“Il calcio è l’ultima sacra rappresentazione dei nostri tempi” scriveva Pasolini, che dello sport più diffuso al mondo aveva dato una vera e propria grammatica, leggendolo come un linguaggio, “con i suoi poeti e prosatori” (Il Giorno, 3 gennaio 1971). È questa rappresentazione, in tutte le sue caratteristiche iconografiche, che la rassegna Nous sommes Foot, al Mucem di Marsiglia, mette in mostra, tentando di interpretarne i codici e le declinazioni culturali.
“Gioco infantile, che asseconda gli istinti sciovinisti e accende i riflettori sulle peggiori manifestazioni di machismo e xenofobia: che cosa ci sta a fare il calcio in un museo?”. Da questo interrogativo partono i curatori, Gilles Perez e Florent Molle, per tentare di “oltrepassare un certo élitismo francese che disprezza le passioni popolari” e raccontare il calcio come fenomeno che interagisce costantemente con la società ‒ da cui il titolo, e l’invito al pubblico: se non siete tifosi, se al calcio non vi siete mai appassionati, questa mostra fa per voi.
UNO SPORT SENZA LATITUDINI
Nulla di strano, quindi, per il Museo delle Civiltà dell’Europa e del Mediterraneo, che nell’anno in cui Marsiglia è Capitale europea dello Sport declina il tema ricercando una caratteristica che accomuni le due rive del mare nel calcio. Un calcio di strada, di cortili, che ha bisogno soltanto di un pallone (di gomma, di pelle, di plastica, di stracci), di un campo (in erba, in terra battuta, persino sull’asfalto), di compagni di gioco (uno, due, cinque, venti, non importa) e di poche regole: si gioca con i piedi e lo scopo è tirare il pallone in una rete… anche immaginaria. Ma anche un calcio che, da queste origini, si è trasformato in territorio di negoziazioni commerciali, di mercanteggiamenti che costruiscono nuovi idoli. Di ognuno di questi aspetti Nous sommes Foot indaga l’estetica. Ci sono gli oggetti calcistici che accompagnano tutte le fasi della vita, con i loro colori accesi e i loro forti contrasti: la tuta da neonato già votato dai genitori a una fede, i poster degli eroi da stadio con cui gli adolescenti foderano le camerette fino all’ultimo centimetro quadrato, gli album delle figurine, i portafogli sbiaditi e i portachiavi di plastica destinati a durare una stagione, le sciarpe e i berretti in tessuto acrilico che riparano dal freddo anche i tifosi più anziani, fino alle lapidi che commemorano il defunto citando la sua determinata assiduità nella frequentazione dello stadio. Ci sono le immagini delle coreografie degli ultras e le lettere fra tifosi con cui queste singolari collezioni si costruivano prima della comunicazione sul web.
SEGRE, MORODER, ITO
Ci sono gli scatti di Daniele Segre, nelle due serie Ragazzi di stadio (1977) e Il potere deve essere bianconero (1979). Ma c’è anche il progetto di Giorgio Moroder per Italia 90, con il suo videoclip grafico. Le maglie indossate dai campioni e adorate come feticci; una campagna pubblicitaria di Dolce e Gabbana del 2006 dove i modelli sono metà della nazionale italiana. E il contraltare alle coppe del mondo esposte nei diversi modelli storici: le briciole che restano del vecchio Maracanã, prima della ricostruzione, il murale del Ragazzo che muore di fame con pallone di Paulo Ito a Sao Paulo. A fine mostra, ai supplementari, una sezione che auspica il ritorno a un calcio lontano dagli eccessi: quello solidale, accessibile, dalla forte valenza educativa. Prima di arrivare ai tre fischi, le azioni scadono un po’ nella retorica e nella ricerca pretestuosa di una soluzione mediterranea, coerente con i propositi curatoriali e didascalici del Mucem. Non sono queste però a guastare un’ottima partita, che invita sulle gradinate del museo un pubblico composito e nuovo.
– Maria Elena Buslacchi
Marsiglia // fino al 4 febbraio 2018
Nous sommes Foot
MUCEM
7 promenade Robert Laffont (esplanade du J4)
www.mucem.org
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