La domanda alla fine dell’ultimo pezzo può essere riformulata in maniera più ampia così: che cosa sto facendo, in concreto, per la pace, per fermare la guerra (le guerre)? Che cosa stiamo facendo?
Io, personalmente, per adesso nulla – a parte scribacchiare qui sopra.
Cosa fa il mondo dell’arte contemporanea per la pace
Noi, nella fattispecie, indicherebbe il “mondo dell’artecontemporanea”, la comunità legata all’arte, composta cioè da persone che vivono e lavorano nell’ambito dell’arte. Quindi: artisti, giornalisti, critici, curatori, galleristi, operatori, studenti, direttori di istituzioni, collezionisti… Ma esiste una tale comunità? Voglio dire, si può parlare sul serio di “comunità” in questa fase? Ho i miei dubbi, francamente.
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L’individualismo un problema di settore
Uno dei motivi, infatti, per cui è così difficile oggi costruire dei movimenti efficaci di opinione è l’assenza di una massa critica che lo permetta – o che permetta anche solo di pensarci. Venti, trenta, quarant’anni di insistenza ossessiva sull’individualismo, sul personalismo, sul fatto dunque di competere (e magari riuscire, o più spesso non riuscire) da soli, anzi contro tutti gli altri, ha avuto come risultato ciò che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: gruppi di individui che al massimo si incontrano ogni tanto alle fiere o alle biennali per bere qualcosa e scambiare quattro chiacchiere, per invidiarsi o per congratularsi a vicenda dei loro bei successi.
Politica e arte
In più, la “politica” è diventata da tempo un argomento sgradito, nelle conversazioni private come in quelle pubbliche, un argomento che è considerato maleducato affrontare o anche solo sfiorare (un po’ come i soldi). E certo, perché se la politica per il “mondo dell’arte” si trasforma, nell’arco di decenni, in una cosa sporca e polverosa, e se si è catturati da quell’altro mondo fatto di glamour e di star-system e di soldi, appunto, che nel frattempo si è mangiato tutto quanto, un mondo che richiede il cinismo come approccio-base per sperare di essere accettati e inclusi, è poi indubbiamente difficoltoso riposizionarsi quando la realtà viene addosso con tutta la sua durezza e opacità. Stiamo parlando di abitudini, stili comportamentali ormai strutturali, al punto che ignorare ciò che accade ‘fuori’ è ormai diventato una specie di seconda natura. (E mi dispiace, ma non basta affatto fare ed esporre opere ‘impegnate’: quelle servono al massimo per lavare la coscienza propria e di chi le guarda).
La mala educazione del sistema culturale
Con una (mala)educazione collettiva di questo tipo, non è poi tanto strano se il sistema dell’arte nostrano e internazionale si manifesta così disimpegnato, smarrito, sguarnito praticamente e intellettualmente, e in ultima analisi così futile e patetico come lo vediamo.
Allora, come diceva quel tale, che fare? Che fare, soprattutto in una situazione come quella attuale, così grave e impellente, così pericolosa e carica di oscuri presagi che è impossibile ormai non cogliere, anche per il più frivolo socialite?
Mah, intanto direi, (ri)cominciare a manifestare: manifestare pubblicamente, cioè, nelle strade e nelle piazze, invece di mettere comodamente i like sotto i post pelosi e finto-impegnati degli scrittori à la page (squallide imitazioni di come dovrebbero essere, e agire, gli “intellettuali”). Guarda caso, di manifestazione ce n’è una organizzata dall’ARCI in tutte le principali città italiane (Bari, Cagliari, Firenze, Milano, Palermo, Roma e Torino) per questo sabato, 26 ottobre (e che, grazie a Dio, non ha il cappello francamente imbarazzante di quella de 5 ottobre scorso). Direi che sarebbe proprio il caso, eventualmente, di iniziare da lì.
Christian Caliandro
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Christian Caliandro
Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…