L’amara sconfitta che Roma ha da poco registrato a livello internazionale nella cerimonia di assegnazione dell’Expo 2030 mette in mostra un deficit strutturale di una città che nel corso degli ultimi decenni non ha saputo mostrare un proprio volto contemporaneo al mondo internazionale.
La sconfitta di Roma nella sfida di Expo 2030
Preoccupata di esportare archeologia, storia e antichità e di importare turisti di massa di passaggio per un pomeriggio, Roma ha dimenticato di non essere stata costruita in un solo giorno e ha smesso di coltivare con continuità una propria immagine di sé che potesse entrare nel linguaggio della contemporaneità globale.
Così come nel mondo scientifico le pubblicazioni devono rispettare un rigoroso standard internazionale per poter essere finanziate, condivise e accettate, allo stesso modo una città che vuole competere per una manifestazione di carattere internazionale deve preoccuparsi di parlare del futuro con la lingua del contemporaneo, che possa essere compreso nel mondo globale del XXI secolo.
Imparare a parlare il linguaggio del contemporaneo passa soprattutto attraverso l’ascolto degli artisti e degli architetti, capaci di intercettare lo zeitgeist della loro epoca e produrre luoghi, immagini, sculture, testi, musiche, film e rappresentazioni che raccontano una visione del futuro di un determinato luogo. La lingua del futuro è basata sull’immagine che si vuole dare di sé al mondo qui ed ora, e questo passa attraverso la valorizzazione di ciò che di contemporaneo si è fatto negli ultimi anni.
Grandi manifestazioni e infrastrutture
Parlare di innovazione invece che di manutenzione, di promozione delle generazioni future al posto della conservazione, di visionarietà al posto di procedure burocratiche e di futuro al posto del passato: le idee che funzionano a livello globale sono quelle che trasformano la storia invece di tentare di tenerla in vita a tutti i costi senza proiettarla nel presente verso il futuro. Le grandi manifestazioni internazionali vengono spesso utilizzate dal nostro paese come un’occasione per costruire infrastrutture e rilanciarsi nel futuro (come dichiarato dal Presidente della Commissione Speciale Expo 2030 Virginia Raggi), senza considerare che i criteri di assegnazione internazionale prevedono che questi grandi investimenti vengano concessi non a città con impellente bisogno di risorse finanziarie, ma a territori che hanno già saputo trasformarsi e per questo possono candidarsi a questo tipo di eventi, come punto finale di un percorso già avviato. Appare assai opportuno utilizzare l’occasione dell’Expo per riattivare un’opera incompiuta come la Vela di Calatrava (progettata e mai finita) ma il racconto della candidatura non può passare solamente da come verranno utilizzati i finanziamenti per riqualificare i vari Palasport, Università e quartieri in stato di degrado, ma anzi deve mostrare come l’Expo possa essere un’ultima tappa in un percorso che si è deciso di intraprendere nel corso degli anni.
Expo e Riyad
Lo slogan di Riyad era “The Era of Change: Together for a foresighted tomorrow” e Busan parlava di “Transforming Our World, Navigating Toward a Better Future”: entrambi hanno scelto di interpretare in maniera chiara uno degli aspetti principali di questa epoca seguendo anche le intuizioni di filosofi italiani come Giorgio Agamben ed Emanuele Severino, i quali identificano questo momento storico come l’era del cambiamento e delle infinite possibilità della tecnica. Roma invece non aveva uno slogan unico. Frasi come “Eterna evoluzione”; “Expo 2030 Roma for humanity”; “Il futuro è la nostra storia”; “Persone e Territori: Rigenerazione, Inclusione e Innovazione”; “Being a worthy past for our future” hanno fornito un messaggio confuso e poco consapevole della direzione che si vuole prendere nel futuro e di quale idea si vuole essere portatori nel mondo, facendo riferimento soprattutto al passato e alla storia e schiacciandosi in una posizione subordinata e di rincorsa rispetto al proprio tempo.È una sorta di complesso di inferiorità che la nostra città conosce bene soprattutto quando si deve parlare il linguaggio visivo del XXI secolo.
Architettura contemporanea a Roma
In primis sull’architettura: abbiamo pochi luoghi iconici costruiti negli ultimi vent’anni ma sono di grande forza visiva, penso al Maxxi, all’Auditorium all’Ara Pacis o alla Stazione Tiburtina e invece nel video di presentazione della candidatura gli unici footage originali utilizzati erano quelli degli Acquedotti, dell’Altare della Patria o della Fontana di Trevi, mentre sono state utilizzate footage stock di altre città del mondo, quando si voleva parlare di innovazione e di futuro. Non solo: il Maxxi è stato utilizzato come contenitore per ospitare eventi di presentazione della candidatura, come se si trattasse di un centro congressi, invece di coinvolgerlo per immaginare come gli artisti della città potessero disegnare un’idea di futuro per Roma.
Le immagini che accolgono il visitatore sul sito sono o fotomontaggi di giganti umani che passeggiano tra i luoghi antichi della città o foto stock come le persone che si stringono la mano con le maniche tricolore o l’immagine di una terra che galleggia su un oceano.
Riyadh mostra invece la tradizionale figura di un saudita a cavallo di fronte allo skyline della propria città, oppure una fotografia dell’architettura specchiante della Maraya Concert Hall, costruita all’interno di un sito Unesco. Così Riyadh ci ha superato, mostrando che parlare il linguaggio del futuro significa utilizzare la storia come una piattaforma per costruire il presente con una nuova narrazione, rivolta soprattutto ai giovani.
Per la generazione di trentenni, composta da imprenditori, politici e culture-makers che aspirano a guidare la città nei prossimi anni il fallimento dell’EXPO 2030 deve rappresentare un ’opportunità unica per piantare i semi che possono far crescere un possibile futuro della città. Ecco alcune proposte che, se venissero attuate fin da subito, potrebbero aiutare una candidatura di Roma alle prossime edizioni dell’Expo.
Proposte per Roma
(a) Costruire un nuovo impianto simbolico, coinvolgendo i giovani artisti under 40 invitandoli ad immaginare visioni del futuro di Roma e dedicandogli spazi pubblici e permanenti di esposizione e visibilità e costruendo una rete di “edicole” sparse per la città, come si faceva nel medioevo, all’interno dei gabbiotti della polizia, disseminati in tutta la città ed oggi vuoti e abbandonati.
Un metodo antico ma al contempo innovativo per rendere visibile a tutti, turisti e cittadini, la cultura contemporanea, intesa però non come decoro urbano (come spesso viene intesa la street art) ma per immaginare il futuro attraverso i linguaggi dell’arte contemporanea riconosciuta a livello internazionale.
(b) Realizzare monumenti, padiglioni e architetture temporanee nelle piazze del centro storico, per allenare lo sguardo dei cittadini ad immaginare che l’antico possa coabitare con il moderno, così come la piramide di Ieoh Ming Pei dialoga con il palazzo del Louvre o il dito di Cattelan con l’edificio eclettico della Borsa di Milano.
(c) Istituire una figura civile, all’interno dell’amministrazione comunale, che possa essere garante del presente e in costante dialogo con la rete di eccellenze contemporanee che abita la nostra città: un assessore al contemporaneo, dotato di un budget adeguato, che possa costruire una nuova immagine internazionale di Roma.
Marco Bassan
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