Jeff Koons, l’artista dei record, l’amico delle popstar, una celebrità lui stesso, sarebbe ingabbiato negli ultimi tempi all’interno di una spirale negativa da cui, nonostante i numerosi sforzi, non si vede via d’uscita. L’ultima notizia riguarda il cambio di sede dei suoi uffici, sensibilmente ridotti e accompagnati da un significativo taglio dei dipendenti e collaboratori. Proteste e scandali che rischiano di smascherare a poco a poco quell’aura magica che ha accompagnato fin ora il Re Mida dell’arte.
IL CASO
Risale a poco tempo fa la notizia secondo la quale Jeff Koons, l’artista più pagato al mondo, avrebbe firmato un contratto per spostare la sede dei suoi uffici all’ottavo e decimo piano della 475 Tenth Avenue a Hudson Yards a New York, con un significativo ridimensionamento degli spazi. Un taglio che in sé non costituirebbe nulla di allarmante, se non fosse seguito da una nutrita serie di licenziamenti dei suoi collaboratori e da chiari segni di agitazione. Secondo quanto riportato dal portale americano ARTnews infatti, alcuni di questi avrebbero usato i social per esprimere la propria frustrazione, lanciando alcuni tweet con frasi come “È la fine di un’era”. Pare che neanche le ripetute richieste di spiegazioni e commenti inoltrate allo studio Koons siano state accolte. Un clima inquieto insomma, le cui cause si possono facilmente ipotizzare nella spirale negativa che ha investito l’immagine dell’artista in questi ultimi anni.
LA DISCESA DI KOONS
I primi campanelli di allarme si erano avvertiti nel 2017, quando la serie Gazing Ball, esposta nelle gallerie più prestigiose al mondo, ovvero David Zwirner e Gagosian a New York, aveva risentito di vendite “poco brillanti”, costringendo lo studio-fabbrica a rallentare il suo ritmo produttivo. Erano partiti così i primi licenziamenti, seguiti anche dai tentativi di ex collaboratori di formare un sindacato. Una reazione a catena che non sorprende, visto che, solo due anni prima, il team di pittori che dava vita ai seducenti dipinti firmati Koons superava le cento “maestranze” (e qui, l’analogia con le botteghe rinascimentali sorge spontanea). Non era passato infatti ancora molto tempo da quel novembre del 2013 (andando a ritroso nel tempo) in cui il suo Balloon Dog era stato battuto all’asta di Christie’s di New York per 58 milioni di dollari, superando il campione in carica Gerard Richter e segnando un record inedito per il mercato dell’arte contemporanea. “Chi troppo vuole nulla stringe” è insomma l’amara morale della favola e delle bolle speculative che molto spesso si verificano quando al centro della questione vigono cifre esorbitanti. Il rischio di non riuscire a mantenere alti gli introiti è alto, e i mercati fanno il loro gioco. Il risvolto più spiacevole è quando, a pagar le spese dell’andamento imprevedibile delle vendite, sono i lavoratori stipendiati, i fautori effettivi di quei cagnolini luccicanti e di quelle sfere blu davanti a cui hanno transitato i visitatori dei musei di mezzo mondo.
IL KOONS MEDIATICO
Non hanno giovato le pesanti accuse ricadute negli ultimi tempi sull’artista, il quale ha fatto della propria immagine la chiave del successo. Prima incolpato di plagio dal pubblicitario Franck Davidovici in merito all’opera denominata Fait d’hiver (per il quale ha dovuto sborsare 135 mila euro), è stato poi additato dal Tribunal de Grande Instance di Parigi nel 2017 per lo stesso motivo, portando a confronto la foto Enfant scattata negli anni ‘70 dal fotografo francese Jean-François Bauret e Naked, la scultura pop presentata alla grande retrospettiva del 2014 al Centre Pompidou. Un rapporto, quello con la Francia, incrinatosi definitivamente a marzo del 2018, quando Bouquet of Tulips, l’opera pubblica di 30 tonnellate regalata alla città di Parigi non era riuscita a trovare una collocazione, ma solo posto nel dissenso di artisti e di chi lo accusava di farsi pubblicità con ipocriti pretesti. La possibilità di riscatto giungerà, per questo Koons un po’ abbacchiato, il 17 maggio, in occasione dell’apertura della grande mostra Apparenza svelata: desiderio e oggetto nel lavoro di Marcel Duchamp e Jeff Koons alla Fondazione Jumex di Città del Messico. Il curatore? Sarà nientemeno che Massimiliano Gioni, a cui passa la patata bollente di un artista in bilico tra declino e gloria.
-Giulia Ronchi
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