Mi tollerano solo gli scenografi. Un ricordo di Dario Fo
Drammaturgo, attore, regista, costumista, scrittore, autore, illustratore, pittore, scenografo e attivista politico: sono molte le anime di Dario Fo, morto a Milano all’età di novant’anni. Qui lo ricordiamo per il suo lato più attoriale.
Grande vecchio della tradizione comica occidentale, a novant’anni Dario Fo se n’è andato.
Fra i molti territori artistici attraversati, forse è quello attoriale il più solido, certamente il più consistente: è dunque questo aspetto, fra i molti possibili, che si vuole ricordare qui, seppure per brevi accenni.
UN CORPO-TEATRO
Nel 1969 debutta Mistero Buffo, capolavoro con copiosi inserti di grammelot, il linguaggio teatrale da lui inventato costituito da suoni che imitano il ritmo e l’intonazione di uno o più idiomi realmente esistenti: “L’importante non è più il detto (un contenuto) né il dire (un atto)”, si potrebbe sintetizzare con ciò che ha scritto Michel de Certeau seppure in un contesto affatto diverso, “bensì la trasformazione e l’invenzione di dispositivi, ancora insospettati, che permettono di moltiplicare le trasformazioni”. Mistero Buffo diviene presto modello assoluto per gli esponenti del cosiddetto “teatro di narrazione”, da Mario Pirovano a Marco Baliani, da Marco Paolini ad Ascanio Celestini. Tradotto in molte lingue, citato in mille modi da schiere di artisti di tutto il mondo, dà la misura del ruolo di Fo nel panorama culturale e artistico internazionale.
Da Mistero Buffo in poi il Fo-attore, proprio attraverso il grammelot, mette sempre più al centro il corpo, inteso come strumento per veicolare messaggi complessi attraverso gesti, mimica, ritmi, pause e sonorità: un’espressione fisica in cui tutto diviene significante, propriamente “corpo teatro”.
“Si tratta di un modulo comico” ha contestualizzato la studiosa Eva Marinai “che Fo non attinge tanto dalla tradizione classica o giullaresca, quanto piuttosto dalla grammatica mimica di Etienne Décroux, mediata dalla lezione di Jacques Lecoq: un’arte corporea totalmente astratta, non narrativa e non figurativa; un’espressione fisica in cui è l’intera figura a farsi maschera”.
PER UN TEATRO POLITICO
Nel caso di Fo ciò non si esplica, come è noto, in criptici concettualismi: prima caratteristica del suo fare è un pervicace “essere nel mondo”. Esempio di ciò ne è Morte accidentale di un anarchico, commedia dedicata all’anarchico Giuseppe Pinelli, deceduto “cadendo” dalla finestra del quarto piano durante un interrogatorio al commissariato di Polizia di Milano (accadimento poi archiviato dalla Magistratura come caso di “malore attivo“): esso rimane una delle più convincenti manifestazioni sceniche della sensibilità politica di Fo.
Tutto il teatro è sempre politico, che lo voglia o meno, per la posizione che occupa in un dato spazio sociale, per gli effetti che produce nella polis; nel caso di Morte accidentale di un anarchico lo è in maniera intenzionale ed esplicita. Il “teatro politico” di Fo si muove fra due polarità che il Novecento teatrale ha espresso con forza: “teatro con contenuti politici” con finalità pedagogiche esplicite (da Piscator a Brecht, da L’Istruttoria di Peter Weiss a US di Peter Brook) e “uso politico del teatro”, quello che incarna in prima persona il cambiamento della relazione teatrale, l’attivazione dello spettatore, la dilatazione del fatto scenico oltre i suoi confini tradizionali (con le mille forme, diversamente efficaci e durature, adottate da Fo nel corso dei decenni).
UN NOBEL ANCHE PER CHI NON LO TOLLERAVA
Infine: quando nel 1997 Fo vince il Premio Nobel per la letteratura, riconoscimento del valore delle circa cento opere da lui scritte nel corso di una vita condivisa in gran parte dentro e fuori la scena con Franca Rame, l’Accademia di Svezia motiva: “Il Premio Nobel per la Letteratura viene assegnato quest’anno allo scrittore italiano Dario Fo, perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”.
“Gli autori negano che io sia un autore. Gli attori negano che io sia un attore. Gli autori dicono: tu sei un attore che fa l’autore. Gli attori dicono: tu sei un autore che fa l’attore. Nessuno mi vuole nella sua categoria. Mi tollerano solo gli scenografi”, risponde Dario Fo.
Michele Pascarella
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