A poco più di un anno da una delle tante azioni del Ministro Franceschini, è legittimo fare un bilancio. Mi riferisco all’introduzione del reclutamento anche esterno dei direttori dei musei. Quelli cosiddetti “di rilevante interesse nazionale”. Era una mia vecchia idea quella di dare autonomia quantomeno gestionale alle istituzioni culturali. A dire il vero la estenderei a tutte quelle aperte al pubblico generalista, ma il ministero per ora si è limitato a trenta. L’anno scorso c’è stato il bando per le prime venti, forse le più blasonate: Uffizi, Brera, Caserta, Gnam ecc. Adesso il secondo, con le restanti dieci. Com’era prevedibile, qualcuno subito è entrato nel ruolo e si è distinto. Sebbene tra i profili vincitori non ci sia stato nessuno che vantasse un curriculum particolarmente qualificante, sono invece numerosi i casi in cui i nuovi direttori hanno attirato su di sé l’attenzione mediatica per l’attivismo ma soprattutto per aver avuto voglia, coraggio e determinazione nel rinnovare l’ente affidatogli. Tra le novità più belle c’è il consenso dei dipendenti e il sostegno delle comunità locali. A dimostrazione che l’Italia ha voglia di risorgere. Naturalmente non significa che chi è stato meno presenzialista sulla stampa non stia lavorando bene. Rincuora soprattutto che persone nella maggioranza dei casi “sconosciute”, senza esperienze blasonate, stiano lavorando bene e facendo molto.
Due le questioni. La prima – che un po’ ne affievolisce il merito – è che c’era talmente tanto da fare che è bastato poco per emergere. La seconda – che invece rinforza il merito dei “superdirettori” – è che non serve chiamare Mandrake per cambiare le cose. Io stesso mi ero espresso con sufficienza rispetto a questo bando che, così enfatizzato, sembrava dovesse innescare la fila d’attesa tra i direttori dei grandi musei del mondo. Tutti si sarebbero dovuti strappare le vesti per venire a lavorare in Italia. Nulla di tutto ciò accadde. La partecipazione fu nutrita, ma di persone normalmente qualificate per il profilo richiesto. Persone che stavano aspettando la loro occasione per emergere, per brillare. Un merito va dato anche alla commissione di valutazione, che tra tanti curriculum ha saputo scegliere le persone giuste. Il bisogno di trionfalismo ancora una volta è stato battuto: o non si fa nulla o si chiama la contraerea. Invece persone serie, con un incarico solo e non con altri cento, si dedicano anima e corpo a questa bella sfida: far risorgere dalle ceneri un patrimonio storico unico e affascinante.
Fabio Severino
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #33
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