Il debutto al Perth Institute of Contemporary Arts di Eugenio Viola è una mostra da non perdere. Viola, ex-curatore al Museo Madre di Napoli e ora senior curator presso l’istituzione australiana, ha curato l’esposizione intitolata I don’t want to be there when it happens, in collaborazione con Mikala Tai e Kate Warren.
La mostra è non solo una piacevole esperienza dal punto di vista puramente visivo ed estetico, ma è anche e soprattutto una rassegna di arte attivamente impegnata dal punto di vista sociopolitico e che vuole mandare un messaggio chiaramente concettuale e attuale.
Precedentemente ospitata dal 4A Centre for Contemporary Asian Art di Sydney, la mostra viene ora ricreata e ampliata al Perth Institute of Contemporary Arts. La mostra al 4A Centre esibiva opere di artisti di origine pakistana, mentre la versione allestita a Perth include anche opere sia di artisti indiani, creando un interessante dialogo e aggiungendo spessore al display.
TRAUMA E ARTE
Il tema principale trattato dai diversi artisti è il trauma psicologico, sia individuale che sociale, subito dalla popolazione indiana di religione musulmana quando, il 14 agosto
1947, l’impero britannico iniziò un processo di decolonizzazione dell’area e l’India può finalmente dichiarare la sua indipendenza: una libertà che nasce nel sangue.
Questo evento ebbe infatti come conseguenza la formazione di due nuovi Stati divisi su base religiosa, l’India e il Pakistan, quest’ultimo a maggioranza musulmana. Intere comunità formate da persone di fedi diverse, convissute pacificamente per lungo tempo, vengono stravolte dai fatti conseguenti a questa partizione. Storicamente questo conflitto etnico e la conseguente migrazione di popoli vengono ritenuti i più feroci e con più vittime, oltre un milione di persone.
Le opere esposte traggono ispirazione da questo triste periodo, una situazione di conflitto e dramma che richiama eventi più contemporanei e un più vasto trauma psicologico, creando un percorso espositivo che permette una rievocazione empatica del trauma passato e consente un’associazione molto familiare con l’attualità, come dei ricordi lontani che riescono a influenzare la percezione del presente rendendolo più “leggibile”.
I PROTAGONISTI
Le tecniche artistiche utilizzate variano dal classico dipinto su tela all’installazione.
L’opera di Abdullah M.I. Syed, Flying Rug of Drones (Circle) (2015-17) trasmette un potente messaggio di normalità interrotta bruscamente: l’installazione consiste di una serie di piccoli droni ricavati da lamette, sospesi nel vuoto come a formare uno stormo di uccelli. L’opera è integrata da un’illuminazione dall’alto che proietta la sagoma della stessa e da una componente audio che riflette la dicotomia tra la vita prima della partizione (o la vita prima del trauma) e il momento successivo, in cui una nuova realtà prende il controllo e nasce il conflitto, effetto ottenuto tramite il suono di uccelli cinguettanti prima e il volo di aeroplani poi. L’installazione destabilizza lo spettatore e incoraggia una riflessione sul tema.
Il candelabro di ferro battuto a mano di Adeela Suleman, opera che dà titolo alla mostra, è ipnotizzante nella sua raffinatezza esecutiva, come anche l’altra opera dell’artista, After All it’s always somebody else who dies (2017), stilisticamente d’impatto, elegante e decorativa, e allo stesso tempo concettualmente impegnata: gli uccelli che compongono l’opera sono simbolo delle morti atroci avvenute nella città natale dell’artista, Karachi.
Molto saggia la scelta di coinvolgere la comunità pakistana e indiana sia in occasione del vernissage che in attività di storytelling in inglese e urdu e in verse altre iniziative organizzate in occasione dell’evento Open House Perth 2017 e facilitate dallo staff del PICA.
‒ Elli Gemmo
Perth // fino al 24 dicembre 2017
I don’t want to be there when it happens
PICA
51 James Street, Northbridge
http://pica.org.au/
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