Quando un turista visita Roma per la prima volta sa che non può esimersi dal visitare alcuni capisaldi della città eterna, come il Colosseo, Piazza Navona o Villa Borghese. C’è però un solo gesto che li unisce per davvero, come in un rituale collettivo: il lancio della monetina nella Fontana di Trevi, così emblematico da coinvolgere anche i leader del G20 nell’appuntamento italiano dell’ottobre del 2021, guidati dall’allora Presidente del Consiglio Mario Draghi. Questa tradizione, però, affonda le radici molto più lontano nel tempo, forse già negli usi degli antichi romani, che erano soliti lanciare monete in corsi d’acqua, fiumi, laghi e fontane per conquistare i favori delle divinità acquatiche.
Il lancio della monetina nella Fontana di Trevi
Ad avere l’idea fu l’archeologo tedesco Wolfgang Helbig, protagonista dei salotti romani dell’Ottocento, che cercò di curare la tristezza degli studiosi in procinto di lasciare la città con un gesto di buon auspicio: chiunque avrebbe compiuto il lancio sarebbe tornato. Lo ricorda anche lo storico Theodor Mommsen: “La felicità dei tempi romani, la grazia, la tranquillità, la gaiezza, la pienezza della vita e della convivenza romana legano tutti coloro che sono arrivati a Fontana di Trevi in un legame con Roma e insieme in un legame reciproco di comunanza duratura”.
Oggi non tutti i turisti lanciano la monetina con la mano destra sulla spalla sinistra, come la prassi richiederebbe, e probabilmente non sanno che la loro donazione è più importante di quanto pensino, perché destinata a finanziare numerosi progetti e iniziative della Caritas romana. Da 15 anni, grazie a un accordo periodicamente rinnovato con il comune di Roma, l’ente caritatevole si prende cura del raccolto, che viaggia su una media di un milione e mezzo di euro all’anno, per aiutare i poveri della città, e non solo.
La raccolta delle monetine della Fontana di Trevi
Il processo di raccolta inizia poco prima delle 8 di mattina, con una frequenza che nel corso del tempo è cambiata più volte, soprattutto per le interruzioni forzate della pandemia e la riduzione del flusso durante il restauro della fontana, tra il 2014 e il 2015. Molti stranieri restano sorpresi quando a quell’ora arrivano con l’intenzione di replicare il lancio ma trovano il monumento delimitato dai nastri e il vociare delle persone coperto dal rumore delle pompe che risucchiano euro, dollari, yen, rubli, in un unico cesto. A occuparsi di questa prima fase è l’Acea, fornitore di energia elettrica e gas che gestisce anche l’illuminazione artistica.
Gli operai riuniscono le monete in una sola fila per facilitare l’aspirazione delle pompe e a processo in corso vengono raggiunti da un rappresentante della Caritas, quasi sempre Fabrizio Marchioni, che quando non è impegnato con la fontana – lavoro che svolge dal 2011 – aiuta nell’amministrazione. Il rapporto tra i lavoratori dell’Acea e Marchioni è amichevole, fatto di battute, scherzi, risate, e anche quello con i vigili urbani, che hanno il compito di appuntare il peso totale del raccolto e redigere un verbale. A quel punto l’attenzione dei turisti, e dei loro cellulari, si è già spostata dalla statua del dio Oceano al rumore delle monete che finiscono nei sacchi.
Dopo circa un’ora, Fontana di Trevi torna a disposizione dei curiosi, mentre il viaggio del minivan della Caritas prosegue trasportando il bottino in una struttura che non può essere rivelata. Lì assieme a Marchioni c’è Enrico Chiolini, volontario di 62 anni, che lo aiuta a stendere le monete su un grosso tavolo per asciugarle con un phon e rimuovere le impurità: “Rischi di trovarci di tutto, braccialetti, perline, e quindi stendendole sui tavoli si fa anche una prima scrematura. Una volta abbiamo trovato addirittura un vibratore”, racconta Marchioni. Alcuni tra gli oggetti più significativi sono conservati in un cassetto: ci sono due monete decorate con le scritte “granma” e “mum” probabilmente dedicate a parenti defunte e delle piccole opere di ricamo.
Una macchina aiuta a separare gli euro dalle valute straniere, che, grazie a una serie di accordi con le ambasciate, vengono convertite ogni due o tre anni. Poi arriva il portavalori e le monete, che sembravano aver terminato il loro percorso nelle acque della fontana, tornano a prendere vita.
Le attività finanziate dalle monete raccolte nella Fontana di Trevi
Anche in altri Paesi esistono casi simili a quello di Fontana di Trevi. Il lago dell’hotel Bellagio, a Las Vegas, rende circa 12mila dollari l’anno e il ricavato è destinato a organizzazioni no profit come Habitat for Humanity. Le acque di Disney World hanno raccolto 18mila dollari donati ai bambini in affido e persino il Memorial dell’11 settembre a New York, nonostante il lancio delle monete sia proibito, ha fruttato 3mila dollari.
In passato è capitato che Caritas venisse chiamata per ritirare il raccolto di altri monumenti della capitale italiana, come la fontana dei Quattro Fiumi di Piazza Navona o la Barcaccia di Piazza di Spagna ma niente di paragonabile all’importanza di Fontana di Trevi per i progetti sociali dell’ente. Gli 1,5 milioni di euro di media annuale rappresentano infatti circa il 10% del bilancio romano, con picchi che possono arrivare anche a 7mila euro per singola raccolta, specialmente nel periodo di Pasqua e durante l’estate.
“I turisti che vengono a Roma e lanciano la monetina fanno un grande servizio di aiuto ai poveri della città”, dice Giustino Trincia, direttore di Caritas Roma, che potrebbe passare un’intera giornata a raccontare la quantità di iniziative finanziate da Fontana di Trevi. Centri per i malati d’Alzheimer o per le madri sole e i loro bambini, i funerali per non residenti, il supporto alle associazioni che lavorano nel sociale, tutto il polo Caritas di Ostia, dalla mensa, al dormitorio, passando per l’assistenza alle parrocchie, il servizio notturno itinerante per i senza dimora. In generale tutto quello che non è coperto da una convenzione, per esempio i progetti finanziati dal comune di Roma, e i cosiddetti “extra”, cioè quelle spese non previste ma essenziali per aiutare le persone in difficoltà.
Il caso degli empori
Un emblema di questo approccio sono gli empori, che fungono da supermercati per le persone con limitate risorse economiche. A Roma ce ne sono cinque, finanziati in parte da Fontana di Trevi e in parte da fondi europei e donazioni del Vaticano o di aziende locali e nazionali. Esistono da 15 anni, cioè dagli albori dell’accordo con il comune per la raccolta delle monete, e sono state elogiati da Papa Francesco come un modello dignitoso, che supera il semplice pacco cibo. Un sistema che ha influenzato la creazione di strutture simili in tutta Italia – oggi ce ne sono più di 130 – e nel resto della regione Lazio.
Prima di accedere agli empori, le persone si recano nei centri di ascolto, dove i volontari capiscono le loro necessità, oltre ai bonus e agli aiuti a cui potrebbero aver accesso: “C’è una presa in carico totale. Molte persone non sanno nulla, ma hanno diritto a tante cose. Avere i diritti è una cosa, esercitarli è un’altra”, afferma Trincia. In base al numero di membri del nucleo familiare si riceve una tessera con dei punti da utilizzare nella spesa, che si svolge come in un normale supermercato provvisto di quasi ogni necessità, dal pane alla carne, passando per i prodotti per bambini fino all’igiene della casa.
Sono state 23mila le famiglie assistite nei 15 anni di storia degli empori, solo nel 2022 la cifra ammonta a 2029, circa 10mila persone secondo i calcoli di Trincia, con una domanda esplosa durante la pandemia. “Nel Covid abbiamo lavorato quasi 24 ore su 24, la gente veniva alle 3.30 di mattina per prendere il numeretto”, dice Alessandra Brienza, che lavora da 30 anni in Caritas e ha notato un’impennata nelle richieste anche da parte degli italiani. Per chi invece non ha una casa dove poter cucinare i prodotti dei supermercati esistono le mense. Quella di Colle Oppio, non lontana dal Colosseo, fornisce circa 600 pasti al giorno, mentre prima dell’emergenza sanitaria la media si attestava attorno a 350. Poi ce ne sono altri che vanno alle questure, dove si trovano molti minori stranieri non accompagnati.
Il protocollo con il comune di Roma
L’accordo che permette a Caritas di utilizzare le monete di Fontana di Trevi per i suoi progetti sociali è siglato dal comune e dal Vicariato di Roma, ma non sempre il suo rinnovo è stato automatico. Nell’ottobre 2015, quando a capo del Campidoglio c’era Ignazio Marino (Partito Democratico), la giunta aveva approvato un provvedimento che rendeva il comune proprietario esclusivo di tutte le monete lanciate nelle fontane della capitale. L’idea sarebbe stata quella di usare il ricavato per sanare alcuni buchi di bilancio e coprire altre spese pubbliche.
Superato questo primo stallo, ne arrivò un altro a inizio 2019, durante l’amministrazione di Virginia Raggi. Il Campidoglio avrebbe voluto far rientrare il patrimonio sotto la Ragioneria generale e i Dipartimenti delle politiche sociali e della cultura, in parte per la manutenzione del patrimonio artistico della città. “Saranno più importanti le persone dei monumenti, no?”, si chiede Trincia. La polemica che ne derivò portò la giunta a rivedere i piani: “La Caritas e tutte le migliaia di persone assistite dai suoi operatori possono stare tranquille. Garantisco io, in prima persona, che non verrà mai meno il contributo di questa amministrazione. Nessuno ha mai pensato di privare la Caritas di questi fondi”, disse la sindaca.
L’ultimo rinnovo biennale è arrivato dal sindaco Roberto Gualtieri a dicembre 2021 ed è in procinto di essere confermato a breve. Nel frattempo i turisti continuano a lanciare le monetine, forse non più con la speranza di tornare a Roma ma semplicemente per pubblicare un selfie sui social. Molti di loro non sapranno mai che dietro quel gesto si nasconde uno dei più semplici e preziosi atti di carità della città eterna.
Alessandro Leone
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