Macron restituisce ad Algeri i resti algerini conservati al Musée de l’Homme
A margine della sua prima visita ufficiale in Algeria, Macron risponde alla richiesta di numerosi intellettuali, impegnandosi a ridare ad Algeri i resti degli insorti algerini uccisi nella seconda metà del XIX secolo dall'esercito francese e conservati al Musée de l'Homme di Parigi. Un chiaro segnale di distensione, ma anche un preciso atto politico…
Il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato di essere pronto a restituire all’Algeria i resti degli insorti algerini uccisi nella seconda metà del XIX secolo dall’esercito e conservati al Musée de l’Homme di Parigi.
UN GESTO SIMBOLICO
Un gesto tanto atteso da Algeri che ha sempre rivendicato la restituzione dei teschi perché considerati resti di cittadini comuni da destinare a giusta sepoltura e non dei reperti archeologici da esporre in un museo. Una richiesta che è stata sottoscritta anche da numerosi intellettuali sia francesi che algerini, ma che è rimasta sempre inascoltata, almeno fino ad oggi. Causa del contendere sono i resti di 37 algerini uccisi dall’esercito francese perché, durante la seconda metà del 19 ° secolo, si sono ribellati contro la colonizzazione. I resti sono conservati al Musée de l’Homme dalla fine del XIX secolo. Un doloroso episodio della storia tra Francia e Algeria, che era stato oggetto, alla fine di maggio 2016, di una petizione su iniziativa di uno scrittore, Brahim Senouci, che ha chiesto il ritorno in patria dei 37 connazionali.
UN ATTO POLITICO MA NON AGGRATIS
La dichiarazione di Macron arriva a ridosso della sua prima visita ufficiale in Algeria e rappresenta un chiaro atto di distensione dei rapporti non sempre semplici tra i due governi. La restituzione dei resti algerini è prima di tutto un atto politico con il presidente francese che già in campagna elettorale aveva definito la colonizzazione come un “crimine contro l’umanità“, scatenando le ire della destra e dell’estrema destra francese che hanno accusato il presidente di voler rinnegare la storia di Francia. Un gesto, quello di Macron, salutato con grande entusiasmo dal governo di Algeri. Tutto sereno quindi? Non proprio. Il presidente francese in cambio della restituzione chiede al governo algerino di affrontare definitivamente la questione degli Harki permettendo a questa fetta di popolazione algerina di poter rientrare in patria. Una questione spinosa che si trascina da oltre settant’anni. Gli Harki sono militari algerini che nella guerra d’Algeria (1954-1962) hanno combattuto nelle fila dell’esercito francese contro il proprio popolo. Da allora sono considerati nemici della patria ed è proibito loro il rientro ad Algeri. Divieto che si estende anche alle generazioni successive che non hanno partecipato alla guerra. La maggior parte degli Harki vive in Francia, con tutti i problemi di integrazione che ne conseguono anche nella relazione con gli altri connazionali residenti nel paese. Macron spera di risolvere al più presto una questione che è legata alla sicurezza nazionale e alla lotta al terrorismo. Che la cultura gli dia una mano?
SONO PERSONE E NON CIMELI
Una storia, questa, che ricorda lontanamente nei fatti, ma da vicino concettualmente, un altro episodio avvenuto in terra francese, seppur in tempi più recenti. Protagonista il maestro Daniel Buren che la scorsa primavera aveva deciso di raccontare proprio ad Artribune la propria decisione di non partecipare all’edizione da poco conclusasi di Skulpture Projekte 2017, la kermesse che si svolge in Germania ogni dieci anni, e soprattutto al progetto Not Quiter Under_Ground, the official tattoo studio of Skulpture Projekte di Michael Smith. L’artista americano, nato a Chicago nel 1951, aveva deciso di costruire per la manifestazione uno studio per tatuaggi perfettamente funzionante targettizzato però sugli over 65. Ogni “Senior” poteva infatti scegliere tra una selezione di modelli progettati da altrettanti artisti invitati da Smith e farsi realizzare un’opera d’arte su una parte del proprio corpo da tatuatori professionisti convocati per l’occasione dall’artista. A far riflettere le parole di Buren nella lettera aperta pubblicata da Artribune: “Immagina se tutti accettassero di farsi tatuare come modo per costruire una collezione. Immagina se questa persona dopo essersi fatta tatuare cominci a pensare al proprio corpo come a qualcosa da preservare per le future generazioni e da ammirare come oggetto d’arte. Immagina quindi se a questo punto la persona in questione decidesse di farsi tagliare la parte del corpo tatuata e di farla esporre in un museo come un oggetto decorativo”. Le questioni e la riflessione su corpo, arte e musealizzazione non cambiano. Nel lontano passato, come nel presente.
– Mariacristina Ferraioli
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