Musei del futuro. Il Musée du Louvre di Parigi
Parola ad Anne Krebs, head of socio-economic Studies and Research Division, Research and Collection Department presso il Musée du Louvre. L’intervista è parte del report “Museum of the Future” realizzato da Symbola, in collaborazione con Melting Pro, per il progetto europeo Mu.SA.
Dove sta andando il museo del futuro?
Non è facile rispondere a una domanda di questo tipo. Prima di tutto, i professionisti dei musei, i politici e perfino molti ricercatori pensano sia possibile trovare delle soluzioni a partire dai grandi musei, per poterle applicare ai musei di media e piccola dimensione. Cosa purtroppo impossibile, per ragioni molto pratiche, trattandosi di una questione di risorse, finanziarie e umane. Inoltre i grandi musei rappresentano solo l’1% dei musei nel mondo. E poi c’è il bacino di utenza: è indubbio che i grandi musei abbiano una varietà di esperienze, di contenuti e reperti, oltre che di figure professionali e capacità, che non trova uguali nei musei più piccoli. È molto importante non procedere dall’alto verso il basso ma rivolgersi ai musei di ridotta dimensione, per capire quali sono le loro effettive esigenze per trovare soluzioni adatte.
In secondo luogo, credo che tutto quello che si possa dire oggi sui musei, la sfida digitale e le professionalità museali è strettamente connesso alla crisi. Le mie considerazioni di oggi sono completamente differenti da quelle di cinque anni fa e di quelle che potrei fare tra cinque anni.
Quali effetti ha la crisi sul sistema museale?
La situazione di crisi è così grave per la maggior parte dei musei (non mi riferisco solo al Louvre), che è davvero difficile riflettere su qualsiasi strategia che abbia a che fare con la digitalizzazione e le competenze digitali. I motivi vanno ricercati nelle difficoltà finanziarie e di risorse umane, oltre che nel processo di riduzione del personale competente che la maggior parte dei musei sta oggi vivendo. Senza una situazione di “normalità” da cui far partire la riflessione è difficile farsi un’idea su come si dovrebbe e potrebbe intervenire. I musei sono immersi nella situazione economica globale e in molti Paesi (come in Inghilterra, in Portogallo, Francia e Italia) alcuni di loro stanno chiudendo. Per questo è molto difficile capire in anticipo cosa accadrà nei prossimi dieci anni. Molto probabilmente, per ragioni economiche estremamente consolidate, musei importanti come il Louvre avranno una posizione simile a quella di oggi, grazie al classico effetto di attrattività di cui godono i grandi musei (non considerando l’effetto terrorismo in Europa e il contingente calo dei visitatori nei musei). È molto difficile quindi dare oggi una risposta rigorosa e onesta sul futuro dei musei. È molto importante considerare, ad esempio, che in Francia l’80% dei musei dipende dalle amministrazioni locali, anche dal punto di vista finanziario e che meno del 10% del loro budget proviene dall’autofinanziamento. La dipendenza dalle autorità locali è davvero molto forte e il margine di azione per nuovi progetti e attività è praticamente inesistente. Molti di loro, infatti, non possiedono nemmeno un sito internet e nessuno strumento digitale. Si appoggiano al sito web delle amministrazioni locali, spesso vecchi e obsoleti. Non sono quindi autonomi nella produzione di contenuti digitali. In molti casi, hanno semplicemente una pagina Facebook dedicata al loro pubblico. Oggi sopravvive una convinzione radicata e sbagliata, secondo cui tutti i musei beneficiano degli strumenti digitali e sono in grado di utilizzarli per una loro valorizzazione.
In che termini il digitale sta cambiando questa istituzione culturale?
Ci sono ancora notevoli differenze nelle pratiche culturali e nelle competenze digitali tra i professionisti del settore museale: in una sola parola, tra “collettivi bianchi” e “colletti blu”. Mentre i primi utilizzano gli strumenti digitali in modo avanzato, i secondi hanno capacità molto più limitate. Non è un giudizio sulle competenze, ma il riflesso del privilegio tecnologico degli uni rispetto agli altri. Le stesse disparità le ritroviamo nella società.
Il mondo professionale è uno specchio della società. È molto importante sviluppare le competenze e la formazione di coloro che ricoprono ruoli “secondari” nei musei (ad esempio, lo staff che si occupa dell’accoglienza). Alcuni musei sono consapevoli di questa necessità. Addirittura al Louvre ci sono ancora differenze dovute alle diversità socio-demografiche del personale. Questo è il motivo per cui il Louvre ha deciso di organizzare un programma di alfabetizzazione digitale. Cosa praticamente impossibile per un piccolo museo.
Altro esempio: molti musei stanno cercando di sviluppare programmi di crowdfunding, utilizzando strumenti digitali per finanziare il loro restauro o sviluppare i propri programmi formativi. In Francia, il Ministero della Cultura spesso dice: “È molto facile sviluppare una campagna di crowdfunding”, ma molti musei rispondono: “Non abbiamo i mezzi, il quadro legale, le risorse umane per sviluppare il crowdfunding perché siamo in tre”. Ancora, c’è un gap enorme tra i musei, in relazione alle loro dimensioni e mezzi finanziari.
Cosa può aiutare i musei ad affrontare la sfida digitale?
Il gap culturale nella società è abbastanza simile al gap digitale tra i professionisti museali. I professionisti del settore si interrogano su come sviluppare programmi digitali adatti al pubblico ma prima di tutto devono cercare di risolvere la questione dell’accesso digitale e delle capacità di utilizzo degli strumenti digitali. La questione centrale è la relazione tra educazione e cultura: educare agli strumenti digitali significa educare alla cultura e alle competenze digitali. La sfida non è solo far crescere il mondo dell’arte e la cultura, ma soprattutto sviluppare le competenze digitali per, eventualmente, godere dell’arte e la cultura. In Francia questa è una problematica importante.
Mancano dati precisi per analizzare la situazione dei musei in termini di competenze digitali. Il dialogo quotidiano con il Ministero della Cultura e della Finanza è una dimostrazione del fatto che dati di questo tipo servono. Abbiamo tutti bisogno di dati affidabili per avere analisi qualitative credibili. Inoltre, per convincere politici e istituzioni finanziarie servono dati quantitativi.
C’è un processo di riduzione del personale competente in atto in Europa: musei, teatri e mondo dell’opera stanno vivendo una riduzione del personale. Non assistiamo solo alla perdita di forza lavoro, ma anche alla perdita di competenze. Molti musei in Europa hanno cominciato il processo di digitalizzazione ma non riescono più a portarlo avanti. La trasmissione delle competenze nei musei è molto difficile perché i musei hanno un alto livello di expertise e le persone che vanno in pensione non vengono sostituite. Legata a questa problematica non c’è nessuna strategia dei Paesi a livello europeo. In più, c’è un’altra convinzione che sta crescendo in Europa, in particolare in Inghilterra, Olanda o Scandinavia: i volontari stanno diventando l’alternativa, ma i volontari non hanno necessariamente le competenze che si stanno perdendo. Dal mio punto di vista la digitalizzazione della collezione è un’impresa sfidante, al pari del mantenimento delle competenze core e dell’expertise dei professionisti museali, in particolar modo dei curatori e degli esperti di documentazione. Infatti, la ricerca sugli oggetti e le collezioni è fondamentale, altrimenti rimangono solo oggetti, senza un racconto, una storia. È quindi importante mantenere queste competenze dentro i musei e poterle trasferire alle nuove generazioni. Ma i musei in realtà non stanno aprendo sufficientemente le porte ai giovani, anche a causa del calo delle assunzioni.
E i musei di dimensione ridotta?
Non sono sicura ci sia alcuna risposta “locale” a questa domanda, essendo molto legata alla situazione specifica di ogni museo, sia in termini finanziari che di risorse umane. In molti Paesi è evidente la mancanza di strategie locali e un lavoro di rete nella ricerca di risorse. Il modello tradizionale per i musei era di lavorare per se stessi, da soli. I musei sono stati abituati da sempre a lavorare in un mondo “chiuso” ma oggi sono costretti a uscire fuori dai loro confini per guardare oltre e sviluppare nuove attività con altri musei del territorio. La questione delle competenze digitali va analizzata a livello regionale o locale. La strategia digitale non può essere di un singolo museo, pena la propria estinzione. C’è bisogno di azioni territoriali e di un lavoro di rete che parta da obbiettivi comuni, dalla conservazione alla digitalizzazione delle collezioni, fino alle competenze digitali del personale. Non è più possibile avere siti di singoli musei che diventano obsoleti in pochissimo tempo e musei che non hanno risorse per sviluppare le proprie tecnologie e strumenti. Come professionista del Louvre, quello che posso fare per i musei di media e piccola dimensione è trasferire loro il mio expertise, per trovare soluzioni comuni in nome di una responsabilità etica e morale. E smettere di credere che il “volontariato” risolverà la questione.
Servono nuove competenze o nuove figure professionali? Quali?
Non ci sono assunzioni nei musei oggi. Il sistema digitale ha avuto un impatto molto contenuto nei musei, legato alla creazione di piccole unità dedicate agli strumenti digitali. Ha creato davvero poche posizioni legate ad aspetti tecnici, quali ingegneri o sviluppatori di piattaforme e social network. L’impatto più consistente è per le aziende private che vendono apparecchiature e processi per i musei.
Il modello economico legato all’introduzione di strumenti digitali nel campo museale è un filone di ricerca che non è stato ancora analizzato. Questo è un filone di ricerca cruciale, dove centrale non è solo la questione delle abilità digitali, ma è l’impatto degli strumenti digitali sul personale del museo e sui modelli economici adottati dai musei.
– a cura di Symbola / Melting Pro
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