Le dittature sono contro la libertà dell’arte. Mattarella durissimo dopo il selfie di Jorit con Putin
Il Presidente della Repubblica si pronuncia sulla necessità di garantire la libertà dell’arte e il suo potere rivoluzionario, contro i condizionamenti di regime, che premiano il servilismo
La cupezza dei tempi che corrono, in uno Stato democratico com’è l’Italia, si misura anche dall’urgenza con cui, nelle ultime settimane, il Presidente della Repubblica ha sentito la necessità di entrare, con parole meditate e pesanti, nel dibattito civile e politico del Paese. Un Presidente, Sergio Mattarella, che da quando è salito al Colle, ormai quasi dieci anni fa, ha sempre letto la realtà con grande lucidità e fermezza (sebbene nell’agone politico si tenda spesso a tirare in ballo presunte strumentalizzazioni e faziosità): “L’autorevolezza non si misura sui manganelli”, ha dovuto ricordare al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi all’indomani della sconsiderata gestione muscolare della manifestazione studentesca di Pisa, pro Palestina, da parte delle Forze dell’Ordine. Durante la cerimonia per la Giornata Internazionale della donna, invece, il Presidente si è pronunciato contro le discriminazioni e le violenze di genere – ancora “troppe e inaccettabili” – per poi intavolare un discorso sulla libertà dell’arte, a partire dal tema scelto per l’edizione 2024 della Giornata: le donne nell’arte, per l’appunto. Ed è stata questa l’occasione per intervenire sul caso Jorit, pur senza citare mai esplicitamente lo street artist napoletano che, orgoglioso – arrivato in Russia per presentare il suo ultimo murale, dedicato a Ornella Muti – si è fatto immortalare in un selfie con Vladimir Putin “per dimostrare che sei umano”.
Le dittature contro la libertà dell’arte. Le parole di Mattarella
“Le dittature cercano in tutti i modi di promuovere un’arte e una cultura di Stato, che non sono altro che un’arte e una cultura fittizia, di regime, che premia il servilismo dei cantori ufficiali e punisce e reprime gli artisti autentici”, ha detto Mattarella in un passaggio chiave del suo discorso, stigmatizzando i regimi che imbrigliano la creatività, temendone gli esiti imprevedibili, e d’altro canto provano a plasmarla a fini propagandistici. Dev’essere risultato stonato, al Presidente Mattarella come a molti di noi che in tv abbiamo assistito alla scenetta tra Jorit e il premier russo sul palco del Forum internazionale della Gioventù di Sochi, che un artista schierato a suo dire contro “la bolla della propaganda” e strenuo portatore di “un messaggio di pace” possa aver sottovalutato l’impostazione oscurantista del regime di Putin. I suoi reiterati crimini di guerra, l’annientamento del dissenso con tutti i mezzi (meglio se violenti) a disposizione.
Jorit, la street art per la pace e il rapporto con la Russia
Eppure, a Jorit, la narrazione “sull’Occidente buono e la Russia cattiva” deve sembrare proprio una fake news da contrastare: una battaglia da combattere a colpi di street art. Passi il murale con il volto di Dostoevskij, realizzato a Napoli nel marzo 2022, per prendere (giustamente) posizione contro il boicottaggio della cultura russa, all’indomani dell’attacco di Putin all’Ucraina. “Da un piccolo, ma grande, istituto di Napoli voglio lanciare un messaggio perché la cultura non sia mero nozionismo settoriale né piatta dialettica. Solo con la cultura si capiscono le cause delle guerre e si costruisce la PACE: la cultura è valore universale, per cui Dostoevskij è patrimonio dell’umanità”, commentava all’epoca l’artista napoletano, al secolo Ciro Cerullo, lodato per il murale da Putin in persona. Più difficile immaginare l’Ornella Muti ritratta sulla facciata di un palazzo dell’ex villaggio olimpico di Sochi – sempre col medesimo schema adottato dallo street artist per i suoi volti dipinti, di dimensioni monumentali, solcati da strisce rosse tribali che rimandano a rituali magici e curativi africani – come simbolo di fratellanza e pacificazione tra la cultura italiana e quella russa. Per non parlare della bambina di Mariupol, ritratta nel luglio 2023 su un edificio sventrato dai bombardamenti nella città ucraina occupata dai russi, con i colori della bandiera della sedicente Repubblica popolare del Donesk chiaramente visibili nell’iride, e le bombe della Nato che piovono alle sue spalle. Un episodio, quest’ultimo, che fece molto discutere sulla posizione filorussa di Jorit, finora negata dall’artista, che in Russia ha lavorato molto negli ultimi anni, dal murale con il volto di Jurij Gagarin realizzato a Odincovo nel 2019 al ritratto di Assange dipinto a Mosca.
Jorit: artista libero o di propaganda?
Jorit, celebre soprattutto per il murale di Maradona che campeggia sulla stecca di via Taverna del Ferro nel quartiere napoletano di San Giovanni a Teduccio (prossimo alla riqualificazione), è ora nuovamente al centro del dibattito politico italiano. Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento Europeo, riferisce di aver chiesto “alla Commissione Europea e al Consiglio dell’Unione europea l’inserimento di Ciro Cerullo tra gli individui sottoposti a sanzione da parte dell’Unione europea“, in quanto “strumento della propaganda russa”. Carlo Calenda sottolinea come “i dittatori hanno sempre trovato una sponda in ‘utili idioti’ pagati o semplicemente in cerca di notorietà”; per Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura alla Camera e voce lucida sulla cultura contemporanea in Fratelli d’Italia, “un conto è il rispetto della cultura e arte russa, un altro prestarsi a operazione di propaganda di guerra, a maggior ragione dopo l’assassinio di Navalny”.
Jorit, dal canto suo, si è sempre definito un artista libero, mosso dal dovere di creare dibattito, e, nel caso specifico, di invitare la politica europea a riprendere il dialogo con la Russia. Ecco perché le parole del presidente Mattarella assumono un significato dirimente, oltre le polemiche e le strumentalizzazioni di sorta: le dittature non fanno mai bene all’arte, se non nella misura in cui spingono gli artisti che rivendicano la propria libertà di azione e di pensiero a ribellarvisi. E prestare il fianco alla messa in scena di un presidente in cerca di consenso, fornendogli l’assist per una risposta preconfezionata nel contesto edulcorato di una stucchevole rappresentazione teatrale, non sembra proprio una mossa “coerente rispetto al percorso di militanza artistica che porto avanti da anni, e che ambisce a diffondere un messaggio di pace”. C’è da sperare, piuttosto, che si tratti solo di una mera ricerca di notorietà.
Livia Montagnoli
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