Polemiche coloniali e rapporti istituzionali incrinati: un brutto periodo per il British Museum
Il profilo Instagram del celebre museo londinese è stato inondato di richieste per la restituzione di una statua dell’Isola di Pasqua. E la sfilata di moda in mezzo ai marmi del Partenone fa arrabbiare la Grecia
Un altro mese di cattiva reputazione per il British Museum di Londra, non il primo e quasi sicuramente non l’ultimo. Uscito da un anno di fuoco – con tanto di dimissioni del precedente direttore e l’installazione di un sostituto ad interim in attesa di trovarne uno nuovo –, il museo londinese è di nuovo al centro di un polverone mediatico. Il tema è sempre lo stesso: il letale mix tra l’avere un patrimonio quasi interamente frutto di un colonialismo rapace e un’attitudine di completo rifiuto nei confronti di ogni posizione di mediazione o restituzione.
Polemica sul profilo Instagram del British Museum: restituire la statua dell’Isola di Pasqua
L’ultimo disastro social del British è iniziato quando l’influencer Mike Milfort ha incoraggiato i propri follower a unirsi a lui in un appello volto a far tornare in Cile le due statue di basalto, prelevate nel 1868 dall’Isola di Pasqua (o meglio, Rapa Nui, nome originale polinesiano) e portate al museo. Da lì alla shitstorm il passo è stato breve: oltre ad aver chiesto la restituzione di Hoa Hakananai’a, letteralmente “l’amico rubato”, gli utenti sono tornati sul tema del “museo dell’arte rubata”, inondando il profilo di insulti e commenti troll. Il museo – che già ha una pessima reputazione presso le giovani generazioni su TikTok, dove si guarda bene dall’aprire un profilo – ha dovuto correre ai ripari e censurare i commenti sotto i propri post.
La questione sulla resa delle sculture polinesiane è tornata pressante lo scorso gennaio, quando il presidente cileno Gabriel Boric ha espresso sostegno alla campagna in un’intervista a Radio Chiloé, esortando gli inglesi a “restituire il moai”. Anche l’ex governatrice dell’isola, Laura Tarita Alarcón Rapu, aveva chiesto al museo, nel 2018, di restituire le statue. Ma c’è poco da discutere, perché il museo britannico non vuole sentirne parlare: l’unica risposta è sempre quella che rimanda al maledetto British Museum Act del 1963, che impedisce (convenientemente) al museo di rimuovere oggetti dalla propria collezione anche qualora siano stati rubati da altri Paesi.
La sfilata tra i marmi del Partenone
Qualche giorno dopo, è stata invece la volta di uno strafalcione istituzionale: in occasione della Fashion Week londinese, si è tenuta davanti ai fregi del Partenone la sfilata del designer Erdem Moralioglu, che ha scelto proprio la più controversa sala espositiva del museo per presentare la propria collezione ispirata a Maria Callas. Uno schiaffo, se si considerano sia le innumerevoli richieste di restituzione accumulate negli anni proprio riguardo ai marmi, sia la pretesa di molti musei occidentali di essere in grado di conservare i manufatti antichi meglio dei Paesi da cui sono stati prelevati. “Organizzando una sfilata di moda nella sala espositiva dove sono esposti i fregi del Partenone, il British Museum dimostra ancora una volta di non avere rispetto per i capolavori di Fidia“, ha dichiarato in una nota la ministra greca della Cultura, Lina Mendoni. “I responsabili del British Museum svalutano e insultano non solo il monumento, ma anche i valori universali che rappresenta. Le condizioni di esposizione delle sculture nella Galleria Duveen peggiorano di giorno in giorno. È tempo che questo manufatto architettonico rubato e quest’opera maltrattata risplenda di nuovo sotto la luce dell’Attica”.
La gaffe social: il British Museum incoraggia il mansplaining
E non finisce qui. Nel primo weekend di marzo, il British è finito nuovamente al centro di un polverone mediatico per via di un meme pubblicato sui suoi canali social. In questo post veniva pubblicizzata la mostra Legione: la vita nell’esercito romano, dedicata appunto alla storia militare romana, come un’opportunità… per donne single per trovare degli uomini. Il meme del 3 marzo incoraggiava le visitatrici ad apparire “confuse” tra gli espositori nella speranza che un uomo si avvicinasse e spiegasse il tutto. Una sfortunata variante all’insegna del mansplaining del tormentone di qualche mese prima sull’ossessione di molti uomini per l’Impero Romano. Che non è piaciuta per niente: sommerso dalle critiche, il museo ha cancellato il post.
Giulia Giaume
Articolo aggiornato il 6 marzo 2024.
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