Quali grandi artisti c’erano sullo sfondo della foto storica tra Trump e Zelensky a San Pietro?

La storia dell’arte del passato e del Novecento accompagna l’immagine storica dei due leader a confronto. Tra simboli ed ideologie

Molti parlano di una “foto storica”. Non so se sia storica, nel senso che immortala un avvenimento di portata storica: il cammino verso la pace in Ucraina, o perlomeno un cessate il fuoco, resta lungo e complicato, e non è detto che il colloquio vaticano abbia impresso una svolta, né che abbia radicalmente cambiato i rapporti tra Trump e Zelensky.

La foto di Trump e Zelensky ai funerali del Papa

Certo l’immagine colpisce: perché si confronta quel clima intimo, di apparente intesa, con la clamorosa litigata alla Casa Bianca di qualche mese fa; perché l’assetto informale del colloquio contrasta con l’altissimo livello estetico e formale dello spazio sacro in cui i due dialogano. Uno spazio, questo sì, naturalmente, storico; ma non uno degli angoli più noti, visti e riprodotti della sterminata basilica. Siamo lontani dai capolavori berniniani, lontani dalla Pietà di Michelangelo; i due capi di Stato si confrontano all’inizio della navata sinistra, a ridosso della controfacciata della chiesa.

La scultura di Manzù in Vaticano

Nell’inquadratura più nota dell’incontro non molto si scorge del fastoso contesto che li circonda: si vede naturalmente il bel pavimento a commesso marmoreo del tempio, e si vede in parte la faccia interna della Porta della Morte di Giacomo Manzù, uno dei non pochi e tra i più significativi apporti dell’arte del Novecento allo splendore del tempio vaticano. Realizzata su commissione di Giovanni XXIII nel 1964, è la porta più a sinistra delle cinque che immettono nella basilica; prende il nome dal fatto che da lì passano i cortei funebri dei pontefici. Sul lato interno la porta bronzea presenta un fregio raffigurante un momento del Concilio Vaticano II, con il cardinale africano Laurean Rugambwa che omaggia papa Giovanni.

Giacomo Manzù, Porta della Morte
Giacomo Manzù, Porta della Morte

La pala di Carlo Maratta in Vaticano

Si vede di più della basilica nell’altro scatto che è stato diffuso dell’incontro, quello con Trump di spalle: dietro ai due leader si apre maestosa la Cappella del Battesimo, in cui trova posto il fonte battesimale della basilica. Si tratta di un eccezionale reimpiego: la tazza di porfido che secondo la tradizione proveniva dalla tomba dell’imperatore Adriano, e che era già stata reimpiegata come copertura del sepolcro di Ottone II nell’atrio della vecchia basilica di San Pietro (per poi essere relegata, a partire dal 1610, nelle Grotte Vaticane), venne riutilizzata per il fonte, dotandola di un fastoso coperchio in bronzo dorato realizzato fra il 1692 e il 1697 su disegno di Carlo Fontana. Da contesti funebri, dunque, a contenitore dell’acqua salvifica del battesimo, dalla morte alla vita: nella scelta di procedere al reimpiego anche questo contrasto dovette giocare un ruolo. Alle spalle del sontuoso fonte, la grande pala di Carlo Maratta raffigurante il Battesimo di Cristo: una magniloquente scena dipinta nel 1697, in cui il pittore marchigiano reinterpreta con accenti più scenografici e barocchi la solennità del classicismo bolognese, Guido Reni in primis. A dire il vero, non si tratta dell’originale di Maratta, che ora si trova in un’altra basilica romana, quella di Santa Maria degli Angeli: come tutte le pale dipinte della Basilica Vaticana, che si andarono rapidamente deteriorando a causa dell’umidità, anche quella marattesca fu sostituita negli anni Trenta del Settecento da una meticolosa riproduzione a mosaico.

L’arte intorno al potere

Tutto intorno alla pala e al fonte, e ai due presidenti assorbiti dalla conversazione, il tripudio di marmi bianchi e colorati in forma di colonne colossali, balaustre, ritratti dei pontefici che fa di San Pietro uno straordinario campionario delle pietre più ricercate per la decorazione architettonica in Età Moderna. Proprio a due passi dai due presidenti, tuttavia, c’è un inserto a commesso marmoreo molto più recente, in un tondo al centro del pavimento antistante la Cappella del Battesimo: lo stemma di Giovanni Paolo II, realizzato nel 1994. Pochi lustri or sono, un paio di papi fa: ma sembra passato un secolo. Con la disgregazione del blocco sovietico, cui papa Wojtyła aveva contribuito non poco, sembrava essersi aperta una nuova era di distensione, sotto la premurosa egida americana; la Russia stessa, prateria aperta alle scorribande del mercato, si apprestava ad abbracciare gioiosamente questa prospettiva. Lo scenario si è rivelato presto ben più complesso, e i rapporti tra le grandi potenze percorsi da forti tensioni, di cui la guerra in Ucraina è l’ultima e più fragorosa e tragica espressione. Lo stemma del pontefice polacco arricchisce quindi di un’ulteriore sfumatura l’istantanea del colloquio tra Trump e Zelensky, ricordandoci il dramma di un’Europa Orientale che, ben oltre il crollo delle ideologie, continua a essere contesa tra due blocchi contrapposti.

Fabrizio Federici

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Fabrizio Federici

Fabrizio Federici

Fabrizio Federici ha compiuto studi di storia dell’arte all’Università di Pisa e alla Scuola Normale Superiore, dove ha conseguito il diploma di perfezionamento discutendo una tesi sul collezionista seicentesco Francesco Gualdi. I suoi interessi comprendono temi di storia sociale dell’arte…

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