantissime cose, eppure, preferiamo ripeterci addosso i termini in voga al momento: esperienziale, sostenibile e destagionalizzato. Che tristezza.
Stefano Monti
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