Che cos’è “l’art on prescription” e perché ci farebbe risparmiare
Risparmiare, certo, ma prima di tutto “guadagnare”. Guadagnare in salute, benessere, riduzione del rischio di soffrire di depressione o Alzheimer. In Inghilterra e USA è orma pratica diffusa: perché non farlo anche in Italia?

Per una volta, i dati a sostegno dell’affermazione ci sono. E anche con una buona evidenza dal punto di vista statistico. Gli studi dell’OMS e di numerosi enti internazionali (l’Italia, a dispetto della sua fama culturale, non compare quasi mai) hanno dimostrato negli ultimi anni gli effetti positivi delle pratiche artistiche – attive o passive che siano. Vale per tutti: dai bambini, che guadagnano in autostima per affrontare la scuola, agli anziani, che risultano meno soggetti a demenza senile. Ma c’è di più.
Nello scorso decennio, in Paesi come Canada, Stati Uniti, Gran Bretagna, e altre aree nordeuropee, si è cominciato a sperimentare l’utilizzo concreto di questo effetto benefico. Dalla teoria, alla pratica; con l’obiettivo di sostenere quello che – in particolare dopo la Pandemia – è diventato un settore sempre più sotto pressione. Quello sanitario. La soluzione? Si chiama “art on prescription”, ed è una forma di cura alternativa, che può accostarsi (talvolta persino sostituirsi) alle terapie tradizionali. Gli effetti benefici sono dimostrati, e anche i risparmi in termini di spesa sanitaria.
Che cos’è l’art on prescription?
“Arte su ricetta medica” – la si potrebbe tradurre in italiano. Traduzione ardua da comprendere e immaginare, considerando la sua presenza rara nel nostro Paese. Rispetto ad altri stati – i citati Canada, USA e Gran Bretagna ne sono senz’altro i pionieri – la pratica è ancora tutta da costruire, a partire dal cambio di prospettive culturali che ha alle spalle. Il punto di partenza è capire di che cosa si tratta: illuminanti sul tema sono le parole di Daisy Fancourt, studiosa britannica e autrice di numerose pubblicazioni al riguardo.
Tutto nasce da un problema: la pressione sul sistema sanitario inglese (comune altrove), spesso causata da malesseri che non necessiterebbero di un medico per essere curati. O, almeno, non all’inizio. I due terzi delle ragioni per cui i cittadini si recano dal dottore, secondo quanto riscontrato da Fancourt, sono “non mediche”. Solitudine, o problematiche mentali lievi… criticità più ampie delle patologie cliniche, ma che potrebbero poi convergere in esse se non curate. E il dunquearriva proprio con la cura: capita spesso che quella prettamente medica non sia efficace (oltre a essere un costo inutile), in quanto non adeguata alla radice del problema. La strada alternativa alla medicina – ormai in uso da anni in Gran Bretagna – è la “social prescription”, di cui la variante artistica è parte integrante.
Piuttosto che prescrivere un farmaco, il medico invita il paziente a rivolgersi a un “link worker”, ossia una persona che conosce e ha contatti con vari tipi di attività organizzate nella comunità d’origine (quartiere, città…). Possono essere iniziative a sfondo artistico, culturale, ma anche occasioni sociali più in generale. Tutto sta nell’identificare la scelta giusta per l’individuo, assicurandosi che la trovi gradita e soddisfacente. Per fare ciò, occorre tempo; e il link worker è proprio una figura volta a occuparsi più a lungo della persona in cura, rispetto a quanto farebbe un dottore. Così, la scelta di attività può essere adeguatamente ponderata.

Le attività alternative per curare la mente con l’arte
La gamma di alternative che potrebbero essere prescritte da un link worker è molto vasta, e riflette l’offerta di attività del territorio locale. In Inghilterra, sembrano funzionare bene i programmi di green gym: iniziative legate al giardinaggio, alla bonifica degli stagni, alla cura degli spazi verdi cittadini. Si fa movimento, si conoscono nuove persone, e si aiuta l’ambiente. Accanto alla natura, c’è tutto il panorama di opportunità a contatto con l’arte e i luoghi della cultura. Biblioteche, ma soprattutto musei e centri creativi. Si può trattare di visite di gruppo, sessioni di mindfulness, oppure laboratori in cui i partecipanti possano esprimere se stessi e sviluppare nuove competenze. Non ci sono regole troppo definite per le attività artistiche da prescrivere; l’unico requisito – che ne è al contempo una caratteristica distintiva – è la multi-modalità. Ossia la varietà di effetti che, quando sommati, risultano in un incremento concreto di salute e benessere. Per fare qualche esempio, i benefici si hanno con la possibilità di esternare i propri sentimenti, di imparare nuove tecniche o nuovi mestieri, che possano tradursi in competenze utili nel mondo del lavoro. Coltivare un hobby artistico, grazie allo sprone fornito da queste occasioni, è uno dei principali motivi di miglioramento nei disturbi legati all’età. E poi, queste iniziative rilassano e riducono lo stress, aumentano la soddisfazione, permettono di aprirsi agli altri e di intessere legami duraturi.

Una soluzione per ridurre i costi sulla salute pubblica e aumentare gli effetti positivi
Veniamo infine agli aspetti economici concreti, che – per quanto secondari rispetto a fattori sociali e culturali – sono indispensabili per reggere il tutto. Come riporta ancora la studiosa Fancourt, le attività di art e social prescription adottate in Gran Bretagna hanno dimostrato finora un ottimo profilo di rapporto costi/benefici. Sono infatti risultati in molti casi più efficaci di cure mediche tradizionali (per problematiche non strettamente mediche), e meno onerose di queste. In media, si stima un risparmio sicuro di più del 25%, con casi che vanno anche oltre. E gli impatti positivi si vedono anche sul settore sanitario: meno pressione sui medici e calo del numero di visite non necessarie. Dal lato dei pazienti, un link worker è disponibile ad assisterli entro quarantott’ore dall’inoltro della richiesta; per un appuntamento con uno psichiatra si può dover attendere settimane, se non mesi.
Quanto detto illustra a sufficienza il potenziale di sostegno che l’art on prescription potrebbe dare alla società, quale dimostrazione esemplare del valore dell’arte e dei musei che va oltre gli aspetti intrinseci. È un motivo più che valido per guardare e prendere spunto da quello che circonda e avviene oltre i confini del nostro Paese.
Emma Sedini
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati