E se Dio fosse un programmatore?
No, non è un nuovo capitolo della saga di Matrix. Stavolta a sostenere la teoria della simulazione ci si mettono anche gli scienziati. Più aumenta la nostra bravura a riprodurre la realtà, più diventa probabile che la realtà sia solo una complessa, avanzatissima costruzione informatica.
LA TEORIA DELLA SIMULAZIONE
Finché questo scenario lo immaginavano scrittori e registi, restavamo affascinati ma tranquilli. Ora che la teoria della simulazione comincia a essere sostenuta, o quantomeno presa in considerazione, anche dagli scienziati, la faccenda si complica. Di che parliamo? Del fatto che il nostro mondo, così come lo conosciamo, potrebbe non essere la “vera realtà”. E non si tratta di una questione di tipo filosofico alla Platone; non parliamo di costruzione della realtà attraverso la percezione, parliamo proprio di universi interamente artificiali, fatti di codice binario e impulsi elettrici. Secondo la Simulation Theory, infatti, c’è un’altissima probabilità che il nostro mondo sia una simulazione digitale, creata e gestita da una civiltà superiore molto più evoluta tecnologicamente.
A rendere l’idea conosciuta e popolare è stato un filosofo, lo svedese Nick Bostrom, che nel 2003 ha pubblicato il famoso saggio Are You Living in a Computer Simulation?. Secondo Bostrom, che esaurisce il suo ragionamento in poche pagine, le possibilità sono tre e si escludono vicendevolmente: la specie umana si estinguerà prima di raggiungere lo stadio post-umano; un’ipotetica civiltà post-umana non avrebbe nessun interesse a simulare la vita dei suoi antenati; sicuramente viviamo in un mondo simulato. Semplificando un po’, l’idea è questa: visto che la nostra capacità di riprodurre la realtà con i mezzi tecnologici migliora di giorno in giorno, tra secoli, millenni o milioni di anni probabilmente saremo in grado di simulare in maniera convincente la vita (sempre se non ci estinguiamo prima). Dunque, c’è un’alta probabilità che qualche altra civiltà abbia raggiunto questo stadio prima di noi e che il nostro mondo sia la loro “ancestor simulation”.
UN DIBATTITO SEMPRE PIÙ ACCESO
L’articolo di Bostrom, pubblicato sul Philosophical Quarterly, è stato accolto con grande entusiasmo ed è oggetto di discussione da oltre un decennio, ma i recenti progressi nel campo della realtà virtuale, insieme ad alcune scoperte di tipo scientifico che riguardano la natura matematica dell’universo, hanno riacceso il dibattito. In particolare, due dichiarazioni recenti hanno attratto l’attenzione: quella di Neil deGrasse Tyson, stimato astrofisico americano, che ha affermato: “È molto probabile che il nostro universo sia simulato”; seguito a ruota da Elon Musk, imprenditore milionario fondatore di Tesla Motor e SpaceX, che ha rincarato la dose in un incontro pubblico: “Le probabilità che il nostro mondo sia la realtà “di base” sono una su un miliardo”. A chi chiede come sia possibile che il software del mondo non crashi mai, rispondono che déjà-vu, fantasmi ed eventi apparentemente inspiegabili potrebbero essere i proverbiali “glitch in the Matrix”, per citare il celebre film dei fratelli Wachowski. Insomma, magari Dio non è esattamente un anziano signore con la barba bianca né un’entità incorporea, ma piuttosto un programmatore post-umano. Nonostante ci sia ancora una vasta schiera di scienziati e filosofi pronti a giurare sull’impossibilità di riprodurre la coscienza umana, l’ipotesi del mondo simulato prende ogni giorno più piede, insieme naturalmente all’eterno tema del post-umano. Esiste uno stadio oltre l’umano? E in cosa consiste? Sono sempre più numerosi gli artisti che indagano il concetto di realtà in relazione ai progressi dei media digitali e anche ai nuovi studi di mappatura del cervello umano.
LA RISPOSTA DELL’ARTE
Già Harun Farocki, regista e videoartista attivo sin dagli Anni Settanta e scomparso nel 2014, studiava il rapporto tra realtà e simulazione digitale nella videoinstallazione in quattro parti Parallel I-IV, nella quale ripercorreva tutta la storia della computer grafica dagli albori a oggi.
C’è poi la tedesca Hito Steyerl, che durante la Biennale di Venezia del 2015, con l’opera Factory of the Sun installata nel padiglione nazionale ai Giardini, raccontava la surreale storia di un gruppo di schiavi in una fantascientifica fabbrica di luce artificiale. Il tutto naturalmente ambientato in un futuro in cui l’umano viene superato dalla macchina. Infine l’americana Cecil B. Evans nell’opera forse più riuscita in assoluto dell’ultima Biennale di Berlino, il video What the Heart Wants, dove racconta la sua storia dal punto di vista di un’entità artificiale, che in un’epoca futura si interroga su cosa significhi davvero “essere umani”.
Valentina Tanni
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #33
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