Quello della cultura come antidoto è un binomio spesso inflazionato: basta cercare su Google per capire quanto diffusa sia la credenza che attribuisce alla cultura funzioni socialmente lenitive e antinfiammatorie.
Ecco comparire il Ministro Sangiuliano con le sue frasi come “La Cultura è l’antidoto formidabile contro ogni forma di violenza”, o ancora: “La Cultura è l’antidoto contro illegalità”. Poco importa il fatto che si tratti di un antidoto a due mali differenti: il primo contro la violenza sulle donne, il secondo contro le baby gang.
Seguono poi a ruota la “Cultura come antidoto alla corruzione”, la “Cultura come antidoto contro gli inventori di tradizioni”, “Cultura e Moda unico antidoto contro chi semina terrore”, per poi passare alla “Cultura come antidoto alle mafie”, “alla devianza”, “alla guerra”. Se solo fosse colpa dei titolisti, sarebbe di certo un peccato veniale. Il problema è che questa credenza della cultura come “antidoto” è divenuta parte anche della logica di governo, e la vicenda di Caivano (Napoli) è emblematica.
Non a caso, nel commentare le azioni-faro che il Governo ha adottato per contrastare una condizione senza dubbio degna di attenzione, il Ministro Sangiuliano ha espresso con chiarezza il proprio punto di vista: “La Cultura è il più forte antidoto contro il degrado dei territori e la povertà educativa”.
La cultura come antidoto è una bugia
Può sembrare una questione lessicale. Ma non è questo il punto. Definire la cultura come antidoto è semplicemente una bugia. Una bugia utile, una frase fatta che serve a trasmettere in modo chiaro una serie di riflessioni più strutturate. Se però, chi governa la cultura, a questa bugia inizia a crederci, il problema c’è.
Perché la cultura non cura, non agisce “per contrasto”, non compensa. La cultura è un percorso accrescitivo, che agisce sulle organizzazioni e sulle società imprimendo ad esse una spinta evolutiva.
L’offerta culturale, di conseguenza, rappresenta uno strumento attraverso il quale i cittadini di un determinato territorio vengono esposti a stimoli e a riflessioni che possono contribuire alla costruzione di una collettività più consapevole e più libera.
Il vero significato della cultura
Avere accesso ad una mostra d’arte contemporanea non significa entrare nel mondo radical-chic, con occhiali da vista colorati e prosecco. Significa prima di tutto entrare in contatto con le opere di un artista che vive il nostro tempo – più o meno recente che sia. E ciò significa esporsi a riflessioni, tematiche e punti di vista, che coinvolgono il presente, il nostro modo di concepire l’essere umano, la società, l’economia, o qualsiasi altro tema possa essere trattato da un’opera d’arte.
Avere accesso ad uno spettacolo teatrale, o ad uno spettacolo di danza contemporanea che propongano secondo linguaggi attuali delle riflessioni sull’oggi, non significa soltanto andare a stringere mani e far parte dell’alta società cittadina. Significa ancora una volta ritrovarsi, cittadini tra cittadini, a partecipare ad un evento collettivo che suscita emozioni, ma anche domande, risposte, chiavi interpretative differenti.
L’accessibilità culturale come chiave per lo sviluppo sociale
Se è chiaro questo concetto, allora è chiaro il percorso di pianificazione che è necessario adottare: fornire ai cittadini la possibilità di accedere alle più elevate forme di riflessione artistica legate al presente, e al passato, per stimolare la crescita della cittadinanza nella sua interezza.
Se invece si interpreta la cultura come antidoto, il percorso da adottare è completamente fuorviato: il centro dell’attenzione si sposta dalla qualità dell’offerta alla mera presenza dell’offerta. Diviene importante avere un campetto di calcio, rivoluzionaria un’associazione che organizza corsi di teatro.
Sono azioni imprescindibili, doverose e degne di appoggio nel momento in cui tali azioni rappresentano lo spunto iniziale da cui partire per poter avviare una pianificazione culturale.
Se lasciate a sé stesse, tuttavia, queste azioni sono incomplete: fornire un’alternativa costruttiva ai giovani che rischiano di essere cooptati dalle forze criminali è un’azione sociale. E per quanto cultura e sport abbiano sempre mostrato una grande forza in questo senso, è necessario avere ben in mente che questi interventi sono principalmente sociali, non culturali.
Divengono culturali se il loro sviluppo viene associato ad un’offerta culturale credibile e continuativa nel tempo. Se accanto alle compagnie teatrali amatoriali, si fornisce ai cittadini anche la possibilità di vedere spettacoli di alto contenuto artistico. Divengono culturali se si spiega ai cittadini che la cultura è l’unico vero strumento che ci fornisce la libertà di scelta.
Sono elementi che non vanno interpretati in modo naif o intellettuale. Bensì nella loro dimensione più prosaica: pianificazione delle spese, programmazione artistica che coinvolga anche più Comuni, così da poter rendere più sostenibile un’offerta culturale altrimenti in balia della politicizzazione. O ancora: creazione di offerte che siano in linea con gli interessi dei cittadini, ma che al tempo stesso abituino i cittadini a confrontarsi anche con altreattività, che li stimolino senza alcuna pretesa di dover inculcare l’adorazione della tragedia greca o del teatro dell’assurdo.
Quello che è importante comprendere, è che bisogna scindere tra la dimensione socializzante e stabilizzantedella cultura dalla sua dimensione educativa e formativa, così come bisogna scindere e riconoscere nella cultura anche una delle forme di espressione più elevate del genere umano. Se si confondono questi livelli, si confonde il concetto stesso di cultura. E l’unica cosa che si riesce a produrre è un’idea confusa, che dietro al paravento dell’intangibilità, nasconde la più totale assenza di visione.
Stefano Monti
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