Corea del Sud. L’amministrazione Park Geun-hye condannata per abusi contro gli intellettuali
Sei strettissimi collaboratori dell’ex presidente della Corea del Sud, Park Geun-hye, sono stati condannati a pene detentive per la messa al bando di artisti e intellettuali politicamente non favorevoli.
A quattro mesi dalla deposizione di Park Geun-hye, lo scandalo corruzione investe adesso ex ministri e funzionari della sua amministrazione. Accusata di corruzione e abuso di potere dal parlamento e dalla magistratura, è stata incriminata anche sulla base di una “lista nera” nella quale figuravano artisti e intellettuali.
UNA FIGURA CONTROVERSA
Geun-hye è figlia di Park Chung-hee, a sua volta controverso presidente coreano (salito al potere nel 1961 grazie a un colpo di Stato, e fino al 1979, quando fu assassinato), che con il proverbiale “pugno di ferro in guanto di velluto” riuscì a portare il Paese sulla strada di una rapida modernizzazione, elevandone significativamente il tenore di vita medio, anche grazie a una politica filo-occidentale. Dopo l’assassinio del padre, Geun-hye è entrata nel partito conservatore, in un certo senso raccogliendone l’eredità, e al suo interno ha compiuto la sua carriera politica, non particolarmente brillante. Vince le elezioni del 2012, con uno strettissimo margine di vantaggio sul candidato del partito democratico. Quella che a prima vista sembrava una presidenza incolore, come ce ne sono in tanti altri Paesi, si è però trasformata nel più grande scandalo della Corea democratica, a causa del vertiginoso aumento della corruzione incoraggiato proprio da Geun-hye, che ha utilizzato il potere per scopi spudoratamente clientelari. Voci insistenti, anche da fonti governative, assicurano che la donna sarebbe in realtà manipolata da una non meglio specificata “sciamana”, tale Choi Soon-sil la quale, in complicità con il faccendiere Ahn Chong-bum, è a sua volta indagata per aver ottenuto poco chiare donazioni milionarie in favore di due fondazioni a lei riconducibili, da parte di importanti aziende del Paese. Il tutto, con il beneplacito presidenziale.
LA “BLACKLIST”
Il disinvolto approccio politico di Geun-hye ha incontrato sin da subito l’opposizione dell’intellighenzia sudcoreana, la quale non ha perso occasione per deplorare la situazione politica. Un clima poco gradito nei palazzi, dove si sono studiate adeguate contromisure. È stato infatti formato un pool dedito al controllo degli intellettuali, costituito dal ministro della cultura Kim Jong-deok, e il suo predecessore Cho Yoon-sun, e da tre funzionari governativi, fra cui il capo di gabinetto presidenziale, Kim Ki-choon. Loro compito, stilare un elenco degli intellettuali non allineati e bloccare loro l’accesso a qualsiasi programma di sostegno culturale promosso dal governo. La black list è emersa nel corso delle indagini ordinate dalla procura di Seoul sui sospetti di corruzione, ed è però diventata il simbolo dell’uso personalistico del potere da parte di Geun-hye. Secondo gli investigatori, sono circa 10.000 gli intellettuali “banditi”, fra i quali anche lo scrittore Han Kang, vincitore del Booker Prize nel 2016, e Park Chan-wook, regista del film Oldboy. “È contrario alla Costituzione di escludere gli artisti dai programmi di sostegno del governo secondo l’arbitrio del potere politico”, ha dichiarato il presidente della Corte, Hwang Byeong-heon, nella sentenza del 10 marzo scorso, con la quale la Corte costituzionale ha votato all’unanimità la cessazione del mandato presidenziale di Geun-hye, condannata a 10 anni di prigione. Con lei sono stati condannati anche gli autori della black list: Kim Ki-choon, ha avuto tre anni per abuso di potere, Kim Jong-deok, due anni con la medesima accusa, un anno e mezzo hanno invece avuto gli altri imputati.
– Niccolò Lucarelli
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