Quando si è recato per l’ennesima volta nel magazzino di New York dove lascia tutti i suoi oggetti di scena, l’ultima cosa che avrebbe pensato di trovarci era un’opera d’arte. Eppure, è questa la scoperta fatta da Alice Cooper (Vincent Damon Furnier, Detroit, 1948): una stampa su seta della Little Electric Chair, dalla serie Death and Disaster realizzata da Andy Warhol nel 1964, e che non è mai stata montata su telaio. Il che lascia pensare che la stampa sia stata acquistata e subito, o quasi, dimenticata.
UNA SERIE CONTROVERSA. COME IL PROPRIETARIO
La rockstar Alice Cooper ha costruito la sua carriera sul gusto per il macabro e la crudeltà espressa sul palco, e la sua poetica ispirata al mondo dell’horror e in continuo flirt con la morte, lo ha più volte messo al centro di dure polemiche, legate anche a fatti di cronaca che lo hanno visto, se non direttamente responsabile, comunque nella posizione del “badboy” (fra i tanti episodi, nel 1972, a una festa di compleanno in Australia, un ragazzino di undici anni morì strangolato nel tentativo di replicare il “numero dell’impiccato” che all’epoca Cooper eseguiva durante i concerti). Per questo, a lui e alla compagna Cindy Lang (una modella e più volte ragazza-copertina per Interview deceduta lo scorso gennaio all’età di 67 anni), non poteva non piacere la serie Death and Disaster, che Warhol proprio non riusciva a piazzare. Era un affronto troppo forte alla società americana, uno sbattere in prima pagina gli scheletri accuratamente nascosti nell’armadio dell’American Dream: l’immagine della stampa riprende infatti la fotografia della cella della sedia elettrica del carcere di Sing Sing, dove i coniugi Julius e Ethel Rosenberg furono giustiziati con la dubbia accusa di spionaggio militare in favore dell’Unione Sovietica. Warhol non trovava acquirenti, e secondo la testimonianza di Shep Gordon, manager di Cooper, l’opera fu acquistata nel 1970 dalla compagna del cantante per 2500 dollari. Un prezzo ben diverso da quello pagato nel novembre 2015 per una stampa della stessa serie, quando un collezionista ha sborsato 11,6 milioni di dollari, a un’asta da a Christie’s. Tuttavia, dal novembre 2011, la Andy Warhol Foundation for the Visual Arts ha cessato di autenticare quelle opere ritrovate nel tempo e su cui si avanzavano perplessità il motivo, una lunga controversia legale su un autoritratto di proprietà di un collezionista britannico, rendendolo così privo di valore. Ecco perché, non dovesse ricevere l’autenticazione, anche l’opera ritrovata da Cooper non avrebbe valore.
UN PERCORSO TORTUOSO
Non è chiaro come l’opera sia finita sepolta nel magazzino per tutti questi anni. Alcuni elementi potrebbero però far luce sulla vicenda. Lang già nel 1964 desiderava acquistare un’opera di Warhol, e a quanto ricorda Shep Gordon, ci riuscì nel 1970, regalando a Cooper la stampa per utilizzarla come elemento “decorativo” sul palcoscenico. Questo spiegherebbe perché sia finita fra gli oggetti di scena. È strano però come Cooper abbia dimenticato chi fosse l’autore dell’opera, e non fosse quindi consapevole di cosa avesse per le mani. Ma forse, la risposta più sincera arriva ancora una volta dall’infaticabile Gordon, fedele a affidabile manager che ha più volte salvata la carriera del suo assistito: “Era l’epoca del rock, nessuno di noi pensava a nient’altro”. Come a dire che quegli anni furono davvero vorticosi, i musicisti erano quasi sempre o in giro per il mondo per le tournées, oppure in studio a incidere album, o ancora persi in festini notturni da qualche parte della città. Proprio non c’era tempo per i dettagli.
– Niccolò Lucarelli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati