Carol Rama e la femminilità. Una grande mostra a New York
Il New Museum della Grande Mela ospita la prima retrospettiva intitolata a Carol Rama da una sede museale newyorkese. Un excursus visivo sulla produzione di un’artista che non ha mai avuto timore di fare i conti con il proprio essere donna.
Il 16 febbraio 2007 Britney Spears entra da una pettinatrice e, incassato il rifiuto della proprietaria, procede a rasarsi a zero i capelli. Pochi minuti dopo entra nello studio di tatuaggi Body & Soul e si fa tatuare i polsi e un fianco. Interrogata sul suo radicale taglio di capelli, risponde: “I don’t want anyone touching me. I’m tired of everybody touching me”.
Dal 1987 l’American Psychiatric Association non inserisce più l’isteria nell’elenco ufficiale delle malattie psichiatriche, ma il termine “viene ancora usato nel linguaggio comune per descrivere i comportamenti eccessivi e irrazionali di alcune donne, e in psicanalisi per indicare disturbi la cui causa è psichica, ma che si esprimono attraverso il corpo” (Marina De Carneri – Il Diavolo in Corpo: l’Enigma dell’Isteria).
I primi lavori di Carol Rama (Torino, 1918-2015), esposti nella sua retrospettiva al New Museum di New York, anticipano di quaranta e settant’anni questi eventi, e nascono in un momento storico in cui la figura femminile era più che mai madre e madonna, accessoriata di una sessualità virginale e limitata alla procreazione. Unica alternativa: l’ospedale psichiatrico.
Ed è proprio dalla frequentazione del manicomio in cui era internata la madre, che Rama attinge per costruire la sua cosmologia; memorie d’infanzia impugnate come un coltello con cui stracciare, dilaniare, offendere e scandalizzare.
CORPO, SANGUE E SESSO
Un attacco dionisiaco in cui la protagonista è sempre femmina: una regina nuda e oscena, orgogliosamente intenta a penetrarsi con un serpente nero, o a partorirlo.
Finalmente padrona o madre del serpente, finalmente in carica, seduta sul più alto dei troni. Ma quel trono è una sedia a rotelle, e la regina, nonostante la corona di fiori, è un tronco umano senza gambe né braccia, a cui rimangono solo il sesso e la bocca a bandiera della propria identità.
Un sapore di malsano pervade anche le tele astratte degli Anni Sessanta e Settanta, in cui occhi, sangue e siringhe si sovrappongono a composizioni austere ma gestuali in cui, se manca il corpo, ne rimane comunque l’odore. Lavori che fanno pensare al pavimento di una sala operatoria, al sangue e ai liquidi da cui la vita nasce, cresce e abbandona.
I riferimenti sessuali non mancano neanche nei lavori in gomma, in cui pezzi di camere d’aria vengono usati come campiture in composizioni astratte e quasi minimali, in cui rimane un che di animalesco, a partire dalle cromie organiche e anemiche.
Lavori che l’artista dichiarò ispirati alla fabbrica di biciclette del padre il quale, ormai in bancarotta, morì suicida.
TRA VIOLENZA E LIBERAZIONE
Rama torna alla forma umana negli Anni Ottanta, arrendendosi all’unione tra umano e bestiale in un macello orgiastico e mitologico che vede il ritorno de L’Appassionata, anticipando e poi specchiandosi nell’epidemia della mucca pazza degli Anni Novanta.
Settantadue anni dopo la chiusura della sua prima mostra per oscenità, la visione di Carol Rama è ancora violenta e difficile, eppure liberatoria e sconquassante per la potenza con cui rifiuta di addomesticarsi a una femminilità subordinata e per la genuinità con cui seppe ammettere che “abbiamo tutti malattie a cui cerchiamo una cura. La mia cura è la pittura”.
– Davide Balliano
New York // fino al 10 settembre 2017
Carol Rama: Antibodies
NEW MUSEUM
235 Bowery
www.newmuseum.org
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