Cancellate il vostro account di Facebook! Le azioni d’artista contro i colossi del web
Dopo lo scandalo Cambridge Analytica, l'inglese Jeremy Deller distribuisce volantini che spiegano come cancellarsi da Facebook. Ma non è il primo artista a preoccuparsi dei rischi che si corrono sul web nell'epoca del monopolio delle grandi corporation
Migliaia di volantini rosa per spiegare, passo passo, come cancellare il proprio account di Facebook. Sono stati distribuiti in diversi spazi pubblici di Londra e Liverpool, oltre che appesi di fronte al quartier generale britannico del colosso social di Mark Zuckerberg. L’azione nasce nel contesto di un più vasto movimento di indignazione generale innescato dallo scandalo Cambridge Analytica, un caso preoccupante di uso improprio dei dati degli utenti di Facebook, che sono stati prima raccolti tramite una app, poi venduti a una società che si occupa di analisi politica e infine sfruttati dallo staff di Donald Trump per aumentare i consensi in fase di campagna elettorale.
Dietro all’azione di protesta non è difficile scorgere la mano di Jeremy Deller (Londra, 1966), artista già vincitore del Turner Prize (sarà a Milano ad aprile in occasione dell’Art Week con un progetto targato Fondazione Trussardi) e autore in passato di altre iniziative simili. Basti pensare ai recenti manifesti Strong and stable my arse, che hanno invaso la capitale inglese in occasione delle elezioni del maggio 2017: un commento al vetriolo sulle politiche sociali del primo ministro Theresa May e del suo partito.
L’ARTE DI INFORMARE
Deller, che aveva pronto il testo del suo flyer già da un po’, ben prima che il caso Cambridge Analytica investisse Facebook come uno tsunami (l’aveva stampato su una t-shirt all’inizio di febbraio in occasione della riapertura della galleria d’arte Kettle’s Yard) ha deciso di rivolgere la sua attenzione sul tema della privacy, con un’azione che mira a instillare consapevolezza sui pericoli connessi all’uso dei social network. Il progetto, oltre a inserirsi in un movimento mondiale che sta in questi giorni facendo il giro del web sotto l’hashtag #deletefacebook, è stato commissionato dall’organizzazione Rapid Response Unit (RRUNews), un “public news bureau” aperto il mese scorso a Liverpool nel St John’s Market con l’obiettivo di analizzare il modo in cui vengono diffuse e percepite le notizie e offrire ai cittadini un’alternativa al sistema informativo tradizionale. Tra i reporter e i corrispondenti di RRUNews ci sono artisti, musicisti, attori, scrittori, fotografi e poeti. “Durante questo esperimento, che durerà un anno”, si legge sul sito del progetto, “Rapid Response Unite farà in modo che l’arte diventi il modo migliore per restare informati”.
ARTISTI CONTRO FACEBOOK
Non è la prima volta che dall’arte si alzano voci critiche contro colossi del web come Facebook, Google e Amazon, aziende simbolo di un’epoca della rete sempre più caratterizzata da omologazione, monopolio e massicce invasioni della privacy. Temi importanti come la net neutrality e la necessità di attuare strategie contro l’uso del web come strumento di sorveglianza serpeggiano nei lavori degli artisti da oltre due decenni. Basti pensare ad esempio a The Hacking Monopolism Trilogy, trittico di progetti portati avanti tra il 2005 e il 2011 che comprendeva un’opera come Face to Facebook di Paolo Cirio e Alessandro Ludovico: un progetto basato sul “furto” di 250mila identità online, prelevate da Facebook e inserite in un finto sito di dating online. Un’opera che, riguardata oggi, appare quasi profetica. Ma anche all’ironico Sepuukoo del collettivo Les Liens Invisible, che già nel 2009 proponeva un “suicidio rituale” simbolico della propria identità online che comportava la disconnessione immediata dal proprio account di Facebook.
Negli ultimi due o tre anni la questione si è fatta molto più pressante, come ben spiegava la mostra Escaping the Digital Unease, curata da Raffael Dörig, Domenico Quaranta e Fabio Paris per la Kunsthaus di Lagenthal, in Svizzera, e aperta da agosto a novembre del 2017. Il progetto espositivo, che comprendeva artisti chiave di questo filone come Zach Blas, James Bridle e Trevor Paglen, cercava infatti di raccontare un’epoca della rete in cui, crollate le utopie degli inizi, si cerca disperatamente il modo di evadere da una situazione di estremo disagio: quello generato dall’uso quotidiano di strumenti che sembrano ormai divenuti indispensabili (come i motori di ricerca e i social network), con la consapevolezza dei rischi, dei soprusi e degli aspetti sempre più controversi che questo uso comporta.
– Valentina Tanni
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