Il film Berlinguer. La grande ambizione (2024) di Andrea Segre ha suscitato non poche polemiche dalla sua uscita in sala. Eppure, la visione del film offre l’opportunità di riflettere in maniera approfondita su quelli che sono stati gli Anni Settanta. A partire da una serie di parole chiave.
Anni Settanta: Autenticità
L’Italia degli Anni Settanta era autentica, non ancora ammaliata dalle sirene della sofisticazione che ha cominciato a stordirla a partire dagli Anni Ottanta. Niente flash o riflettori, né tappeti rossi o Isole dei Famosi: i politici non erano leader ma segretari, vivevano in appartamenti normali con le loro famiglie, non in ville dorate o palazzi nobiliari. Le mogli non erano soubrette o modelle, ma semplici donne e madri, spesso insegnanti di scuola: una professione del tutto onorevole e non bistrattata come oggi. E loro, i leader, si sentivano al servizio della res publica, e non viceversa.
Anni Settanta: Cultura
La cultura era un valore da condividere, il motore di discussioni e confronti dialettici tra le persone, che spesso cominciavano le loro discussioni ai tavoli dei bar la mattina, dopo aver letto i quotidiani. Un rito al quale nessuno rinunciava, prima di recarsi al lavoro o in casa, per cominciare la giornata. Si discuteva di politica, in primis, di calcio, di cinema: una volta, in un bar a Parma, ascoltai una discussione sulla qualità dei cantanti d’opera. Era una dialettica sana, appassionata, dinamica: sempre un confronto, mai un litigio, per evolvere nelle proprie opinioni. Non si parlava soltanto ma si ascoltavano le ragioni del proprio interlocutore.
Anni Settanta: Denaro
Il denaro in giro era poco, ma non se ne parlava mai in pubblico. Sostituito dalla passione, non veniva considerato il cardine della società come oggi. Si comprava poco e bene, si mangiava a casa e raramente al ristorante, si andava nei cineclub e mai nei cinema di prima visione, a vedere tutti insieme le rassegne su Fellini, Pasolini, Antonioni, Visconti. E all’uscita noi ragazzi andavamo in pizzeria a commentare il film per ore, che veniva analizzato in ogni dettaglio, in relazione all’impegno sociale del regista, davanti ad una pizza accompagnata da un bicchiere d’acqua del rubinetto: nessuno beveva la minerale. Se qualcuno non avesse avuto le 500 lire per la pizza, avremmo fatto una colletta e il problema era risolto.
Anni Settanta: Biciclette
Le domeniche dell’Austerity, nel 1973, le famiglie inforcavano le biciclette e attraversavano i centri storici delle grandi città italiane, speso cantando le canzoni di Guccini, De Gregori o Venditti. Nelle piazze di Bologna, Milano e Roma i cantautori si esibivano in concerti molto affollati, senza effetti speciali o casse dolby, e si rivolgevano al loro pubblico come fratelli maggiori, senza divismi o finzioni. I giovani giravano in motorini della Piaggio (Ciao, Boxer, Si), alcuni in Vespa e i più fortunati in motocicletta.
Anni Settanta: Abiti e colori
Gli abiti facevano i monaci. Non solo: indicavano l’area sociopolitica di riferimento. Borse di Tolfa, eskimo, camicie scozzesi e gonne a fiori per la sinistra , stivali di Cervone, Camperos, occhiali da sole Rayban o Lozza e borse di Gucci per la destra. I politici in completo grigio, i professionisti in giacca blu e cravatta. Banditi i colori sgargianti, l’Italia degli anni Settanta era sobria e concreta: vestiva in grigio, verde bosco, beige, blu scuro, nero, marrone: le tinte pastello sfumate e i colori squillanti sono arrivati negli anni Ottanta, insieme ad una superficialità esibita e di gusto molto dubbio.
Anni Settanta: Televisione
Tribuna politica, Bontà loro, il primo talk show di Maurizio Costanzo, la Domenica Sportiva. E, il sabato, Canzonissima, dove le scenografie minimali e il look dei cantanti era all’insegna della sobrietà. L’unico appuntamento che riuniva le famiglie italiane era Carosello: alle 21 tutti si ritrovavano, dopo cena, davanti a pubblicità rimaste leggendarie, presentate da Ernesto Calindri, Mina, l’ippopotamo Pippo e Carmencita.
Anni Settanta: Impegno
La parola d’ordine era impegno. Tutti erano impegnati, appassionati e convinti di poter cambiare il mondo in meglio. Si leggevano scrittori come Leonardo Sciascia, Cesare Pavese, Emilio Lussu, Carlo Cassola, Mario Rigoni Stern, Eugenio Montale. La Repubblica, da cima a fondo, le inchieste sull’Espresso di Oriana Fallaci o Enzo Biagi. Ci si appassionava per luoghi lontanissimi ma martoriati da guerre ingiuste, come il Vietnam o il Cile, si aspettava con ansia l’ultimo film di Pasolini o lo spettacolo di Dario Fo, e i muri delle città erano abitati dai volti di Monica Vitti o Mariangela Melato, Marcello Mastroianni o Claudia Cardinale.
Anni Settanta: Lutti
Tre, giganteschi. Il primo nel 1975, a Roma, per Pier Paolo Pasolini. Moravia urla alla folla “Oggi abbiamo perso un poeta”, e l’Italia scopre che Pier Paolo era un colosso, omosessuale e provocatorio, ma un gigante. Il secondo è il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, nel 1978, raccontato molto bene nel film La grande ambizione: il paese aveva vissuto i giorni del rapimento col fiato sospeso. Dalle immagini apparse in televisione dei carabinieri sul lago della Duchessa ghiacciato ,alla ricerca di un cadavere introvabile, era apparso chiaramente che si brancolava nel buio. Così come il ritrovamento del corpo in via Caetani il 9 maggio del 1978 era uno strappo della storia, un salto nel buio verso un futuro inquietante. L’ultimo lutto è stato il funerale di Enrico Berlinguer, il 13 giugno 1984, davanti a un milione e mezzo di persone, che salutavano il sogno collettivo e condiviso di un’Italia migliore e più giusta, destinato di lì a poco ad assumere i contorni di un’utopia. E il film di Andrea Segre lo racconta benissimo, con uno stile nel quale Enrico si sarebbe riconosciuto.
Ludovico Pratesi
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