Mom’s Ball è l’ironico titolo della mostra dedicata a tre generazioni di artisti, Egill Sæbjörnsson, che con il progetto Out of Controll in Venice ha rappresentato l’Islanda all’ultima Biennale di Venezia, la madre Ágústa Oddsdóttir e la nonna Elín Jónsdóttir. Organizzata in tre diverse sedi, la mostra è anche un dispositivo narrativo che si innesta nella storia dell’arte e del collezionismo islandese, essendo allestita nell’Hotel Holt, nella vecchia sede della biblioteca di Reykjavík, e a Kjos, nella fattoria dove hanno vissuto le due donne, che si trova a 45 minuti di auto a nord della capitale.
In quest’ultima, Elin con il marito Odd Andresson ha cresciuto sei figli. L’abitazione, che in futuro potrebbe diventare un museo, mantiene lo spirito del tempo e raccoglie le opere da lei realizzate, utilizzando materiali di scarto e indumenti in disuso per creare opere tessili che potevano essere indossabili, come facevano molte donne islandesi della sua generazione. Prassi adottata anche dalla figlia Ágústa, che però, invece di realizzare oggetti utili come faceva la madre, che dai nastri dei regali natalizi otteneva colorate shopping bag o da vecchie maglie eccentrici tappeti, crea opere plastiche, sculture tessili e installazioni che assumono la forma di grandi sfere, da cui appunto il titolo della mostra. Opere che ricordano quelle di Judith Scott, importante outsider artist americana, nei cui assemblage tessili raccoglieva segreti e storie legate alla propria vita.
La curatrice della mostra, Karen Wright, fondatrice e direttrice della rivista Modern Painter, appassionatasi alle opere di Ágústa e venuta a conoscenza del lavoro di Elín, morta nel 2010, ha voluto accompagnare le istanze folk e spontanee delle due donne, che non avevano frequentato accademie o scuole d’arte, e che mai avevano esposto le loro opere in pubblico, allo storytelling del figlio e nipote Egill. Nato a Reykjavík nel 1973, e residente a Berlino, Egill alla tradizione di famiglia del riciclo e della manualità artigianale aggiunge suggestioni di carattere geologico, e individua nei sassi e nelle sedimentazioni laviche presenti nell’isola la dimora di troll e folletti. Crea installazioni multimediali animate da presenze ironiche e scherzose, ne sono un esempio i troll Ugh e Bõögâr, protagonisti di grandi video-installazioni, come quella presentata al padiglione islandese dell’ultima Biennale di Venezia. Installazione che ha portato alla realizzazione del vinile In Venice, che ne raccoglie il soundscape, del profumo Out of Controll, e di una capsule collection di abiti a loro ispirata.
COLLEZIONISMO MIMETICO
Mom’s Ball è il teaser di una mostra itinerante che dal prossimo anno attraverserà nove diversi Paesi, riguardante la relazione tra textile art e gender e la sua “intrusione” in spazi privati permette di conoscere la storia dell’arte e del collezionismo islandese. Alcune opere di Egill sono allestite nel bar dell’affascinante Hotel Holt, che appartiene a Þorvaldur Guðmundsson e Ingibjörg Guðmundsdoíttir, i maggiori collezionisti di arte islandese. Possiedono infatti più di 1500 opere di cui 460 sono esposte con grande discrezione nell’Hotel, perché non vi sono etichette che indicano la presenza di capolavori come il murale di Kjarval, tra i più importanti pittori islandesi, o le sculture di Ragnar Kjartanasson (nonno del contemporaneo Kjartanasson). Ma l’ottimo staff dell’hotel è orgoglioso di parlarne e di presentare le opere. Anche la vecchia sede della biblioteca cittadina, che sarà presto convertita ad abitazione privata, ospiterà nel giardino opere di Errò e Sigurdur Gudmundsson, artisti che nel secolo scorso hanno fatto la storia dell’arte islandese. Il prossimo anno sarà inoltre aperta al pubblico la collezione privata di Skuli Mogensen, proprietario della compagnia aerea wow air, che ha scelto di ristrutturare delle storiche stalle per ovini per ospitare la sua grande collezione.
PASSATO E FUTURO
Ancorata nella storia dell’architettura vernacolare islandese è la mostra Earth Homing: Reinventing Turf Houses, che ha raccolto una ventina di artisti autori di opere site specific all’interno di abitazioni costruite con la torba. Strutture secolari, presenti anche in Norvegia e nelle isole Faroe, che dalla fine della Prima Guerra Mondiale non state più realizzate in Islanda, in seguito alla modernizzazione del Paese. Sono però divenute patrimonio dell’umanità nel 2011 e alcune di queste sono state trasformate in centri di ricerca e spazi educativi. La mostra è stata un’occasione per attraversare l’isola e conoscere la vitalità della scena artistica islandese. Della performance sonora realizzata per l’inaugurazione all’interno del faro rimane testimonianza in un diffuso soundscape, mentre la videoinstallazione di Kolbeinn Hugi colpisce per la visionaria analisi della recente storia del Paese, tra crisi economiche e futuri/devastanti cambiamenti climatici.
‒ Lorenza Pignatti
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