L’anno di René Magritte
Il 2017 segna il 50esimo anniversario della morte dell’artista belga e la sua terra di origine lo omaggia con una serie di iniziative. A cominciare dalla grande mostra che rinnova il dialogo fra René Magritte e Marcel Broodthaers. Ne abbiamo parlato con Michel Draguet, curatore della mostra e direttore dei Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique.
Occhi puntati su Bruxelles questo autunno. La città alza il sipario sulle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della scomparsa di René Magritte (Lessines, 1898 – Bruxelles, 1967), emblema della creatività belga e modello per quanti ne hanno raccolto il testimone. È questo il fil rouge attorno a cui si dipana la mostra ospite dei Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique, intitolata all’affascinante legame fra l’artista che ha saputo dare un nuovo senso ai canoni surrealisti e l’amico Marcel Broodthaers (Saint-Gilles, 1924 – Colonia, 1976), capace di interpretarne la lezione attraverso il proprio stile. A conferma del segno lasciato da Magritte nell’immaginario dei suoi contemporanei e successori, ben oltre i confini dell’Europa, l’esposizione riunisce una galleria di opere che oltrepassano la linea dell’oceano e quella del tempo, unendo idealmente gli Anni Cinquanta e gli Ottanta. Michel Draguet, curatore della mostra e direttore dei Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique, ci ha guidati alla scoperta di una “nuova” immagine di Magritte.
Quali sono le origini e gli intenti della mostra che pone in dialogo Magritte, Broodthaers e numerosi artisti contemporanei?
L’idea risale al 2006, quando, insieme a Stephanie Barron, curai la mostra intitolata The Treachery of Images al LACMA di Los Angeles, dedicata all’influenza che Magritte esercitò sulla scena artistica americana tra gli Anni Cinquanta e Ottanta. Quattro opere di Marcel Broodthaers facevano parte dello show e, a mio parere, Broodthaers non era solo un artista influenzato da Magritte, ma anche un autore capace di ripercorrerne le idee soprattutto sul fronte della filosofia e della poesia. Oggi, in concomitanza con il cinquantesimo anniversario della scomparsa di Magritte, vogliamo dimostrare che Magritte è ancora vivo e continua ad agire attraverso la creatività contemporanea. Broodthaers è una delle figure chiave in questo contesto per via del profondo legame che ebbe con lui, trasmettendo il messaggio di Magritte alle nuove generazioni.
Come avvenne il loro incontro?
Si incontrarono nel 1945, quando Magritte diede a Broodthaers una copia di Un coup de dés jamais n’abolira le hasard di Mallarmé, che poi fu alla base dell’opera realizzata da Broodthaers nel 1968. Questo è il punto di partenza per mostrare il rapporto fra i due, ampliando poi lo sguardo alla scena contemporanea, dalla Pop Art di Jasper Johns e Robert Rauschenberg alle generazioni più recenti, influenzate dal periodo Vache di Magritte, che prese il via nel 1948 e che per Magritte significò uccidere la pittura attraverso la pittura.
Il legame tra Magritte e l’arte contemporanea è un tema che apre numerosi spiragli.
La mostra è una sorta di preparazione a un altro anniversario da ricordare, quello del Musée Magritte, che nel 2019 festeggerà il suo decimo anno di vita. Gli artisti contemporanei saranno gli ospiti d’onore del museo per i prossimi due anni, sottolineando così il forte legame tra Magritte e la creatività attuale. Nel 2019 andrà in scena una grande mostra che vedrà protagonisti Dalí e Magritte, in collaborazione con il Dalí Museum di St. Petersburg, in Florida.
In linea con questo spirito, quali aspetti dello stile e del linguaggio visivo di Magritte si ritrovano nella poetica di Broodthaers e degli artisti contemporanei riuniti dalla mostra?
Tutto ruota attorno a un dialogo non solo storico ma anche iconografico tra Magritte e Broodthaers, specie per quanto riguarda l’oggetto. Un esempio fondamentale è l’iconografia della pipa, presa in esame sia da Magritte sia da Broodthaers ma anche da artisti contemporanei come Keith Haring, imponendo una riflessione sul linguaggio e la sua decostruzione e mettendo faccia a faccia la rappresentazione dell’oggetto e la sua realtà fisica.
Un argomento cardine anche per la Pop Art.
Attorno alla raffigurazione dell’oggetto sono sorti alcuni misunderstanding, soprattutto da parte della Pop Art, secondo la quale gli oggetti ipertrofici di Magritte erano un modo per sottolineare il consumismo della società. Magritte non era interessato a questo aspetto. Per lui l’oggetto era l’unica prova di esistenza. Dal punto di vista tecnico, invece, ci sono alcuni elementi che avvicinano la Pop Art a Magritte. Le serigrafie di Rauschenberg, ad esempio, uniscono linguaggio “alto” e “basso”, dai motivi della pittura rinascimentale italiana ai ritagli di giornale. Il disegno preparatorio del famoso Le bouquet tout fait di Magritte, dove c’è un chiaro riferimento alla Primavera di Botticelli, era nella collezione di Rauschenberg. Dunque l’influenza esercitata da Magritte sull’arte contemporanea è ancora una volta evidente.
Che tipo di reazioni si aspetta dal pubblico di oggi?
Di solito i visitatori vogliono ammirare le grandi opere di Magritte e molte di esse, come Ceci n’est pas une pipe o La chambre d’écoute, sono incluse nella mostra. Però credo che il pubblico sarà sorpreso nel vedere un altro Magritte, un artista internazionale in dialogo con grandi personalità dello scenario americano degli Anni Cinquanta e Sessanta ma anche con autori contemporanei, impegnati in una riflessione sull’attuale significato della pittura. Questo può generare una “nuova” immagine di Magritte. La stessa cosa vale per Broodthaers, di cui mostriamo non solo la componente concettuale e filosofica, ma anche gli aspetti che derivano dalla tradizione fiamminga. Un nuovo Broodthaers, che prende le mosse dalle sue stesse radici.
Lei non è soltanto il curatore di questa mostra ma è anche il direttore dei Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique, composti da sei sedi tra cui l’ormai celebre Musée Magritte. In breve, qual è la storia dei Musei e che ruolo giocano, oggi, nel panorama culturale del Belgio?
I Musei furono fondati nel 1802 da Napoleone Bonaparte ed entrarono a far parte di quello che può essere definito il primo network culturale d’Europa. Nel 1830 i Musei divennero emblema dell’indipendenza, non solo politica, del Belgio, crescendo nel corso dei decenni. Io sono direttore dei Musées royaux dal 2005 e posso dire che la mia strategia consiste nel sottolineare le peculiarità identitarie di questa istituzione in un contesto world wide come quello attuale. L’obiettivo è far convivere le diverse tradizioni e identità che esistono in Belgio e restituirne la varietà, le differenze e i punti di contatto.
Questa è una strategia utile a coinvolgere anche la popolazione locale.
Assolutamente sì. E pure i turisti, che possono conoscere da vicino le tante sfumature della cultura belga.
A proposito di dialogo con il pubblico, la mostra dedicata a Magritte e Broodthaers include anche una sezione interattiva. Che ruolo hanno le nuove tecnologie nella realizzazione delle attività e degli eventi ospitati dai Musées royaux?
Le nuove tecnologie oggi giocano un ruolo molto importante nel campo della storia dell’arte, basti pensare alle esperienze immersive promosse da Google. Si tratta di nuove forme narrative, non solo di intrattenimento. C’è poi un altro aspetto: le nuove tecnologie possono cambiare anche le modalità con cui vengono realizzate le mostre. Ad esempio, riducono gli incidenti legati al prestito e al trasporto di opere da un museo all’altro, evitando di metterne a repentaglio la conservazione. Inoltre le nuove tecnologie consentirebbero di portare l’arte in tutti i luoghi del mondo, non solo nell’area “occidentale” del pianeta, promuovendo una vera democratizzazione dell’arte.
‒ Arianna Testino
Bruxelles // fino al 18 febbraio 2018
Magritte, Broodthaers & l’Art Contemporain
MUSÉES ROYAUX DES BEAUX-ARTS DE BELGIQUE
3 rue de la Régence
https://fine-arts-museum.beArticolo pubblicato su Grandi Mostre #7
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