Weinstein, Richardson e gli altri. La caduta degli dei dall’Olimpo del fashion e dell’arte
Mentre Hollywood è scossa dallo scandalo che ha colpito Weinstein, il mega produttore accusato di aver molestato tante attrici, un’altra star viene messa all’angolo: Condè Nast, casa editrice di Vogue, GQ e altre importanti testate, licenzia il celebre fotografo Terry Richardson. Le vecchie accuse contro di lui diventano improvvisamente scottanti…
Tempi duri per i marpioni dello showbiz. Il caso Weinstein domina le pagine della cronaca ormai da giorni, dopo le dure accuse di Asia Argento: l’attrice, intorno ai 20 anni, avrebbe ceduto alle richieste sessuali del mega produttore hollywoodiano, trovandosi nella condizione di non potere di no, o quantomeno di non riuscirci. Troppo giovane, troppo fragile. Classico episodio di plagio, di ricatto, di abuso di potere da parte di un maschio potente nei confronti di una ragazza che si affaccia al mondo del cinema e che vuole sfondare.
L’hanno accusata di essere una poco di buono. Di averci solo guadagnato, di aver sfruttato la situazione. Di aver raccontato quella storia, dopo tanti anni, per farsi un poco di pubblicità. Le hanno puntato il dito contro, trasformando lei – la presunta vittima – in colpevole certa. L’altra metà dell’opinione pubblica, invece, s’è indignata: il banco degli imputati tocca al ricattatore o al ricattato? Forme di maschilismo radicato. Della serie: se lui ci prova è normale, se lei ci sta è una puttana. A prescindere.
IL DIBATTITO OLTREOCEANO
Questo il tenore del dibattito, almeno in Italia. Oltreoceano tutta un’altra storia. Harvey Weinstein – che nel frattempo altre donne hanno accusato, sulla scorta del gesto di Asia Argento – è oggi un appestato. L’America puritana, iper suscettibile in fatto di scandali sessuali, si è compattata contro il mostro. Isolato, additato, messo al margine di un sistema che lo aveva visto per decenni nelle vesti di imperatore. All’improvviso viene a galla quello che tutti sapevano già.
Sembra addirittura che siano partite le pratiche per la vendita della Weinstein Company, la casa di produzione gestita da Harvey e del fratello. Una prima offerta sarebbe arrivata dalla Colony Capital, società d’investimenti guidata dal miliardario Tom Barrack, amico e consigliere di Donald Trump. La caduta del regno? Probabilmente sì. Fellatio, massaggi erotici, festini privati e trappole in hotel per ragazzine in cerca di carriera: un mix letale, che pesa più di un forziere di denari, poteri, relazioni. Silvio Berlusconi docet.
UN NUOVO CASO IN AMERICA
Ed è stata l’eco di questa vicenda shock a scatenare una serie di reazioni a catena, portando a galla altre storie e sollecitando altri processi mediatici. Dopo Weinstein è il turno di Terry Richardson (New York, 1965), tra i maggiori fotografi di moda internazionali, dagli Anni Novanta protagonista di campagne per brand eccellenti (da Gucci a Tom Ford, da Sisley Marc Jacobs, da Diesel a Levi’s), progetti editoriali, pubblicazioni su riviste cult (da GQ a Vogue, da Interview a Harper’s Bazaar, da Playboy a Rolling Stone), immortalando star del calibro di Kate Moss, Lady Gaga, Vincent Gallo, Madonna, Lann Kravitz, Sharone Stone, Leonardo Di Caprio, Karl Lagerfeld. Richardson ha costruito un’immagine e uno stile intrisi di ammiccamenti sexy e atmosfere pop, provocazioni ludiche, erotiche, patinate. Il classico ragazzaccio ambizioso e talentuoso, con la voglia di sollecitare le peggio pruderie della meglio borghesia griffata, annoiata, perbenista, segretamente perversa.
Il macigno sulla testa di Richardson è arrivato in queste ore, come rilevato dal Daily Telegraph. Secondo il giornale britannico, un’email diffusa lo scorso lunedì tra i dipendenti del gruppo Condé Nast International avrebbe annunciato l’interruzione di ogni rapporto lavorativo tra il fotografo e la società. Fatto fuori, in fretta e in malo modo. Senza mezze misure: i servizi già commissionati a Richardson, hanno intimato dai piani alti dell’headquarter newyorchese, devono essere “soppressi o sostituiti con altro materiale”.
TUTTI CONTRO RICHARDSON
Ma cosa è accaduto? A far scattare la severa contromisura è bastato un articolo sul Sunday Times, in cui si definiva Richardson l’”Harvey Weinstein del fashion” e ci si domandava come mai la star fosse ancora idolatrata e coperta d’oro, nonostante le antiche e ripetute accuse di molestie sessuali da parte delle sue modelle. Entrambi gli uomini negano, naturalmente. A uno, però, è toccata la gogna, all’altro i soliti contratti milionari. Due pesi e due misure, per due americani invischiati nell’ennesimo sex gate? Meglio non rischiare l’eventuale pioggia di proteste, magari con tanto di boicottaggio da parte dei lettori.
Il messaggio di posta lo avrebbe inviato James Woolhouse, vicepresidente esecutivo e chief operating officer di Condé Nast. Nessun’altra dichiarazione è arrivata dalla casa editrice, mentre a rispondere al Telegraph è invece la portavoce di Richardson: “È un artista conosciuto per il suo lavoro sessualmente esplicito, tante delle interazioni professionali con i suoi soggetti erano di natura espressamente sessuale, ma tutti hanno partecipato consensualmente”. Difesa da manuale.
Prime conseguenze? Valentino, per cui l’artista aveva curato la campagna della collezione Resort 2018, ha rimosso ogni riferimento al fotografo dalla sua pagina Instagram, dichiarando che altre campagne non sono previste e che le accuse di molestie sono state prese molto seriamente dalla maison. Anche Bulgari ci ha tenuto a specificare che nessun nuovo progetto con Richardson è in cantiere: l’ultima campagna affidatagli era quella per la collezione Accessories Fall 2017. Come mai le grosse griffe si svegliano solo ora, dopo la levata di scudi di Condé Nast, quando le denunce erano note da anni? Perché chi ha denunciato non è stato sostenuto prima? Domanda oziosa. Il sistema si compatta e si spalleggia, nel tentativo di contenere una catastrofe d’immagine. E chi ha il potere d’innescare la bomba, impacchettando e veicolando il caso, è naturalmente il più grosso gruppo editoriale nel campo del fashion. Tutti gli altri seguono a ruota.
ANCHE IL BOSS DI ARTFORUM ALLA GOGNA
Ma i guai, per il mondo dell’arte e dell’editoria, non finiscono qui. Nella bufera si trova anche l’eccentrico Knight Landesman, influente co-editore della rivista internazionale Artforum. Tutto cominciò nel 2016, quando una ex dipendente presentò una denuncia con richiesta danni contro l’uomo, per via delle presunte molestie subite. E stavolta l’ammissione ci fu. A raccoglierla il portale Artnet: “Riconosco pienamente di aver superato alcuni confini e sto lavorando sodo per correggermi. Non ho mai intenzionalmente danneggiato nessuno. Tuttavia, sono pienamente impegnato per cercare aiuto e assicurare che il mio comportamento verso amici e colleghi sia al di sopra di futuri richiami“.
Ed è proprio il famoso art magazine tedesco ad aver riportato le accuse di vari uomini e donne contro Landesman, tirando fuori storie di palpeggiamenti, insidie, comportamenti inappropriati. Quella dell’artista Alissa McKendrick, ad esempio: “Ho conosciuto Knight nel 2012 alla Whitney Biennale. Gli sono stata presentata e in pochi secondi ha avuto la sua mano sul mio culo e l’ha tenuta lì per 10 secondi buoni”. E di nuovo, sull’onda del caso Weinstein, il polverone torna ad alzarsi, con tanto di ironia sui social mista a indignazione.
FRANCA VALERI, SEVERA MA GIUSTA
Intanto, nella polemica rovente tra i difensori e gli accusatori delle vittime, qualche voce autorevole si leva anche in Italia, spazzando via le retoriche di questo e di quell’altro fronte. Franca Valeri, ad esempio. Signora del teatro e della tv, regina di una comicità intelligente, sobria, pungente e lieve: 97 anni di carattere in punta d’ironia. Intervistata da Vanity Fair sulla vicenda Weinstein, ha spiegato: “è antistorico pretendere che il femminismo prenda nuova linfa dalle denunce delle attrici. Ma per carità. Il femminismo dovrebbe significare altro. Dovrebbe liberare una potenzialità. Disegnare una donna evoluta che vota, che decide, che è conscia della sua forza. Che a ciò a cui non ha voglia di prestarsi, dica un secco no”.
E la faccenda è tristemente antica, in ogni caso. “Un rapporto di reciprocità tra questi due benedetti sessi è sempre esistito. C’è la volta in cui la donna strizza volutamente l’occhio al potente di turno e quello in cui il potente di turno allunga le mani dove non dovrebbe. Forse non è una cosa bella in senso assoluto, ma io non sono una maestra di morale e in ogni caso, non vedo dove sia la novità”.
POLEMICHE E MALCOSTUMI
Insomma, condannato senza se e senza ma l’esercizio osceno del ricatto, e sospeso l’inopportuno giudizio contro chi resta succube e magari trova pure il coraggio di denunciare, si può anche ribadire che dire no è possibile. Che non si è per forza vittime. Che il talento è un valore, un’arma. E che quando l’aggressione violenta non c’è, resta lo spazio di manovra per una fuga, per una porta in faccia: un esercizio d’orgoglio e di resistenza. Fosse pure la volta che si perdono occasioni di lavoro, contratti, copertine, certezze. Femminismo come riappropriazione di sé.
Che di orchi viscidi sia pieno il mondo – quello dello spettacolo, della moda, dell’arte, e non solo – è cosa nota. Che l’universo maschile non si esaurisca in questa miseria e che contro questa miseria deve esso stesso combattere, per primo, è scontato. Che la gogna mediatica sia la più inutile delle soluzioni, è un’altra verità scomoda: coi processi sommari si annientano presunti colpevoli (i processi veri seguono le vere denunce) ma non si mette in crisi nessun sistema.
La guerra al ricatto sessuale condotta via Facebook o su Twitter? Le porte dello star system ipocritamente e improvvisamente chiuse, le indignazioni a comando, il gossip fuori controllo? Tutto sa di rabbia temporanea e rumore di click, qualcosa che arriva e subito passa, a beneficio dell’industria della comunicazione. La sostanza profonda della battaglia resta altrove. E chiede tempo, forza, consapevolezza. A tutti e a tutte. «Ho l’impressione che ci sia un’altra indipendenza che parta dal cervello e non dalla patonza», suggerisce la ragazzina di 97 anni, impietosa, lucidissima, con la grazia e la naturalezza di chi se ne sta fuori dal coro senza badarci troppo. Essere un po’ Franca Valeri, insomma. L’unica maniera per disarmare i molti Weinstein sulla piazza. Mica facile, in effetti.
– Helga Marsala
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