Fra le tante turbolenze che tormentano il suo inizio di mandato alla Casa Bianca, nell’ultima settimana Donald Trump è stato crocifisso perché nella sua prima proposta di bilancio – non definitiva – ha caldeggiato il taglio dei finanziamenti a diversi enti di sostegno e promozione culturale. Dal National Endowment for the Arts (NEA) al National Endowment for the Humanities (NEH), l’Institute of Museum and Library Services e la Corporation for Public Broadcasting (CPB). Un provvedimento nel quale molti osservatori vedono le motivazioni ideologiche prevalere su quelle realmente economiche. Ma a destituire di fondamento la crociata trumpiana, e forse a lenire le pene dell’Intellighenzia, qualora i tagli fossero confermati, arriva un esempio da molto lontano: ovvero dall’Australia, dove nel 2015 il governo conservatore dell’allora primo ministro Tony Abbott promosse analoghi provvedimenti, scardinando istituzioni come l’Australian Broadcasting Corporation (ABC) o l’Australia Council for the Arts, costretto a tagliare i finanziamenti a 65 piccole e medie organizzazioni culturali tra cui riviste letterarie, teatri, spazi d’arte e scuole di fotografia.
0,004% DEL BILANCIO FEDERALE
Quale fu l’impatto sociale dei provvedimenti? Nullo, o anzi fu contrario agli intendimenti del premier. Già, perché gli osservatori notarono piuttosto un riaccendersi nella popolazione degli interessi verso le questioni culturali, mosso anche dalla solidarietà verso le categorie colpite. Una ricerca dell’Australia Council rivelò che erano più gli australiani che ogni anno frequentavano gallerie d’arte rispetto a quello che seguivano l’Australian Football League. Al punto che il successore del ministro George Brandis, quello in carica all’epoca dei tagli, fece marcia indietro ripristinando i finanziamenti. Che succederà negli USA? Non resta che aspettare, tenendo presente che i risparmi vantati da Trump ammonterebbero allo 0,004% del bilancio federale…
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