Nel ventre della balena. Perché l’arte non riesce a dare risposte sensate al buio del presente
Mentre i giovani lanciano zuppe o attaccano volantini sulle opere facendo arrabbiare ministri e altre personalità l’arte compie l’improvvisa scoperta di essere del tutto impreparata a fronteggiare (di nuovo) l’urto della realtà
Mi sembra proprio tutto, o quasi, come nei romanzi di Elizabeth Jane Howard che compongono la saga familiare dei Cazalet: ne Gli anni della leggerezza (1990), Il tempo dell’attesa (1991), Confusione (1993) e Allontanarsi (1995), assistiamo al lento, inesorabile ingresso di una famiglia inglese altoborghese nella guerra, negli aspetti più quotidiani e tediosi della guerra, nelle sue piccole privazioni all’ombra della grande storia. I tessuti, i cibi che via via scarseggiano, persino i colori che si ingrigiscono e le emozioni che si infeltriscono. È anche il mondo che racconta l’inizio di uno straordinario libro come Artisti a Londra (2018) di Martin Gayford, una sorta di romanzo pittorico, o ritratto narrativo di pittori in una determinata epoca storica. Sono cioè i passaggi di una graduale abitudine a questi aspetti, più che un ingresso esplosivo che, nella realtà, non esiste.
L’atmosfera e la “normalità” della guerra
È un po’ quello che sta accadendo oggi, se ci fate caso, senza ancora però uno scrittore strepitoso che abbia saputo catturare l’atmosfera precisa e indefinita di questo periodo. Ci siamo abituati e ci siamo abituati già a cose, eventi, idee che un tempo non troppo lontano sarebbero stati semplicemente impensabili. Inconcepibili.
E l’aspetto più straordinario non è tanto la rapidità di questo adattamento, l’efficacia e la penetrazione capillare di questo lavoro collettivo, quanto il fatto che tutto ciò ci sembri perfettamente normale. Certo, la retorica – quella pubblica, ma anche quella privata… – non è mai stata così roboante e pervasiva: nei fatti, stiamo scivolando sempre più verso qualcosa di oscuro ed energico che neanche vogliamo, o possiamo, nominare.
E l’arte? E il ruolo dell’arte in questi tempi che ormai, a ragione, possiamo definire bui (infatti chi si azzarderebbe a dire che sono luminosi?…)? Beh, l’arte – quella ufficiale, quella istituzionale: l’arte contemporanea – ha chiarito molto bene quale sia il suo ruolo.
L’indifferenza più totale, anche questa opportunamente mascherata da dichiarazioni di circostanza, altrettanto opportunamente decorata con finta solidarietà e impegno ancora più finto, e condita poi con pelosissime prediche.
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Il ruolo dell’arte nel presente
Così, mentre alcuni ragazzi continuano a lanciare le loro zuppe e ad appiccicare i loro post-it sui capolavori dell’arte mondiale, facendo arrabbiare ministri e altre ‘personalità’, l’arte di oggi recede sempre più. Sembra impaurita essa stessa dalla portata di ciò che sta accadendo, e anche dalla portata della propria impotenza. Dopo essersi rinchiusa per decenni nel recinto del sistema e nel fortino del mercato, beandosi della propria capacità di produrre star e di macinare milioni, scopre improvvisamente – ma come può, appunto, risultare davvero improvvisa questa scoperta? Mah… – di essere come minimo spuntata, di essere del tutto impreparata a fronteggiare (di nuovo) l’urto della realtà, di non aver conservato apparentemente i codici per sviluppare un minimo di interpretazione, di risposta sensata agli eventi.
Richiamo qui la riflessione, riportata un po’ di tempo fa, condotta dalla filosofa Bracha Lichtenberg Ettinger nella sua lettera di dimissioni dal comitato di documenta, che dichiarando molto francamente di non poter più affrontare il compito assegnatole vivendo in un paese in guerra, Israele appunto, scriveva: “Di recente avevo chiesto di rallentare l’intero processo. Il mondo dell’arte così come l’abbiamo immaginato è imploso, ed è oggi frammentato: che cosa può portare l’arte ai nostri tempi oscuri? La domanda sul senso dell’essere umani è strettamente connessa a quella sul senso dell’arte. Gli artisti non sono qui per decorare la politica. La funzione dell’arte non è quella di estetizzare le idee politiche (Walter Benjamin)”.
E allora qual è la funzione dell’arte?
Forse, per rispondere, bisogna tornare proprio a quel nucleo temporale di cui parlava la Howard. Nel saggio Nel ventre della balena (1940; ripeto: 1940), George Orwell forniva al suo solito alcune preziose indicazioni – prendendo spunto a sua volta da Tropico del Cancro e Primavera nera di Henry Miller – in merito al ‘comportamento’ di un’opera d’arte degna di questo nome, indicazioni che sembrano molto notevoli e valide ancora oggi: “…non c’è dubbio che Miller stesso è nel ventre della balena. Tutti i suoi passi più belli e caratteristici sono scritti secondo il punto di vista di Giona, un Giona contentissimo. (…) Nel suo caso, la balena è trasparente. Solo che lui non sente il minimo impulso di alterare o controllare il processo che ha luogo intorno. Egli ha compiuto l’essenziale atto di Giona: lasciarsi inghiottire, restando passivo, accettando” (Nel ventre della balena, in Nel ventre della balena, Bompiani, Milano 2013, p. 188); “Ormai non c’è bisogno nemmeno di una guerra per farci constatare la disintegrazione della nostra società e la crescente impotenza degli uomini onesti. È per questo che l’atteggiamento passivo, di diserzione, sottinteso nell’opera di Henry Miller mi sembra giustificato. Sia o non sia l’espressione di ciò che la gente dovrebbe sentire, forse s’avvicina parecchio a esprimere ciò che la gente davvero sente. Niente prediche, solo la verità soggettiva. E in base a questi criteri, evidentemente, è ancora possibile scrivere un buon romanzo. Non necessariamente un romanzo edificante, ma degno di essere letto e tale da essere ricordato” (ivi, 192).
Christian Caliandro
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Christian Caliandro
Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…