Presente, passato, politica e futuro. La lezione di Orwell, Dick e Vonnegut
L’arte, forza finzionale per eccellenza, differisce da tutte le altre finzioni: non tende ad abolire il passato e i rapporti di causa-effetto, ma ne protegge il nucleo di verità, e di senso. E quando tutto manca ci aiutano gli scrittori
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“Mi dicono spesso che sono pessimista, che non credo nella forza della gente, che ce l’ho con Putin e non vedo altro. Vedo tutto, io. È questo, il mio problema. Vedo le cose belle e vedo le brutte. Vedo che le persone vogliono cambiare la propria vita per il meglio ma che non sono in grado di farlo, e che per darsi un contegno continuano a mentire a se stesse per prime, concentrandosi sulle cose positive e facendo finta che le negative non esistano. Per il mio sistema di valori, è la posizione del fungo che si nasconde sotto la foglia. Lo troveranno comunque, è praticamente certo, lo raccoglieranno e se lo mangeranno. Per questo, se si è nati uomini non bisogna fare i funghi” (Anna Politkovskaja, Ho o non ho paura?, in Diario russo. 2003-2005, Adelphi 2022, p. 489).
Arte e cultura: uscire dal proprio recinto
E no, non parliamo neanche questa volta di arte contemporanea (o forse sì). Tra le tante cose impressionanti, non in senso favorevole, del presente c’è l’apparente e generale incapacità da parte degli intellettuali – quelli che scrivono sui giornali – di uscire dal proprio circuito, dal proprio recinto professionale e di ristretti interessi (il nuovo libro, il libro dell’amico, la tale mostra), e guardare, guardare davvero, ciò che sta accadendo attorno, lì fuori, nel mondo. Facendo magari due o tre collegamenti, in senso orizzontale e magari anche attraverso il tempo, la storia, il passato… Si tratta, fondamentalmente, di provare a oltrepassare i giudizi preconfezionati, e di scavare almeno un pochino.
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Tempo e memoria nel presente e nelle opere
C’è il già citato Jianwei Xun, che in Ipnocrazia propone un punto di vista interessante, un diverso modo di osservare quello che ci circonda in questo preciso momento, e che è in gran parte inedito, oppure edito così tanto tempo fa che facciamo molta fatica a ricordarcene, anche perché nessuno tra coloro che sono vivi adesso ne ha fatto esperienza: “Il tempo si contorce su se stesso. La memoria diventa una pallida eco. L’obbedienza scorre, invisibile. La realtà si è rotta in mille realtà” (in Ipnocrazia. Trump, Musk e la nuova architettura della realtà, Tlon 2024, p. 12). Xun indaga la natura peculiare del potere nell’era digitale: l’Ipnocrazia manipola e controlla di fatto la percezione collettiva.
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Realtà e finzione, potere e narrative multiple
Così, il potere oggi non ha praticamente più bisogno di costringere e reprimere, perché seduce e incanta attraverso la proliferazione di narrative multiple, l’abolizione del concetto di verità e la saturazione dell’attenzione: “La simulazione non imita più il reale. Lo precede. Lo plasma. Ogni narrazione diventa reale semplicemente perché, in un certo momento e solo in quello, viene percepita come tale. Non importa se qualcosa è vero: importa che sia creduto. Se la distinzione tra vero e falso ha perso ogni significato, viviamo negli interstizi di infinite narrazioni simultanee e concorrenti, in cui tutte collidono in un equilibrio instabile. (…) Il sistema non cerca coerenza: prospera, piuttosto, nella confusione” (pp. 55-56).
In questo modo, il Golfo del Messico diventa Golfo d’America, e Zelensky da paladino e campione globale della libertà si trasforma improvvisamente in “dittatore”.
Che cosa fare, quindi, se ovunque regna la confusione, e l’inversione di senso? Mah, intanto rileggersi il George Orwell di 1984 (1949), per esempio, in cui ci sono tutte le istruzioni che contano davvero anche oggi: “chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”; oppure: “in fin dei conti, come facciamo a sapere che due più due fa quattro? O che la forza di gravità esiste davvero? O che il passato è immutabile? Che cosa succede, se il passato e il mondo esterno esistono solo nella vostra mente e la vostra mente è sotto controllo?”; e naturalmente: “LA GUERRA È PACE / LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ / L’IGNORANZA È FORZA”.
La lezione di Orwell, Vonnegut e Philip Dick
E rileggersi Kurt Vonnegut e Philip K. Dick. Anche in un romanzo cosiddetto ‘minore’ di quest’ultimo come Illusione di potere (Now Wait for Last Year, 1966), infatti, si trovano utili e valide indicazioni per il presente. Se, dopo oltre quarant’anni di retorica postmoderna, la verità sembra definitivamente erosa e cancellata, sommersa da narrazioni equivalenti e parallele, tutte valide e tutte finte, quale è il ruolo dell’arte – o almeno uno dei ruoli – in questo scenario? L’arte, forza finzionale per eccellenza, differisce da tutte le altre finzioni anche perché non tende ad abolire il passato e i rapporti di causa-effetto, ma ne protegge (proprio attraverso la finzione) il nucleo di verità, e dunque di senso: “Da quando il primo bardo buttò giù alla bell’e meglio il primo poema epico di una certa battaglia del passato, l’illusione è entrata a far parte delle nostre vite. L’Iliade è un falso come quei roboserventi bambini che si scambiano francobolli sulla veranda di casa. Gli esseri umani hanno sempre fatto di tutto per preservare il passato, per mantenerlo vivo, e in questo non c’è nulla di strano. Senza il passato non abbiamo continuità, abbiamo solo il momento. E il momento – il presente – privato del passato ha ben poco significato, forse nessuno” (P. K. Dick, Illusione di potere, Mondadori 2024, p. 41).
Christian Caliandro
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Christian Caliandro
Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…