Una ninna nanna che si chiama arte. Sulla relazione tra arte e politica
Don Winslow lascia la letteratura per dedicarsi all’attivismo contro Donald Trump, la mostra di Candice Breitz cancellata in Germania. L’artista engagé di oggi deve smetterla di calare i ‘temi’ del suo impegno nella sua arte per evitare una finzione raggelante
“L’arte astratta americana è una menzogna, una truffa, una copertura per la povertà di spirito. Una maschera per nascondere la paura di rivelare se stessi (…) Dove sono i pavimenti in legno – le lampadine – il fumo di sigarette? Dove sono i muri di mattoni? Dov’è ciò che sentiamo – senza nozioni – idee – intenzioni – cibo? No, conformiamoci alle banche – alla piazza – monumenti alla gente che possiede questo paese – diamo a tutti il conforto di una ninna nanna che si chiama ‘arte’. Sappiamo tutti cos’è questo – vero?” (nota di Philip Guston risalente agli inizi degli anni Settanta tratta da un manoscritto ritrovato nel suo studio, pubbl. in Musa Mayer, Night Studio: A Memoir of Philip Guston, Knopf, New York 1988, p. 170, cit. in Tony Godfrey, L’arte contemporanea. Un panorama globale, Einaudi, Torino 2020, p. 79).
Il conforto di una ninna nanna che si chiama ‘arte’”: cinquant’anni dopo, siamo ancora lì.
Don Winslow al Salone del Libro di Torino
Ospite al Salone del Libro di Torino, in un’intervista a “La Stampa” lo scrittore americano Don Winslow, autore tra gli altri romanzi della trilogia di Art Keller (Il potere del cane, Il cartello, Il confine), dedicata al narcotraffico come grande metafora del mondo contemporaneo, ha commentato così la sua decisione di abbandonare la sua carriera nella narrativa per dedicarsi all’attivismo politico contro la rielezione di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti, dichiarando: “La mia voce è una voce non gigante, ma che negli anni è diventata conosciuta. In questi ultimi tempi sono successe tante cose che mi hanno spinto alla convinzione che ci fosse bisogno di qualcosa di più radicale della storia di un libro, qualcosa di più immediato. Quando scrivo passano mesi prima che le mie parole arrivino ai lettori, e comunque non arrivano a tutte le persone che vorrei. Questo mi ha spinto a decidere che era ora di combattere una nuova battaglia. E quella contro Trump è l’unica su cui mi stia concentrando in questo momento” (Alberto Infelise, Don Winslow: la libertà è a rischio, “La Stampa”, sabato 11 maggio 2024, p. 4).
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Candice Breitz e documenta
Dunque, dopo le note vicende dello scorso inverno legate a documenta, con le dimissioni in blocco del comitato che stava selezionando il prossimo direttore artistico, quelle riguardanti l’artista Candice Breitz che si è vista improvvisamente cancellare la mostra in programma nel 2024 presso il museo di Saarland, a seguito e a causa di sue dichiarazioni e prese di posizione politica, e il monumentale pezzo pubblicato a dicembre 2023 da Masha Gessen sul “New Yorker” (In the Shadow of the Holocaust), in cui la scrittrice faceva il punto – né più né meno – su dove siamo ora come civiltà politica e culturale, un altro frammento si aggiunge a proposito dei rapporti burrascosi, ed esplosivi, del presente tra arte e politica. Uno dei più celebri scrittori statunitensi di noir decide di abbandonare la letteratura per dedicarsi all’azione diretta; e lo fa spinto da un’urgenza bruciante: non basta la “storia di un libro”, per quanto documentata e febbricitante come l’intreccio tra mercato della droga, capitalismo selvaggio e politica istituzionale indagato per decenni dal cane sciolto Keller, detestato per questo dai suoi stessi superiori e colleghi oltre che dai criminali a cui dà la caccia; serve un impegno diretto e “immediato”.
Serve cioè accorciare e annullare la distanza tra autore/artista e pubblico, tra autore/cittadino e lettori/cittadini.
Sulla relazione tra arte e politica: Philip Guston
All’insegna di questa disintermediazione – ormai diventata quasi proverbiale in tutti i territori culturali e sociale – Winslow ci dice qualcosa di ancora più importante per comprendere la cifra fondamentale di questo presente: l’artista engagé di oggi deve smetterla di calare i ‘temi’ del suo impegno nella sua arte, perché questo procedimento rischia di essere una finzione raggelante (che ricade immediatamente nella ‘ninna nanna’ di cui parlava Guston); piuttosto, deve abbandonare anche solo momentaneamente la sua arte, e passare all’intervento diretto.
Mi sembra tutto sommato, devo ammetterlo, una scelta consequenziale: sorprendente, magari, ma con una sua logica stringente.
“Arrivati gli anni Sessanta mi sentivo scisso, schizofrenico. La guerra del Vietnam, ciò che stava accadendo in America, la brutalità del mondo. Che razza di uomo sono, seduto qui a casa, a leggere riviste, a precipitare in una rabbia frustrata per tutto quanto, per poi andare nel mio studio a cambiare un rosso in blu. Ho pensato ci dovesse essere un modo per far qualcosa. Sapevo che c’era una strada davanti a me. Una strada molto difficile e ancora in costruzione. Volevo sentirmi di nuovo completo, come da bambino (…) Volevo sentirmi in unione con i pensieri e i sentimenti” (Philip Guston in Jerry Talmer, Creation Is for Beauty Parlors, in “New York Post”, 9 aprile 1977, ora in Robert Storr, Philip Guston, Abbeville Press, New York 1986, pp. 52-53, cit. in Tony Godfrey, op. cit., p. 76).
La strada è, se possibile, ancora più difficile. E – quarantasei anni dopo – sempre in costruzione: ma è anche l’unica sensata da percorrere, non solo per chi fa arte ma anche per chi se ne occupa a vario titolo, e ne scrive.
Christian Caliandro
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Christian Caliandro
Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…