Dalla censura all’infoclastia. Come cambia l’informazione sotto Musk e Trump
La proliferazione metastatica di contenuti digitali consuma la residuale testimonialità dell’immagine e cannibalizza l’informazione. Una tendenza che Musk e Trump salutano come l’avvento di un’informazione libera, ma che in realtà segna solo il passaggio da una censura “classica” a una censura “infoclastica”
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Per Baudrillard nel mondo contemporaneo l’iconoclastia «non consiste più nel distruggere le immagini» ma «nel fabbricare una profusione di immagini in cui non c’è niente da vedere». Questa universalizzazione dell’immagine produce, assieme alla “noia nauseante” di un mondo “indifferente” (Barthes), una compressione e una sostanziale crisi della “funzione testimoniale dell’immagine” (Montani), in parte obliterata dai nuovi processi digitali di produzione, elaborazione e distribuzione contenuti, in parte “rimossa” dalla percezione stessa degli spettatori, per saturazione emotiva e cognitiva. È evidente che l’illuminazione di Baudrillard su un’immagine che si depotenzia o addirittura fagocita e distrugge se stessa riproducendosi all’infinito non è circoscrivibile alla sola immagine, ma va estesa all’intero mondo dei segni all’interno di una metastasi semiotica multifattoriale, oggi dilatata al massimo dalla generazione istantanea e semiautomatica di contenuti ex-novo attraverso l’intelligenza artificiale (con ulteriore erosione di testimonialità).
L’era della dipendenza digitale
È il compimento di quello che il sociologo definiva profeticamente “grado Xerox della cultura”: la trascrizione e «l’ufficializzazione di tutto in termini di segni e di circolazione di segni», «l’immensa impresa di stoccaggio estetico, di risimulazione e reprografia estetica di tutte le forme che ci circondano», che oggi avviene in maniera diffusa e capillare con la continua condivisione di ogni pixel esistenziale nello scrolling infinito dei social. Spinti al massimo da una (incredibilmente consentita) sollecitazione algoritmica di processi neurologici di gratificazione – e quindi dalla possibilità di generare impunemente meccanismi di dipendenza digitale allo scopo di monetizzare la vita degli utenti – i social rappresentano oggi gli spazi privilegiati di proliferazione incontrollata di contenuti e “correnti” mentali e videografiche. Flussi e reflussi elettromagnetici di un continuum transmediale che lascia ancora alla comunicazione televisiva mainstream uno zoccolo duro di influenza.
Il concetto di infoclastia
Si tratta di quella che definiremo “infoclastia” (ingl. infoclasm, parola e concetto che si propongono qui per la prima volta al dibattito pubblico), che – sulla scorta della definizione di iconoclastia contemporanea già ripresa da Baudrillard – segna la distruzione dell’informazione attraverso la totale deregulation della comunicazione digitale e la proliferazione smodata di una quantità infinita di contenuti contrastanti (a-logici più che volutamente illogici), tale da rendere impossibile ogni possibilità di discernimento. Un fenomeno parallelo a quella che, analogamente, potremmo definire “tecnoclastia per proliferazione”, intendendo la smodata moltiplicazione di strumenti e incombenze digitali nella sfera dell’esistenza, che finiscono per invadere ogni ambito e affastellarsi oltre ogni ragionevole limite, occultando ogni orizzonte di senso. Anche la tecnologia, universalizzandosi, tende a trasformarsi in un apparato disfunzionale non più «conforme a uno scopo» (Severino), privo di scopo o addirittura scopo esso stesso, se non capace di perseguire scopi propri (le profezie fantascientifiche sul tema abbondano). In tal modo perde il senso profondo della sua presenza nel mondo e divora se stessa assieme ai suoi utenti, che non potrebbero nemmeno definirsi più tali (d’altronde, come dicono nella Silicon Valley, «se non paghi per il prodotto sei tu il prodotto»). L’uomo produttore diventa «oggetto di produzione» (Heidegger) e la tecnologia stessa diventa, parafrasando Baudrillard, tecnoclasta. Per il momento, la possibilità di mercificare qualsiasi segno e la vita stessa in un’ottica biocapitalistica continua a rappresentare un punto di convergenza tra il vorticoso sviluppo tecnologico, i processi di semiotizzazione onnipervasiva e quelli di accumulo capitalistico.
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Infoclastia e tecnoclastia come conseguenze del capitalismo
L’assunto alla base della metastasi tecnoclastica e infoclastica, d’altronde, è sovrapponibile al dogma neoliberista su cui si fonda la crisi strutturale del capitalismo: perseguendo un’accumulazione infinita, il capitalismo cannibalizza se stesso e le proprie condizioni di possibilità (tra cui le risorse naturali, la riproduzione sociale e lo stesso potere politico, come evidenzia Frazer). Come per i neoliberisti il mercato, lasciato a se stesso, sarebbe una macchina perfetta capace di autoregolarsi e creare benessere diffuso (possibilità magistralmente confutata da Brancaccio con la conferma scientifica della tendenza alla centralizzazione dei capitali), per i cosiddetti “transumanisti”, che sono generalmente anche ricchi e ultraliberisti, la tecnologia sarebbe in grado di autoregolare se stessa e la società generando, come stigmatizza Morin, “l’armonia di una mega-macchina sociale che risolve tutti i problemi”, spossessandoci di “interrogativi etici, sociali e politici”, ricondotti a “poteri di controllo incontrollati”.
Il ruolo di Zuckerberg e Meta
Una riflessione che Morin inserisce, significativamente, tra le “lezioni del Coronavirus”. Un tema il cui ultimo capitolo, in ordine cronologico, sembra averlo scritto il CEO di Meta Mark Zuckerberg nelle scorse settimane, confermando le peggiori accuse dei critici della gestione pandemica in un’intervista-confessione che accompagna il riposizionamento di Meta sotto la presidenza Trump, con l’adozione di un sistema di gestione contenuti sul modello di X di Musk. Raccontando come informazioni vere (tra cui Zuckerberg cita i “possibili effetti collaterali dei vaccini”) siano state rimosse dietro forti pressioni dell’amministrazione Biden, Zuckerberg rivela al mondo l’acqua calda, ovvero che il fact-checking è a sua volta uno strumento intrinsecamente politico, tutt’altro che neutrale, specialmente su questioni complesse e divisive. Ma anche il rinnovato impegno di Zuckerberg per la “libertà di espressione” ha una valenza politica: “Lavoreremo col presidente Trump per respingere i governi di tutto il mondo che se la prendono con le società americane e premono per una censura maggiore” (Ansa). Dietro la “trumpizzazione” dei colossi hi-tech statunitense, l’obiettivo dichiarato è ancora quello di sostituire alle leggi degli Stati le policy delle grandi corporazioni, le stesse che, dietro la foglia di fico del fact-checking, hanno compresso a piacimento diritti di espressione costituzionalmente garantiti, rimuovendo post e persino contenuti giornalistici che non violavano alcuna legge.
L’infoclastia distrugge l’informazione
L’istituzionalizzazione dell’infoclastia da parte del duo Musk-Trump, libero di presentarsi come liberatore dalla censura (e persino dalla guerra) per oggettivo fallimento ontologico dei democratici, segna ufficialmente il passaggio da una forma di censura “classica” (dal sapore novecentesco nonostante la patch del fact-checking) all’iperliberismo dell’informazione a vantaggio delle big-tech, ancora più libere di ridisegnare la mappa dei significati e dei valori sulla sola base del profitto. Logico approdo di un sistema in cui il valore di un contenuto è già determinato dal numero di click molto più che dalla sua “possibile” verità (motivo per cui la linea del fact-checking politico era perdente sul piano economico). Nella logica infoclastica (a differenza di quella “infodemica”) non esistono più informazioni “giuste” o “sbagliate” o, quantomeno, non vi è tra le stesse alcuna possibile differenza di rango. La censura post-moderna, infoclastica, non distrugge più singole informazioni ma l’in-formazione, nel suo complesso, come possibilità e come concetto, sia comunemente inteso che, letteralmente, come “formazione interiore” a livello etico e cognitivo. È l’applicazione del pregiudizio neoliberista sul piano dell’espressione e della coscienza civile. L’idea che, eliminando ogni regola nella circolazione dell’informazione e della comunicazione, si producano vantaggi per tutti. Ma come il neoliberismo ha prodotto più libertà per le merci che per l’umano, così le parole circoleranno libere e i pensieri saranno incatenati, smistati dietro rigida sorveglianza algoritmica. E così sarà per i cervelli, merce organica per l’azionista di maggioranza.
Alessandro Paolo Lombardo
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