La contraddittoria India del Terzo Millennio. In Germania
Kunstmuseum, Wolfsburg ‒ fino al 7 ottobre 2018. Per la prima volta in Germania, una mostra sull’India tutta al femminile, che racconta il passato, il presente e il futuro del Paese. Dalle questioni di genere a quelle politiche e ambientali.
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Pur nella loro foggia e inventiva contemporanee, queste opere ci parlano di quel suggestivo e per certi versi ancora oscuro coacervo che è l’India, e osservando quest’universo saturo di corpi umani, piante, animali, templi, rifiuti, incenso, amuleti, cerimonie vengono alla mente le pagine di Tiziano Terzani quando visitò Maharashtra e Gujarat nel 1994, nel pieno dell’emergenza peste: davanti agli occhi si parava un’India complessa, una gargantuesca realtà di imperfezioni e dualità, di bellezza e squallore, paradosso e poesia. Ma anche un Paese dalla profonda spiritualità, dove la questione dell’esistenza e della sua natura sono oggetto di continue domande, alle quali cerca di dare risposte una delle più radicali artiste indiane contemporanee, Tejal Shah. Muovendosi all’interno della fluida identità sessuale contemporanea, porta allo scoperto le questioni di genere sfondando i muri dell’India più conservatrice; dalle violenze sui transessuali a quelle sulle donne, alla lotta per l’emancipazione di queste ultime, ma non solo. L’arte di Shah s’interroga anche sui meccanismi biologici dell’essere, di quegli istinti che sono sempre riconducibili a motivazioni spirituali, e scavando nelle bidonville, nelle discariche delle periferie cittadine, riporta alla luce una primordialità mistica affamata di giustizia sociale.
LA QUESTIONE FEMMINILE
Essere donne in India non è facile: la cultura della donna oggetto, radicata in una millenaria società patriarcale, non sembra accorgersi dell’infame piaga legata alla violenza sessuale dilagante, che non risparmia nemmeno le bambine. Parimente, anche la prostituzione è una forma di schiavitù che affligge centinaia di migliaia di giovani donne, spesso di caste cosiddette “inferiori”. Anche per i loro diritti si batte Bharti Kher, femminista dichiarata, che trae ispirazione dal suo attivismo. Importanti segni identitari femminili indiani, come i sari o i monili lavorati, divengono mezzi estetici per suggerire esistenze importanti nella quotidianità sociale indiana (molto spesso è dalle donne che dipende il sostentamento della famiglia), ma anche per denunciare violenze e diseguaglianze, come quelle subite dalle prostitute di Calcutta. Ma sempre emerge un’immagine femminile aggraziata e stoica, consapevole del proprio corpo e del proprio potenziale intellettuale; donne che resistono, nonostante tutto e contro tutto.
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Vibha Galhotra, Neo Camouflage, 2008. Installation view at Kunstmuseum Wolfsburg © Courtesy of the artist. Photo Marek Kruszewski
LE CONTRADDIZIONI DELLA CRESCITA
Parte inscindibile del cosiddetto BRICS, l’India è una delle economie emergenti del Terzo Millennio, nonché, dopo la Cina, il Paese più popolato al mondo. Due condizioni che implicano un alto consumo di risorse alimentari ed energetiche, con un conseguente robusto impatto ambientale. Le pitture di Vibha Galhotra hanno come centro d’indagine l’era della conflittuale espansione delle attività umane, ovvero l’Antropocene, attraverso i cinque elementi: acqua, terra, aria, fuoco ed etere. Con un linguaggio pittorico apparentemente romantico, Galhotra affronta problemi come la contaminazione del sacro fiume Yamuna e la concentrazione di polveri sottili a Delhi, che supera tutti i valori ammissibili. La maschera antinquinamento diventa un articolo di abbigliamento quotidiano, la grafica del clima allarmante si trasforma in un’ondata di campane che ricorda l’Arte Povera e la pulizia delle piante diventa meditazione Zen. Con le sue opere, Vibha Galhotra reagisce all’irrazionalità umana in Age of Reason. La loro estetizzazione della catastrofe ecologica è allo stesso tempo una strategia di mediazione e una rifrazione ironica.
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Mithu Sen, Border Unseen, 2014. Installation view at Eli and Edythe Broad Art Museum, East Lansing, Michigan © Eli and Edythe Broad Art Museum
CONFINI INTERNI ED ESTERNI
La vastità antropologica e culturale dell’India ne fa un Paese socialmente frastagliato e discriminatorio: alla base di una tale piramide, il sistema delle caste, che divide implacabilmente la popolazione in “strati”, senza nessuna possibilità di osmosi fra essi; e non mancano nemmeno, purtroppo, le tensioni religiose fra indù e musulmani, acuite dall’ormai annosa questione irrisolta con il Pakistan, a proposito della sovranità sul Kashmir. È su questi confini, sociali o geografici, che si concentra l’indagine di Reena Saini Kallat. Dalle rotte internazionali dei migranti che s’infrangono contro barriere di filo spinato, al rovente confine fra India e Pakistan, contestato per la questione del Kashmir, a quello fra Messico e USA, crocevia di migrazioni e traffico di stupefacenti.
Una decisa battaglia contro i “confini mentali”, e quindi contro il sistema delle caste ma anche contro l’emarginazione femminile, è quella intrapresa da Mithu Sen che, attraverso opere dalla marcata fisicità biologica, unisce senza soluzione di continuità elementi umani e animali, maschili e femminili, fiori e frutti; ne scaturiscono sculture-installazioni disturbanti, rutilanti di colori, ibridi che sono metafora delle contaminazioni culturali della “globalizzazione” e di un mondo egualitario senza confini. Invece Prajakta Potnis affronta la questione dei confini da un punto di vista psicologico, confini intesi come gap fra generazioni, fra differenti ere tecnologiche o fra epoche storiche. Attraverso immagini esasperate di paradossi quali vegetali manipolati geneticamente, o utensili che ricordano armi, Potnis suggerisce l’idea di uno sradicamento dell’essere umano dalle sue radici spirituali, l’idea del superamento di un confine per andare verso una modernità fatta di violenza, pubblicità, centri commerciali, smarrimento morale.
‒ Niccolò Lucarelli
Wolfsburg // fino al 7 ottobre 2018
Facing India
KUNSTMUSEUM WOLFSBURG
Hollerplatz 1
www.kunstmuseum-wolfsburg.de
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