L’epopea dell’acquerello viennese. In mostra all’Albertina

Albertina, Vienna ‒ fino al 13 maggio 2018. Forma d’arte apprezzata nell’Europa settentrionale, e in particolar modo nell’area danubiana dell’antico Impero austro-ungarico, l’acquerello ebbe a Vienna una florida scuola tra la metà del Settecento e la fine dell’Ottocento. Una mostra curata da Marie Luise Sternath ripercorre quest’avventura attraverso i suoi artisti più importanti.

Nella compassata Vienna asburgica, dove praticità e rigore scandivano la vita quotidiana, l’acquerello conobbe, a partire dalla fine del Settecento, un’ampia diffusione, anche grazie all’apprezzamento della famiglia imperiale.
Dopo una prima diffusione limitata alla documentazione scientifica (ad esempio per la catalogazione delle piante esotiche importate in Austria per i giardini botanici delle città), l’acquerello trovò applicazione per la decorazione di pannelli di mobili, di scatole e oggetti vari, apprezzati dalla borghesia. Balthasar Wigand costruì una carriera su questo tipo di lavoro “seriale”, intercettando i gusti della piccola e media borghesia. Livelli ben più altri raggiunsero i vari Heinrich Friedrich Füger, Ferdinand Georg Waldmüller, Peter Fendi, Moritz Michael Daffinger e Rudolf von Alt, che ottennero commissioni da parte di famiglie aristocratiche, inclusa quella imperiale, per i ritratti dei loro membri: Füger e Waldmüller si specializzarono in lavori su fondo avorio, che permetteva di ottenere un incarnato più candido, quasi niveo; Fendi fu invece il ritrattista dei giovani rampolli della famiglia imperiale. Altro genere assai in voga, le vedute delle eleganti sale dei palazzi aristocratici. Rudolf von Alt realizzò numerose vedute d’interni ‒ fra cui quelli dei principi di Liechtenstein ‒, ed era apprezzato per la sua perizia nel riprodurre i piccoli particolari, così come i riflessi di luce.

Eduard Gurk, Hradčany, Praga, 1838. Albertina Museum, Vienna

Eduard Gurk, Hradčany, Praga, 1838. Albertina Museum, Vienna

LE VEDUTE

Sul finire del Settecento si diffuse la moda delle vedute dei paesaggi e delle città, in conseguenza di alcuni fatti: il primo, l’affermarsi della nuova cultura illuminista, che cambiò il modo di guardare alla realtà, escludendo il paesaggio simbolico o immaginario. Inoltre, sulla scorta della moda del Grand Tour inaugurato dagli intellettuali, anche nelle classi aristocratiche si diffuse la consuetudine a viaggiare, e un paesaggio all’acquerello rappresentava una sorta di “souvenir turistico” a buon prezzo. E, in effetti, gli acquerellisti trovarono un discreto mercato in questo settore. Rudolf von Alt si caratterizzò per le vivaci vedute della città di Vienna, ma anche dei paesaggi alpini. Nella sua fase matura, attorno agli Anni Settanta del secolo, i suoi acquerelli acquistarono la matericità dei colori a olio. A lui si deve l’introduzione del “non finito” nell’acquerello, sia per vivacizzare la scena sia per mostrare i passaggi del procedimento. Più naturalista lo stile di Thomas Ender, che non si limitò ai paesaggi austriaci, ma documentò anche quelli brasiliani, dopo un suo viaggio nel 1817. Anche l’Italia affascinò gli acquerellisti, da Roma a Capri, da Trieste a Venezia, costantemente raccontate con rigore naturalista.

L’ARCIDUCA-ACQUERELLISTA

Fratello dell’imperatore Francesco, l’Arciduca Giovanni d’Asburgo sposò una giovane borghese, tale Anna Plochl. A causa delle rigide regole di corte, che proibivano relazioni del genere, fu costretto a rinunciare al titolo e si ritirò in Stiria, dedicandosi alla “carriera” di acquerellista, intrapresa comunque all’interno di una vita agiata e senza preoccupazioni di natura economica. Documentò con buon occhio “scientifico” i paesaggi montani della regione, i costumi degli abitanti, e gli impianti industriali che vi erano appena sorti. Attorno a lui si radunarono artisti come Karl Russ, Johann Kniep, Jakob Gauermann, seguaci di un acquerello stilizzato, più simile a una stampa che a un disegno vero e proprio. Nonostante ciò, lo “studio” dell’Arciduca produsse esemplari di vedute che furono molto utili per la conoscenza della cultura stiriana in Austria.

Anton Romako, Tigre, 1870. Albertina Museum, Vienna

Anton Romako, Tigre, 1870. Albertina Museum, Vienna

GLI ULTIMI BAGLIORI

La tradizione dell’acquerello conobbe i primi sussulti con quelli che sono considerati i suoi ultimi esponenti: Anton Romako e August von Pettenkofen. Con quest’ultimo, l’acquerello perde la sua staticità naturalista e si avvicina allo stile romantico, ma soprattutto cambiano i soggetti. Non più vedute cittadine, ritratti o paesaggi, ma drammatiche scene militari (fu al seguito dell’esercito durante la campagna d’Ungheria del 1848), e soprattutto numerosi bozzetti sulla vita degli Zingari. Inoltre visitò l’Italia (Roma e la Campania che gli suggerirono spunti per scene di vita popolare) e Parigi, dove conobbe gli esponenti di Barbizon, dai quali trasse ispirazione per la resa della luce.
Romako, dopo gli studi a Vienna, si trasferì in Italia, dove si specializzò in vedute e scene rurali eseguite con stile idealizzato, che abbandonò ben presto in favore di scene eccentriche, contraddistinte dalla presenza di animali esotici e di un tratto molto dinamico. Innovazioni che non piacquero alla conservatrice Vienna, e Romako abbandonò quasi del tutto l’acquerello per dedicarsi alla pittura a olio. Ma ormai, sul finire del secolo, stava arrivando la Secessione e il clima artistico sarebbe definitivamente cambiato.

Niccolò Lucarelli

Vienna // fino al 13 maggio 2018
L’arte dell’acquerello viennese
ALBERTINA
Albertinaplatz 1
www.albertina.at

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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